Anna Lombroso per il Simplicissimus

Niente di nuovo sotto il sole. Per quelli che hanno creduto al cambiamento movimentato come in discarica dal dinamico sfasciacarrozze, per quelle che hanno in buonafede creduto che la presenza della donne in politica avrebbe prodotto un effetto benefico di esaltazione di qualità di genere legate ad ascolto, cura, attenzione agli altri, compassione, sensibilità, per quelli che hanno pensato che all’eclissi dei partiti, alla sospensione dei luoghi e dei modi della partecipazione potesse corrispondere un risveglio di reazioni popolari, al coagularsi di fermenti e proteste capaci di assumere la forma di una opposizione forte e condivisa, della quale i referendum potevano essere la celebrazione concreta e appagante, beh per tutti loro, per noi, disgraziati spiriti profetici o soltanto disincantati, per chi è deluso e per chi non si era mai illuso, ogni giorno arrivano cattive nuove dal teatro del disinganno, dove si mette in scena  la necessità di rinunciare a garanzie, diritti,  certezze, dove pare si debba scegliere tra lavoro e salute, tra posto e ambiente, tra fatica e malattia, con l’ipotesi non remota di godere di tutte e due.

Dove è diventato obbligatorio credere alle reiterate bugie dell’uomo solo al comando che agisce in nostro nome anche se non è mai stato legittimato a farlo, mentre è stato incaricato a eseguire gli ordini di un padronato transnazionale,   un ceto costituito da grandi patrimoni,  alti dirigenti del sistema finanziario,  amministratori che si prestano all’avidità di proprietari terrieri, immobiliaristi,  latifondisti di ogni latitudine, capitalisti per procura, manager cui è data la facoltà   di decidere le strategie di investimento, i piani di sviluppo, le linee di produzione anche di quel che resta dell’economia reale, secondo gli indirizzi dettati da una cerchia ristretta  di banche, imprese, investitori e speculatori più o meno istituzionali, e applicati grazie a una giurisprudenza maturata in grandi studi felpati che scrivono leggi e instaurano principi, valori e  regole del diritto globale su incarico delle multinazionali, in grado di  trasformare una mediazione tecnica in una procedura inviolabile e perfino sacralizzata, se incide sulle nostre esistenze, inclinazioni, attese di vita e di morte.

Niente cambia: non so se la storia segua onde che si abbattono sulla rena arrotolandosi sul solito mare, forse è come una spirale che si avvita intorno all’infinito perno dello sfruttamento e dell’avidità. Certo è che pare abbiamo una vocazione a sopportare che le conquiste diventino privilegi da abbattere o mantenere arbitrariamente, che i diritti vengano retrocessi a elargizioni discrezionali. E che certi progressi, frutto dello spendersi di avanguardie ed élite controverse e contrastate, abbiano contribuito a personalizzazioni aberranti, a interpretazioni deviate e a testimonianze degenerate. Come nel caso delle presenze femminili sotto forma di quote rosa in compagini governative e non solo, fortemente propagandate  e che hanno assunto il ruolo di spot viventi dei peggiori stereotipi, di nefandi idealtipi della paccottiglia sull’eterno femminino, tramite una dark lady influente, matriarca, ancora in giovane età, di una casata di bancari sleali e incapaci,  femme fatale irrinunciabile per un premier che la usa e ne è usato, legato a lei indissolubilmente come in un vincolo dinastico grazie a interessi di famiglie e cricca opachi e criminosi. O per via della delfina di una schiatta industriale all’italiana, in odor di speculazioni, irregolarità, inquinamento, vittima dell’amore prodigato per un non nuovo archetipo di gigolò, un Bel Ami che trae profitto dalla circolazione tra i compagni di merende dei messaggini adolescenziali della sciacquetta al governo, come fossero petit bleu, tenendola legata con l’immancabile alternanza di blandizie e  elusività, di carezze e indifferenza, proprio come i seduttori della Belle Epoque, suscitando eccitazione e lacrime, istituto quest’ultimo molto in uso tra ministre addette al sopruso, plenipotenziarie e diplomatiche  dedite al respingimento e alla promozione di atti bellici, mentre il ciglio è asciutto di fronte a disastri ambientali, a sversamento ripetuto di veleni, a prospezioni deliranti, proprio come lo era quello della signora della Sanità seduta sul pingue pouf onusto di mazzette, ma non quello dell’emotiva  Marcegaglia nel guidare l’applauso rivolto agli assassini della Tyssen.

E non c’è speranza di cambiare se qualcuno gioisce dello sfrontato guappo a Palazzo Chigi, perché nel coronare i propositi del cavaliere, perfino nell’eterna lotta con i Pm rossi e lenti, grazie tra l’altro ai suoi provvidi interventi sui tempi processuali, avrebbe fatto piazza pulita di ingombranti attrezzi del passato. Se qualcuno di compiace della inedita sudditanza di un maschio costretto dal sistema di traffico di influenze illecite esaltato festosamente dal governo del fare e dello Sblocca Italia ad elemosinare favori in cambio di prestazioni dalla sua ganza in funzione più elevata di lui, proprio come in un remake dove Disclosure, la rivelazione, la dobbiamo alle indispensabili intercettazioni, anche quelle peraltro arbitrarie come tutto, se c’è chi se ne va  e chi invece resta per superiori ragioni di opportunità, quelle della crescita, dello sviluppo, condannato ad essere sporco, disuguale, impari, a beneficio di pochi e danno dei molti.

Non cambierà nulla se speriamo, per dirla con il mirabolante acchiappacitrulli  Zizek, che la salvezza venga da fuori, magari da Marte – e a Roma ne sappiamo qualcosa. Se ci auguriamo il tanto peggio tanto meglio, nell’illusione che grazie a un Tweet, a un “mi piace” suoni la sveglia per la collera e il  riscatto.