Un errore può scappare e difatti più prima che poi scappa a tutti. Ma c’è errore ed errore e la clamorosa svista di Gasparri twitterante riguardo alla candidatura di Giorgia Meloni “a suo tempo le chiesimo la disponibilità” è troppo grave per non inserirla in un contesto di degrado che sembra coinvolgere sinergicamente la città e il personale politico che di fatto ne tesse i destini e la progressiva svendita. Certo Gasparri non è noto per essere un’aquila, ma da uno stagionato sessantenne che per giunta si ammanta della tessera di giornalista, che è stato persino condirettore di un giornale, benché si trattasse del Secolo d’Italia, non ci si aspetta l’impossibilità di coniugare il verbo chiedere.
Francamente tra la disonestà di fondo di una destra che è stata parte attiva se non preminente del disastro e la negligente, distratta etica istituzionale del marinismo di centro sinistra, la scelta non è entusiasmante, però non è di questo che voglio parlare quanto dell’analfabetismo di ritorno che ha consentito a un Gasparri ( ma è solo un nome fra tanti) di assumere per molti anni responsabilità di vertice. Non c’è dubbio che una delle cause della progressiva caduta di democrazia cui assistiamo – e non solo da noi – stia anche se non soprattutto nel ritorno dell’analfabetismo che di fatto comprime e deprime la diffusione e il confronto delle idee demandando tutto alla televisione, ossia al più semplice, elementare e last but not least controllabile dei media che di fatto e in maniera sempre più evidente agisce da grande fratello.
Non è un discorso generico: qualche hanno fa uno studio europeo fece emergere una realtà da brivido: solo in Italia abbiamo 2 milioni di analfabeti totali, 13 milioni di semianalfabeti in grado di leggere sillabando e di scrivere poco più della loro firma e altri 13 milioni di analfabeti di ritorno, ossia di persone che pur sapendo leggere e scrivere non sono in grado di comprendere uno scritto di media difficoltà e dunque non leggono nemmeno le istruzioni per elettrodomestici. Certo è un bello scacco a quella società della conoscenza che si profetizzava, ma è ancor più allarmante perché diverse ricerche hanno dimostrato che non esercitando determinate facoltà si finisce per regredire e perdere ciò che si era acquisito, che è appunto quello che accade. Mi permetto di aggiungere anche un quarto tipo di analfabetismo che chiamerei eidetico e che coinvolge sia la massa analfabetica, sia una buona parte di quelli che sono alfabeti funzionali, ossia sanno agevolmente leggere e scrivere anche se lo fanno quasi solo in relazione alle faccende pratiche o quotidiane: la mancanza di abitudine a confrontarsi con le idee le porta ad acquisire come spugne ciò che viene accumulato dal mainstream senza alcuna significativa capacità critica e a sostenere a spada tratta ciò che pensano di pensare, non riuscendo però in nessun modo ad argomentare e dare un senso a ciò che esprimono. Essi sono la dimostrazione della spontaneità naturale del conformismo. Messi alle strette in uno scambio concludono con un argomento infantile e spaventoso assieme: “io la penso così” coinvolgendo il loro primordiale diritto ad esistere come parte essenziale della dimostrazione.
Non so se la rete sia in grado di superare queste tendenze visto che per molti si tratta di un semplice pantografo dell’ego, ma ad ogni buon conto si nota una certa differenza di capacità fra i giovanissimi, abituati a leggere e scrivere, sia pure in un contesto di lingua povera se non ideogrammatica e gli appartenenti alle due generazioni perdute di questo Paese, quasi 40 anni ormai in cui l’evoluzione è stata intesa come omologazione. Ovvio che la pratica e l’idea stessa della democrazia sono entrate in crisi, visto che si tratta di un sistema politico dinamico in cui è insista l’idea di stessa di scontro e confronto: il capitale ha buon gioco nel disseccarne le fonti.
Ma comunque sia è evidente la ragione per cui Gasparri e la torma di suoi pari può chiesere e ottensere il voto con le quattro squallide chiacchiere che ripropone da trent’anni oltre che con il praticantato di servizio alla corte di reo Silvio nel contesto di una politica divenuta clientela. Dovremmo chiesire che si tolgano dalle scatole, ma mi sa che occorrerà imponerlo prima o poi.
Un errore può scappare e difatti più prima che poi scappa a tutti: “qualche hanno fa”.
(con rispetto, e non da anonimo – Andrea A.)
vi chiesiamo di uscire dai cojoni a iniziare da ronzino e compagnia pd
Dovrebbero risarcire la nazione in quanto la loro incapacita’ supera quello dell’asino piu’ somaro (con tutto il rispetto agli animali asini). Se avessero un po’ di etica dovrebbero scomparire e vergognarsi.
Il fenomeno ha radici relativamente remote, sia pure nell’ambito della storia contemporanea. Leggendo l’articolo mi sono ricordato di un programma della TV britannica, che argutamente prendeva in giro la cultura quotidiana dell’ufficio di una grossa azienda. Diceva il direttore, per esempio, “Non sono arrivato alla posizione (di responsabilità), che occupo senza non-sapere dov’è il Messico.” Morale, ignoranza quale espressione di cultura.
Come in molte altre esternazioni culturali (in senso sociologico), a dare il “la’ “ e’ stato, sia pure involontariamente, il “paese guida.”
Alle prime armi col mondo del lavoro, mi colpì il generale sospetto, diffidenza, per non dire commiserazione, con cui era considerata ogni espressione o commento che non aderisse a norme non-scritte, ma forse piu’ importanti di quelle stampate negli “Operation Manuals.” Assolutamente verboten, per esempio, qualunque parallelo storico o letterario. Altrettanto importante era il non rivelare, o meglio, nascondere che uno parlasse un’altra lingua.
Ai tempi di Reagan, la stampa ammirava la sua abilità di risolvere problemi complessi con una battuta, tipo ‘si’, ‘no’, e ‘me ne frego’. Col tempo queste tendenze percolano o si diffondono per osmosi nella coscienza collettiva – il tutto voluto e accelerato dalla convenienza commerciale per cui piu’ il popolo e’ bue (sempre offendendo il bue), piu’ crede alle palle generosamente raccontate dai molteplici canali pubblicitari.
Purtroppo questa forma di ammirazione indiretta e cultura dell’ignoranza non è facilmente affrontabile, anche se ci “lamentissimo” e “chiesessimo” che qualcosa sia fatto al riguardo.
“Chi non cede, insomma, finisce per soffrire di una doppia solitudine.”
SACROSANTE PAROLE!
Di una deprimente o inquietante solitudine.
Alla fine la gente oggigiorno si divide in due categorie: quelli che non sanno più pensare e giudicare e quelli che, sapendo pensare e giudicare, risultano noiosi o fastidiosi per la gente normale mentre vengono apprezzati proprio dal regime che è sempre in cerca di personaggi intelligenti e colti che sappiano costruire narrazioni false ma attraenti, discorsi politici e slogan subliminalmente efficaci, leggi e contratti incomprensibili ma che proprio per questo si possono solo firmare o votare, non certamente capire o discutere. Da qui nasce il paradosso che la persona intelligente e a cui il regime ripugna finisce per trovarsi come un pesce fuor d’acqua in mezzo al popolo che vuole difendere mentre sarà stimato e corteggiato tra coloro che gli proporranno di aiutarli ad affossare ancora meglio la gente comune. Chi non cede, insomma, finisce per soffrire di una doppia solitudine.