Anna Lombroso per il Simplicissimus
Avere o essere, pubblicato in Italia nel 1977, per molti mesi rimase sorprendentemente in cima alle classifiche dei libri più venduti, appassionando anche lettori poco abituati alla saggistica.
Il successo del libro di Fromm, dipendeva forse dall’apparente e facile “obbligatorietà” morale dell’alternativa proposta all’individuo contemporaneo tra due progetti di uomo: quello dell’avere, dominante nella società capitalistica dei consumi, tipico della società industrializzata, costruita sulla proprietà privata e sul profitto che porta all’identificazione dell’esistenza umana con la categoria dell’avere e del possesso; o quello dell’essere, della realizzazione dei bisogni più profondi, l’altro modo di concepire l’esistenza dell’uomo che ha come presupposto la libertà e l’autonomia che finalizza gli sforzi alla crescita e all’arricchimento della propria interiorità, sì da diventare protagonisti della propria vita e stabilire rapporti di armonia, pace e di solidarietà con gli altri.
Eh si, pareva così semplice, scegliere i valori della vita, del lavoro liberato, dell’utopia e del Socialismo contrapposti ai valori della morte, dell’alienazione e del capitalismo, quelli del riscatto dallo sfruttamento a quelli dell’avidità insaziabile che segna chi non ha e vorrebbe come chi ha e vorrebbe sempre di più.
Eppure non abbiamo voluto o saputo, costretti nella gabbia implacabile, inflessibile e ineludibile della crescita dissipatrice e senza limiti, del consumismo che ha ridotto tutto e tutti a merci, abbiamo rinunciato all’essere, con consapevolezza, dignità e responsabilità, senza capire che presto, proprio in ragione di ciò, avremmo dovuto rinunciare anche all’avere, perfino al desiderare, ricattati dalla “necessità”, oppressi dalla messa in ridicolo come visionaria utopia, di una possibile alternativa, costretti all’abiura di diritti, garanzie, certezze, aspettative, speranze.
Così niente è più nostro di quello che abbiamo ereditato, fossero conquiste, beni comuni, conoscenza, bellezza, cultura, tutto è commerciabile e quindi alienabile, la pretesa di ribellarsi alla sua espropriazione viene condannata come egoistico e velleitario contrasto al progresso, alla modernità, allo sviluppo, perfino alla conservazione della superiore civiltà occidentale, quella che opporrebbe la qualità alla quantità, la dignità delle persone alla barbarie, il futuro alla conservazione di tradizioni obsolete, di usi primitivi e di consuetudini selvagge.
Niente è più nostro. Ci lasciamo confiscare le città: a Venezia si sono messe all’incanto isole, palazzi storici sono stati concessi benevolmente alla speculazione e alla manomissione, a Firenze si concede il patrimonio artistico per eventi provati, sottraendolo alla cittadinanza e là come altrove l’abbandono e l’incuria sono finalizzate a esaltare i benefici della cessione a privati, sponsor, mecenati in vena di carità pelosa. A Milano nel 2015 fondi specializzati nel settore immobiliare, dagli inglesi del Meyer Bergman, all’abu Dhabi Investment Autorithy, al fondo sovrano dell’Azerbaigian Sofaz, per non dire di quello del Qatar, hanno acquistato aree e stabili per 3,2 miliardi. Da loro un avvicendarsi di premier e ministri sono andati con cappello in mano per elemosinare “valorizzazioni” e investimenti vendendosi la roba “nostra”.
Non va meglio col mare. L’Adriatico è proposto come vantaggiosa localizzazione per dinamiche trivelle a prezzi di favore: un permesso per un delitto ambientale può valere 5 euro e 16 centesimi al metro quadrato, nemmeno duemila euro l’anno. L’ordine regna nel Mediterraneo (ne abbiamo scritto qui https://ilsimplicissimus2.com/2016/02/12/servilismo-innato/ ) grazie all’occupazione della Nato, mobilitata per garantirci sicurezza e protezione dalle inquietanti orde di disperati in gommone, tra i quali potrebbero annidarsi terroristi in vena di viaggi avventurosi. Mentre rappresentanti del partito di maggioranza definiscono “bufale” le denunce che vengono dalla Sardegna: cittadini, pescatori, amministratori, politici, dopo il blocco di un peschereccio da parte delle autorità francesi, hanno chiesto venga bloccato l’iter di ratifica di un accordo italo francese, stipulato nel marzo del 2015 dal nostro ministro degli Esteri, Gentiloni, con il suo omologo francese, Fabius. Il trattato (ne riportiamo il testo) approvato per ora solo dal Parlamento francese, a dimostrazione che il film greco era il trailer del nostro futuro, prevede che l’Italia ceda dei “diritti” sul nostro mare a Nord dell’isola, con la rinuncia a una cospicua fetta di acque territoriali liguri e sarde, ricchissime di fauna ittica, quella fossa costituita da cinque punti di pesca, profondi da 550 a 900 metri, ribattezzati dai pescatori italiani Cimitero, Fuori Sanremo, Ossobuchi, Vapore e il Banco, uno scrigno naturale dove si riproducono e vivono i gamberoni rossi, specie pregiatissima e ricercata.
Non è più nostra nemmeno la storia del nostro riscatto, con la rinuncia alla Costituzione, con la consegna della democrazia nelle mani dei cleptocrati del neo-totalitarismo, con la sottovalutazione dei fascismi vecchi e nuovi cui dedichiamo un museo a Predappio da 4,5 milioni di euro, della cui qualità storica e morale non possiamo che dubitare.
Non saprei cosa sia ancora nostro, salvo il “nostro” debito pubblico, le “nostre donne”, rivalutate dopo i fatti di Colonia a ribadire la tenace cifra proprietaria del sessismo nostrano, i “nostri” marò, inviati senza mandato del Parlamento in missione militar-privata a fare da vigilantes a navi dal trasporto opaco e sospetto.
Se avete creduto che la vera libertà sia di chi non possiede nulla, sbagliavate. Forse varrebbe la pena di rileggere un altro libro di Fromm, quel Fuga dalla libertà nel quale si ipotizza che la condanna dell’individuo dell’Occidente sia quella di fuggire dalla libertà, di cederla per mantenere l’appartenenza alla maggioranza, al suo conformismo, all’assetto sociale egemone. luogo garante di sicurezza contro la solitudine, l’esclusione, la povertà, costringendolo, come ha detto qualcuno, a confinarsi in un grande campo di concentramento su base volontaria. E c’è da temere che sia così, a forza di innalzare muri, steccati, di disegnare confini, recinti entro i quali chiudere prima i disperati che premono, poi gli altri, i diversi, matti, zingari, malati, omosessuali, e poi gli oppositori, infine noi, colpevoli di aver accettato servitù, rinuncia alla dignità, espropriazione, i nullatenenti.
Credo che non ci si debba più meravigliare di queste cose. Dobbiamo pensare che noi siamo i nostalgici di un tempo che non esiste più, quello in cui ci facevano credere che esistevano gli stati e i popoli. Non esistendo più gli stati, non esistono più nemmeno i popoli. Certo, un domani i padroni del vapore (non certo noi!) potranno di nuovo ricostruire gli stati e i popoli, magari dopo averli ben rimescolati, ma per il momento questo è ciò che passa il convento. Ragionare in termini di mare nostrum significa ancora credere all’esistenza degli stati nazionali di una volta, ossia ragionare sulla base di ricordi o fantasmi. Ma questo blog ha già detto infinite volte la verità su cosa è l’Italia oggi, l’Europa oggi e il mondo oggi. Non è che è solo il nostro paese in vendita, è tutto il mondo ad essere in vendita e chiunque se lo può comprare, se ha abbastanza denaro. Leggevo su un settimanale stampato in Italia a beneficio della comunità romena locale (Găzeta Romanească) che il 40% della superficie agricola della Romania, a seguito di una legge del 2014 che ne ha liberalizzato la vendita, è ormai detenuto da stranieri, in particolare americani, italiani, francesi, danesi e olandesi. La zona del Banato, per esempio, è nella sua totalità in mano agli italiani.
Mentre si stanno avvicinando a grandi passi delle intollerabili modifiche alla nostra Costituzione non posso fare a meno di notare che è la Costituzione che c’è, e non quella “malefica” che ci sarà, ad aver presieduto al mutamento calamitoso del quadro esistenziale degli italiani e dell’Italia, ovverosia alla soppressione pura e semplice sia dell’Italia che degli italiani avvenuta tramite la cessione di sovranità effettuata dal nostro paese all’Unione Europea, cessione permessa sostanzialmente dalla attuale Costituzione attraverso la gabola della prevalenza dei trattati internazionali rispetto a quanto stabilito dalla Costituzione stessa.
Se poi i nostri mari vengono venduti al migliore offerente, è ancora il minor dei mali visto che tra poco (anno domini 2018) comincerà in Europa il processo di eliminazione del denaro contante che obbligando anche i bebé ad avere dei conti in banca digitali schederà ogni nostro acquisto completando quel progetto di controllo totale delle nostre scelte e preferenze perseguito dall’economia digitale in combutta con banchieri e governi. Ne vedremo delle belle, ma non chiamiamolo totalitarismo, per carità, se no la gente comincerebbe a provare nostalgia per i vari Mussolini, Hitler, Stalin o Ceaușescu!
L’ha ribloggato su PROFUMO DI DEMOCRAZIA E LIBERTA'.
Sempre a proposito di distruzione del nostro patrimonio naturalistico, bisognerebbe ogni tanto ricordare i 35.000 ettari di servitù militari, che insistono su una terra meravigliosa e violentata:
http://www.today.it/cronaca/sardegna-isola-militarizzata-basi-poligoni.html
vorrei il testo dell’accordo italo francese del marzo 2015 in fase di ratifica. Se ne parla come di una bufala. Urge una possibile verifica di quanto i pescatori sardi denunciano
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/pubblicazioni/buigmare2015.pdf