anime morteAnna Lombroso per il Simplicissimus

Sarà successo anche a voi. A me accade di frequente che mi aiutino a capire i fenomeni del mondo intorno a noi, i comportamenti personali e collettivi, opere letterarie, romanzi e poesie ben più dei testi sacri della filosofia, dei manuali di sociologia o dei trattati scientifici, anche se quelli di antropologia criminale, giustamente molto contestati, avrebbero diritto, in età contemporanea, a riletture meno anguste.

In questi giorni a interpretare la fenomenologia del nostro ceto dirigente, delle mediocri figurine del governo, potrebbero venir buone  le Anime Morte di Gogol, quando ritrae  gli affetti da quella patologia che in russo si chiama poshlost’, e che Brodskij traduce con volgarità compiaciuta, una  falsa profondità, parente stretta di quel sentimentalismo facile che asseconda le trite mitologie di moda e le generalizzazioni banali, che si radica quando un individuo o un gruppo pensano di essere superiori  agli altri e di poter decidere per loro, quando occasionalmente e per lo più immeritatamente risultano vincenti nella storia e  inebriati dalla vittoria, convertono la responsabilità in dispotismo.

Si, perché sono soddisfatti della loro mediocrità, legittimata dal ruolo che ricoprono anche in ragione della loro modestia, della loro ignoranza esibita come una qualità, del  loro cinismo rivendicato come una virtù pubblica, nutriti da quella trivialità banale che nega il male riducendo le tragedie a incidenti inevitabili se non necessari nel cammino de progresso, del “benessere”, dell’arricchimento, con la stessa improntitudine appresa dagli apologeti di Stalin quando presentavano le stragi dei kulaki come costo indispensabile della storia, con la stessa sfrontatezza del poliziotto del mondo quando i suoi droni ammazzano civili nel corso di azioni di esportazione della democrazia. E che vale per giustificare la rapina di risparmi di cittadini, ad opera di criminali legali, l’esproprio delle loro pensioni, salari differiti estorti per non colpire le rendite. Ma anche per rafforzare quella narrazione perversa secondo la quale sarebbe per il nostro bene che si scelgano e finanziano opere inutili e dannose invece di risanare un territorio malato per via di attività insicure e tossiche, manomesso dalla speculazione che tira su case che nessuno può affittare e comprare  a causa di bolle, derivati e fondi velenosi, che si siano cancellate garanzie e diritti conquistati con secoli di lotte, per sostituire il lavoro con una servitù precaria e offensiva di civiltà e dignità, il posto con una fatica che obbliga alla rinuncia alla qualità della vita e alla salute.

Parlano del nostro bene non avendo conoscenza della loro natura, della loro “materia”, confondendolo nel loro protervo e illimitato egoismo e nella loro altrettanto proterva e limitata dimensione umana e razionale con il loro interesse privato e personale, con la conservazione delle loro posizioni, con la salvaguardia delle reti di relazioni intrecciate tra cricca e cricca, tra cupola e cupole, laddove le loro famiglie e solo le loro sono aziende da mantenere grazie alla promozione di un sistema assistenziale ad hoc, favorito da lelli corrotte adottate per indurre altra corruzione, clientelismo, profitto opaco.

Al di là del bene e del male,  dileggiano l’etica in quanto vieto moralismo, la solidarietà in quanto buonismo, la costituzione in quanto vecchiume, la democrazia e le sue istituzioni in quanto sistema obsoleto che è necessario aggiornare, la libertà in quanto rischioso contesto suscettibile di mettere in pericolo la sicurezza. Gli ilari imprenditori dell’Aquila diventano simpatici buontemponi, dirigenti di aziende assassine vengono presentati come vittime di regole arcaiche che ostacolano la libera iniziativa, manager incompetenti e criminali si accreditano come eroici servitori del bene comune, ministri sleali che emanano il puzzo dei loro inquinanti, del traffico illecito di rifiuti come di voti e consensi, vengono assolti in quanto dolcemente ottenebrati dall’amore, coniugale, genitoriale o figliale.

Si per loro vale Gogol, l’inferno ridicolo degli istinti più bassi in cui i diavoli commerciano con le nostre aspirazioni, si vendono le nostre vite e i nostri beni. Per noi invece andrebbe meglio Dostoevskij, perché abbiamo lasciato fare indisturbato Satana, se hanno vinto   l’apatia quotidiana e l’indifferenza al Male.