paradisi-fiscaliIl senso di onnipotenza e l’idea di poter avere un controllo globale sulle opinioni pubbliche finisce per ottenebrare il senso di realtà e  per giocare brutti scherzi a quelli che i brutti scherzi sono abituati a idearli e a gestirli. Così ci si è illusi che tirare fuori lo scandalo dei Panama Papers facendo in modo che nell’elenco dei croceristi off shore del denaro opaco non comparisse nemmeno un nome americano, ma solo quelli dei grandi nemici da colpire, quelli degli amici da avvertire e quello di qualche fastidiosa opposizione, potesse essere bevuta senza problemi.  Così non è stato semplicemente perché la cosa si è rivelata verosimile come una storia di Man in black, misteriosa nelle fonti , sospetta  nel suo sviluppo giornalistico, intrinsecamente debole nel suo impianto di fondo e soprattutto inaccettabile per le vittime collaterali vale a dire i ricchi minori della galassia occidentale pescati con le mani nella marmellata.

Così le polemiche sono divampate a tal punto da rischiare di coinvolgere la credibilità stessa dei meccanismi di questa informazione teleguidata e da costringere il dipartimento di stato ad ammettere che dietro il cosiddetto scoop c’è un meccanismo ufficialmente giornalistico, l’Organized Crime and Corruption Reporting Project i cui fondi arrivano direttamente da Washington attraverso l’Usaid, ovvero l’ Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo Internazionale la quale, sotto questo vaghissimo nome, non è che l’erede dell’Usis, ovvero dell’ennesimo servizio informativo statunitense. Già si sapeva che lo sfuggente Consorzio dei giornalisti investigativi che alla fine è stato il tramite dei files arrivati alla Suddeutsche Zeitung,  si nasconde il Center for Public Integrity,  finanziato guarda caso da Soros,  Rothschild,  Rockfeller, insomma dal gotha degli oligarchi Usa. Ma adesso il dipartimento di stato ha rivelato, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio e ridicolo diniego ufficiale, che l’operazione nasce direttamente su input e volontà dell’amministrazione americana.

Potrebbe sembrare tanto rumore per nulla, visto che di per sé le società off shore non sono illegali e la loro proprietà non configura un reato (al contrario del furti di files),  un complicato quanto dilettantesco tentativo di mettere in difficoltà i nemici geopolitici russi e cinesi o gli amici impresentabili come Poroshenko, anche a costo di colpire nel mucchio salvo che nel recinto di casa propria, manipolando i dati alla fonte. Ma in realtà c’è molto di più: il fatto che si sia scelto di colpire a Panama fra i tanti paradisi fiscali disponibili è un segnale a banche e ricchi di ogni latitudine che va molto oltre gli obiettivi evidenti al primo sguardo. E’ un invito perentorio a disertare gli eden “fuoribordo” che non appartengono al sistema imperiale  perché adesso tutti sanno che c’è il consorzio dei giornalisti investigativi che vigila. E’ il consiglio che non si può rifiutare di tornare alla City di Londra, alle Bahamas, alle Isole Vergini, al Delaware, alle Cayman a Las Vegas  o a Monserrat e a un’altra decina di casseforti anglosassoni. Usa compresi che sono in realtà il paradiso fiscale più sicuro essendo uno dei 4 paesi che ha rifiutato di sottoscrivere, sia pure pro forma le regole di trasparenza bancaria insieme a Nauru, Vanuato e al Bahrein.

Nonostante questo la cosa potrebbe sembrare stravagante se non si sapesse che la filosofia ufficiale che circola tra i consiglieri economici di Obama è che la crisi può essere superata, esattamente come del ’29,  solo grazie agli investimenti esterni e dunque si fa di tutto per attrarre denaro da ogni parte per tentare il rilancio dell’economia Usa. Dunque un avvertimento di questo genere specie nel momento in cui la crescita stenta  e in cui vaste aree del globo tentano di dedollarizzarsi e di sottrarsi al dominio dell’ Fmi, è come il cacio sui maccheroni. Non mi soffermo ad analizzare queste tesi che paiono il frutto finale del dilettantismo specialistico (non mi viene ossimoro migliore) che ormai pervade la cultura americana: nella sostanza sono soltanto uno stratagemma per dar torto a Keynes pur ammettendo le sue ragioni. Sta di fatto che l’operazione Panama è stata pensata e si svolge su questi piani, potendo contare su “giornalisti” disposti ad accreditare e pubblicare dati di origine anonima se non sospetta. E anche -mi riferisco all’Italia – su informatori e politici  nel migliore dei casi incompetenti, ottusi e servili  che cercano di rincretinire tutti gli altri con discorsi infantili ed elementari dai quali viene bandita ogni domanda mentre si organizza la caccia al nome, oltretutto finta. Dovrebbero cercarsi qualche cervello off shore, non si mai.