Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri per un po’ abbiamo tratto magra consolazione dal recupero vintage del desueto istituto del dirottamento in versione Romantica come una crociera Costa., che ci ha regalato un brivido conosciuto e già visto, rassicurante rispetto a paure attuali, più cruente, più sanguinose e cupe, che ogni volta ci sorprendono con modalità spettacolari e epiche, come fosse la prima volta anche se si ripetono preannunciate e prevedibili.
È che le polizie del regno sono diventate le protagoniste di “la sai l’ultima” e di “scherzi a parte”, in sostituzione dei nostri carabinieri accreditatisi ormai come eccellenze di efficienza, dinamismo e competenza. Barzellette, si, ma c’è poco da ridere se ormai per tranquillizzarci dovremmo puntare su possibili insuccessi militari del cosiddetto Califfato che via via starebbe perdendo il controllo dei territori annessi non solo idealmente, mentre proprio quelli potrebbero determinare un’accelerazione di azioni di “reduci” in Europa. O se, a dar retta ai filmati proposti dei giornali online, dovrebbe rasserenarci sulle intenzioni e sulla vera natura dei terroristi la visione dei loro balli e corteggiamenti in discoteca, che ci mostrano individui beneficamente influenzati dal rassicurante consumismo occidentale, mentre è proprio quella combinazione perversa di “normalità” e frustrazioni incollerite, di bullismo di provincia e potenziale ferocia, a rivelare la nostra incapacità di interpretare quello che ci circonda, succeda a Molenbeek o a Scampia, nell’hinterland di Liverpool o Londra , nelle banlieu parigine come nelle periferie di Roma o di Napoli.
E quando l’egotica missione degli attentatori suicidi, interessati a officiare la loro liturgia gloriosa e spettacolare tramite la loro morte più ancora che con quella delle vittime sconosciute (gli esperti dicono che un terzo dei kamikaze palestinesi non ha conseguito lo scopo di uccidere esemplarmente altri), consiste appunto nel rinnovare con il sacrificio la propria propaganda e promuovere affiliazione, mistero inconcepibile per noi, che abbiamo scelto di imporre consenso con altri sistemi di persuasione, guerra rivolta contro altri da noi, proposta più o meno obbligata di modelli esistenziali, offerta di beni e piaceri effimeri in cambio della facoltà di depredare risorse e territori.
Si, c’è poco da ridere, quando alla stregua di una risaputa storiella i commissari della “questura” europea raccontano di unità di intenti che dovrebbe ispirare la futura intelligence comunitaria, raggiunta quando di unico non resta nemmeno la moneta, quando governi xenofobi di destra sono stati autorizzati a alzare muri e stendere fili spinati, quando si appaga l’ossessione repressiva ottomana con quattrini investiti per ricacciare disperati, tenere sotto schiaffo la Grecia e passare sottomano bustarelle all’Isis, quando i soliti sospetti godono di inquietanti protezioni, omissioni, girano indisturbati tra Venezia, dove si va sempre volentieri, Parigi, l’Olanda, la Germania, inutilmente segnalati si dice, o forse benevolmente rimossi dalla memoria di servizi di sicurezza distratti, invitati dagli agenti ad allontanarsi da strade dove sono in corso operazioni di polizia, quando si sa che il loro bacino è quella zona grigia di potenziale manovalanza pronta a prestare la sua opera per le più disparate forme di criminalità, dallo spaccio alle rapine, dagli attentati alle stragi nucleari, a dimostrazione della tremenda confusione che regna sotto i nostri cieli, quando il suicidio diventa la facoltà formidabile per aggirare gli imperativi morali che condannano l’assassinio, proprio come lo è una guerra messa in atto da uno stato sovrano che legittima i bombardamenti di civili inermi, quando una retorica irrazionale accorda il permesso di annientare l’altro, con la violenza ferina o con burocrazie feroci che cancellano la persona riducendola a “vita nuda”, il che succede non solo nei confronti dei profughi in fuga, ma anche dei poveri in patria, spossessati di lavoro, diritti, beni, dignità.
Si, c’è poco da ridere se nelle città e non solo a Molenbeek, in quel pingue Belgio dove una monarchia poco chiacchierata copre con la sua discrezione poco appariscente una instabilità politica determinata dal configurarsi come grigio fondale per i palazzi e le trame del traballante regno europeo, e non solo a Parigi o in Germania, dove è stata testata l’emarginazione fino all’esclusione di immigrati diventati superflui e molesti a causa della crisi, siamo tutti a vario titolo esposti a predicazioni aberranti, quelle dei profeti dell’Islam come quelle di Salvini, Le Pen, Blair, Clinton H., Trump, che fanno proselitismo interclassista, mica solo tra sommersi, marginali, disperati, ma anche tra quei ceti un tempo benestanti che hanno scoperto la perdita di certezze e la censura sulle aspettative, che vivono la precarietà come una ineluttabile condanna, tanto che per alcuni la si sublima con soluzioni estreme e mortali, gettandosi a capofitto nell’abisso che si teme e dal quale si è attratti.
È perfino banale dire che i predicatori hanno presa perché abbiamo rinunciato all’indipendenza e all’autonomia. È perfino patetico giustificarci dicendo che ci hanno costretti in nome del mantenimento di una malintesa sicurezza, di un sedicente stato di necessità. È perfino ovvio dire che oggi possiamo salvarci solo ritrovando il coraggio della pace e della ragione, Ma forse siamo tutti candidati al buio dell’autodissoluzione, alle tenebre del suicidio, se ci siamo abituati a una “vita che non vive”, come è l’esistenza senza responsabilità e libertà.
Gentile Dottoressa, a dire il vero dottore lo sono anch’io, sia pure solo con una laurea nell’Eminentemente Inutile. Per cui mi permetto di dubitare che “oggi possiamo salvarci solo ritrovando il coraggio della pace e della ragione.”
Per due motivi. Primo, l’origine del cancro sociale attuale risale al 1948 e poi al 1967 quando il 51mo (o il primo a seconda dei punti di vista) stato americano ha letteralmente rubato agli autoctoni la loro terra scacciandoli e ammazzandoli come tigne.
Ai rimasti (parlando un po’ all’ingrosso), sono rimaste due armi, l’autodistruzione come supremo sacrificio e omaggio all’odio per una classe generalizzata. La quale classe, o ha chiuso gli occhi di fronte al crimine e genocidio, o l’ha magari approvato.
La seconda arma micidiale è demografica. Donne arabe o mussulmane in genere, hanno una fertilità media dagli 8 ai 10 parti per individuo. Due intervistati prigionieri dell’ISIS venivano da famiglie con 17 e 21 fratelli rispettivamente.
Chiediamocelo pure “chi artatamente lascia gli aitanti pezzenti a languire ai giardinetti, vicino a panchine proibite, che li costringe a arrampicarsi su muri impervi… etc.”
Ma, considerando anche le tare ideologiche e le condizioni imperial-geopolitiche attuali, il meglio che il mitico cittadino Travet può fare e’ bersi un caffè, o mettere un gettone in un flipper d’antan, se ce n’è ancora qualcuno in circolazione.
Visto anche che chi auspicasse soluzioni appena poco piu’ pratiche, incorre nella Sua censura.
In guerra, anche se non la si è iniziata per primi, non si va armati di margherite e buone intenzioni, dottoressa Lombroso.
Ovviamente non intendo la “guerra di civiltà” di Salvini & C., ma quell’invasione sempre meno pacifica che, volenti o nolenti, dobbiamo subire da parte di un’armata di aitanti pezzenti affamati di tutto, tranne forse che di pane e opere di bene.
Non credo siano i filmati del mainstream, sempre gli stessi raffiguranti donne e pargoli, a dare l’esatta misura della mare umana in moto.
I grumi minacciosi di prestanti oziosi che si accumulano nelle nostre periferie, penso che bastino a garantire quella pressione psicologica, per così dire, “giusta” per farci desiderare mezzi repressivi sempre più sbrigativi e sommari.
Con piena soddisfazione di un Potere che applica così la strategia della tensione più soft ed efficace al contempo, rafforzata dalla solita solidarietà donatataci in subappalto da chi, per censo ereditario e blasone umanistico, pontifica di grandi abbracci e fratellanze cosmiche pur nello stremo dall’estenuante lotta contro gli acari aggressori dei propri amatissimi persiani… i tappeti intendo.
vedo che lei è già pronto. Senza chiedersi chi artatamente lascia quelli che definisce gli aitanti pezzenti a languire ai giardinetti, vicino a panchine proibite, che li costringe a arrampicarsi su muri impervi, a soggiornare nella Giungla di Calais, aspirando ad andare dove nessuno li vuole e possibilmente evitando paesi inospitali che li tollera malvolentieri in qualità di spot propagandistico della necessaria guerra di civiltà dentro e fuori casa.