Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nulla è più inappropriato, inutile, sciocco – e lo sancisce anche la saggezza popolare, che chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati. O anche dopo che sono entrati e  minacciano di prendere a cornate lo stalliere.  Eppure non è solo l’ineffabile Sallusti con il suo editoriale odierno “Cacciamo l’Islam da casa nostra” a indicare la via più vieta, oscena e suicida. I social network, anche quelli più domestici come le istantanee di animali che li popolano, ospitano insieme ad analisi di fini strateghi, suggerimenti di improvvisati spioni e ricostruzioni di pungenti dietrologi, la ricetta per liberarci del nemico, cacciare gli immigrati, chiudere le porte alzare muri, stendere steccati e recinti, in difesa di quell’Europa che ha mostrato nei fatti dal novembre 2015 a ora la vacuità idiota di questa soluzione, l’inanità infruttuosa della strategia del respingimento, l’impotente e infame sterilità sella selezione tra disperati buoni e disperati cattiva, forgiata sulla differenza tra profughi cha scappano alla morte via bomba e quelli che vogliono sfuggire alla non diversa morte tramite stenti, fame, sete, miseria, espropriazione di risorse e dignità.

Eppure sono gli

stessi, in rete o sui media che esercitano un’antropologia e sociologia d’accatto visitando virtualmente Molenbeek come non hanno voluto fare con le banlieue messe in passato non molto lontano a ferro e fuoco, come non hanno voluto fare con i remoti sobborghi inglesi dai quali uscivano come da grotte vergognose e umilianti seconde e terze generazioni di immigrati a saccheggiare grandi magazzini e negozi. E come non hanno mai fatto con le nostre periferie tossiche dove imperano coop camorriste, clan malavitosi, organizzazioni fasciste e xenofobe che hanno come brand lo sfruttamento degli immigrati insieme alla loro demonizzazione, per nutrire quell’humus velenoso che fa crescere ostilità, diffidenza, conflitto, collera indirizzata contro chi sta sotto invece di prendersela con i responsabili, che come al solito stanno sopra.

L’avessero fatto riconoscerebbero che non ci vuole tanto a comprendere che  sotto l’ombrello delle missioni umanitarie e delle guerre esportatrici di civiltà e democrazia all’occidentale, dentro ai forzieri di Erdogan riempiti col petrolio dell’Isis, grazie alla circolazione di quattrini, tanti, anche sotto forma di fondi non meno perversi di quelli che ricattano comuni, pensionati, investitori rapaci o imprudenti, si è sviluppata una collera che ha sostituito la lotta di classe, condannata ad essere un molesto residuo arcaico, permeabile, e vorrei anche vedere che non fosse così, a rivincite irrazionali e a fanatismo,  esposta alla presa di una fede che offre protezione, riconoscimento identitario, casa comune e causa. E   dalla quale sortisce una leva di manovalanza che si concede al mercato della criminalità o del terrorismo, quello che con le sue performance stragiste autorizza Hollande a imporre restrizioni di libertà e a incrementare le sue guerre, il sultano ottomano a sbattere dentro oppositori, professori e giornalisti, l’Europa a chiudere le frontiere, a investire in armamenti, a moltiplicare i suoi atti e le sue dimostrazioni di sudditanza all’impero americano, militare e finanziario, a esercitare l’austerità anche come forma di pedagogia educativa per gli indigeni, in modo da abituarli all’ineluttabilità delle disuguaglianze, dell’asservimento, della rinuncia a diritti e democrazia.

Eh si ci vorrebbe poco a capire quanto possa essere ottuso ripescare i fantasmi osceni delle raccomandazioni della Fallaci, quando si è fatto proprio quello che lei suggeriva energicamente prima e dopo l’11 settembre, o quelli vigenti di Houellebecq, se per paura del codardo trapasso di una civiltà, quella occidentale-cristiana, che approda a una nuova era, l’islam, abbiamo scelto di rinunciare a quanto c’era di desiderabile, buono, democratico, umano, solidale e giusto per assecondare il fanatismo liberista, la teocrazia del profitto, la sopraffazione dei diseredati come riconferma di una sedicente superiorità.

Purtroppo abbiamo sbagliato. E il brutto è che rincorriamo e ci avvitiamo sugli stessi errori, rafforzando il pregiudizio con la paura, consegnandoci per essere protetti a chi ha dimostrato di saper essere solo carnefice.  Oggi sentir parlare di integrazione, accoglienza, pace suscita per lo più il profumo dolciastro del rosolio della signorina Felicita, tanto ci hanno abituato alla necessità improrogabile dello sfruttamento, alla inevitabilità del rifiuto, alla opportunità della repressione, anche se è dimostrato che  quell’amara medicina che dovremmo inghiottire per forza è un veleno che ci ucciderà.