imagesI battibecchi euro italioti di questi giorni fanno pensare che i giorni di Renzi e del suo clan stiano arrivando al termine o che quanto meno il personaggio venga ormai messo in discussione dagli stessi poteri che lo hanno trascinato dai ceri e cappucci di provincia a Palazzo Chigi. Lo si sente nell’aria, nelle indiscrezioni, nelle cronache sempre meno entusiaste dei grandi giornali fiancheggiatori oltre che nei moniti della Ue: quando Juncker dice che ” non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati” è come se stesse dando il benservito al guappo di Rignano. Una cosa tutt’altro che sorprendente anche al di là degli errori commessi da Renzi e coagulatisi nella vicenda Banca Etruria: nella terra di nessuno che si estende fra la democrazia e l’oligarchia, la strada italiana verso l’autoritarismo è segnata dal rapido avvicendarsi di facce imposte ognuna delle quali rappresenta l’inganno della ripresa, del cambiamento o del ritorno a tempi migliori e deve essere sostituita non appena tale promessa truffaldina viene palesemente meno.

Altrove, come nella Francia degli eterni istinti bonapartisti viene favorito un passaggio diretto all’autoritarismo tramite le vecchie elites rivelatisi traditrici oppure in altri come nella Germania che ha goduto tutti i vantaggi dell’euro e del nuovo ordine, quindi con un consenso scalfito solo marginalmente, ci si preoccupa piuttosto delle deviazioni geopolitiche che potrebbero arginare il grande fratello americano, braccio secolare e armato del neo liberismo. E così i ricatti, i segnali di richiamo all’ordine si sprecano. Da noi dove il berlusconismo ha definitivamente portato a un immobilismo sostanziale in cui il vero potere è saldamente in mano a clan politico – affaristici, preoccupa soprattutto la necessità di tenere il Paese con la carota di speranze mal riposte e il bastone della paura, fidandosi che gli istinti grossolanamente reazionari di una consistente parte della popolazione permettano di tenere coperto il gioco. Si tratta prevalentemente di una questione di immagine, se non proprio di selfie sul nulla.

Così da qualche tempo ha preso fiato una sorta di prematura riffa sul dopo Renzi  nella quale si fanno strada sostanzialmente tre ipotesi: quella di un intervento diretto della troika, magari attraverso le delicate manine di Draghi (se vedi caso, chissù un’inchiesta sulla Banca d’Italia gli potrebbe soffiarela sperata presidenza dell’Fmi) o più probabilmente quelle dell’occhiuto Ignazio Visco nell’ambito di un governo di emergenza che tuttavia non consentirebbe quella “variabilità figurativa” utilissima nel nostro Paese; una sorta di soluzione istituzionale che per la quarta volta porti ai vertici una qualche faccia senza passare per elezioni e in questo senso viene mormorato il nome della Mogherini, che dio ce ne scampi; infine qualcuno pensa che il sistema di potere europeo e autoctono possa azzardare una mossa inattesa che quanto meno potrebbe dare una sensazione di novità per tempi un po’ più lunghi dei vari pinocchi di Palazzo e puntare sul movimento Cinque stelle, magmatico, ma proprio per questo scalabile a volontà come è avvenuto con Syriza. Il fatto che sulla stampa anglossassone comincino ad apparire articoli elogiativi sul movimento, nei quali Grillo non è nemmeno citato se non indirettamente come clown e sia invece portato sugli scudi Di Maio, la scomparsa dell’aggettivo populista dai report, la dice lunga sul fatto che anche questa ipotesi sia in campo.

Le possibili soluzioni sono tuttavia molte altre anche perché non tutto è determinabile nel dettaglio dai media e dal denaro, dai ricatti e dalle chiacchiere:  ma probabilmente la scelta di una soluzione e l’appoggio a quest’ultima dipenderà dagli interessi immediati e soprattutto dai tempi del nuovo gelo di crisi in arrivo, durante il quale l’euro diventerà indifendibile e insostenibile almeno nella periferia del continente: del resto la moneta unica ha già fatto gran parte del suo sporco lavoro politico e ora non c’è che da papparsi le banche, ciò che rimane del sistema produttivo e gravare i cittadini con nuove tasse impossibili e tagli di welfare per stroncare i ceti medi, proletarizzali ancorché non facciano figli. Probabilmente gli esperti di Bruxelles si attendevano che la nuova ondata di recessione facesse sentire i suoi segni premonitori molto più tardi nel tempo, ma non appena essa ha manifestato i suoi sintomi rendendo i conti italiani rossi come il diavolo e la legge di stabilità una bizzarra fantasia, è immediatamente passata alla demolizione del guappo. E lui non ha dalla sua che la difesa dell’opacità amministrativo – politica in cui consiste la residua sovranità italiana, dei vecchi equilibri di potere cui non piace che estranei vengano a buttare l’occhio. La variabile in tutto questo potrebbe essere data dai cittadini e dalla loro volontà di andare alle urne invece di sopportare nuovi colpi di mano, ma ormai è l’ipotesi più remota

Certo se il guappo di Rignano fosse un politico saprebbe sfruttare anche queste carte per rimanere in piedi, se fosse uno statista sarebbe lui ad indirizzare le forze centrifughe che ormai dominano in Europa, invece di esserne solo vittima. Ma è Renzi  e rischia di morire con un twitter.