L’altro ieri finalmente ho visto La grande scommessa, il film sulla crisi dei mutui subprime del 2007 – 2008 prodotto da Brad Pitt e oggetto di proteste e malumori da parte degli operatori di Wall street: non è un capolavoro, ma nemmeno un’opera noiosa riuscendo ad inserire movimento, suspence, narrazione e forse qualche comprensione dentro una storia e un canovaccio di per sé vocati al documentarismo. Però man mano che il film scorreva raccontando le vicende delle “scommesse truccate” che hanno portato all’esplosione della bolla immobiliare e alla crisi globale, sono stato pervaso dall’impressione che nemmeno gli autori del film si rendessero conto delle conseguenze di ciò che raccontavano: la chiave narrativa dell’avidità senza limiti, dell’immoralità e dell’irresponsabilità, smascherate senza remore, ha pietosamente nascosto il lato sistemico della vicenda, ovvero il fatto che nella mutazione da capitalismo produttivo a capitalismo finanziario, certi comportamenti da truffaldini diventano pressoché obbligati, logici, inevitabili.
Il film termina con la denuncia dell’impunità globale di cui hanno goduto i protagonisti della vicenda e dunque della prosecuzione nemmeno tanto sottotraccia delle logiche che hanno portato alla crisi globale: coraggioso certamente, specie se si tiene conto che siamo dalle parti di Hollywood, ma anche un modo per ribadire l’idea che tutto sia frutto di un’azione banditesca, favorita e coperta dal potere, ma pur sempre banditesca ed evitabile, non il frutto di un sistema che andrebbe radicalmente cambiato. Tutto lo grida nel film a cominciare dallo stesso personaggio interpretato da Brad Pitt, un ex brillante finanziere, rifugiatosi come un Thoreau, nella selva addomesticata della natura e del “naturale” stile XXI° secolo che torna in campo per dare una mano ad alcuni suoi amici, speculatori sì, ma in fondo portatori sani del sogno americano: insomma l’eroe buono che sguaina la spada del trader consumato. Per non parlare delle immancabili crisi di coscienza di un altro pescecane, afflitto dal suicidio del fratello e da conseguenti scrupoli morali pur lavorando per Morgan Stanley o dei doppiogiochisti bancari. Passa in secondo piano il fatto che la manipolazione delle scommesse sui mutui subprime viene in sostanza scoperta grazie alla possibilità di farci grandi profitti giocando a sorpresa contro titoli considerati sicuri.
Probabilmente l’idea di fondo che alla fine si vorrebbe suggerire è che il mercato rimane un regolatore ideale, che i guai creati dell’avidità sono risolti dall’avidità stessa, cosa assolutamente comprensibile nel mondo americano narcisisticamente intento a contemplare la propria intangibile eccezione , ma che a qualche spettatore europeo potrebbe dare l’impressione contraria e cioè che la manipolazione, gli interessi intrecciati tra controllori e controllati, l’idea stessa di annullare i rischi delle puntate finanziarie impacchettandole in meta scommesse, sono consustanziali al sistema, parte di esso e non un problema di mele marce e del loro potere anche sulla politica. Il tema principale ovvero che queste scommesse a tutti i livelli e in ogni settore economico raccolgono molto più denaro di quanto non facciano le attività stesse e che alla fine le infinite assicurazioni, riassicurazioni, extra assicurazioni contro i rischi finiscono per avere un valore complessivo di dieci volte superiore al rischio stesso. E’ l’assurdo del capitalismo finanziario che è tuttavia la sua specifica forma incardinata in un’idea di valore che prescinde dal lavoro o da altri ancoraggi (come era la convertibilità in oro, prima del ’71) : se il denaro non è più rappresentazione di un valore, ma il valore stesso, esso non potrà che essere ottenuto da altro denaro.
Certo ben vengano questi film che quanto meno tastano la piaga in un momento in cui la pubblica narrazione è del tutto priva di qualsiasi realismo e onestà al punto che l’amministrazione americana spaccia per nuovo lavoro e per ripresa, le attività più o meno episodiche dei pensionati, colpiti dalla drastica riduzione dei loro assegni e costretti a qualsiasi cosa per sopravvivere. Purché si sappia che il peggio non è passato, ma deve ancora venire.
Il Capitalismo non è un cesto di mele sane con qualche mela marcia. Né un cesto di mele marce. Più semplicemente, è un cesto marcio che fa marcire tutta la frutta che contiene.
Come universalmente noto, anche se nella voragine insondabile di un’indifferenza senza fondo, Hollywood e’ la fanteria del potere. Films o documentari di questa risma funzionano come anticorpi ideologici contro la sia pur remota possibilità di una presa di coscienza collettiva da parte della “mal creata plebe, che sta nel loco onde parlare e’ duro, quasi fossero pecore o zebre.” (INF, XXII).
Nella fattispecie, imbonire il becero pubblico e fargli credere che le stangate applicategli siano dovute a pochi corrotti, mentre la corruzione e’ programmata, parte dall’alto ed e’ generale, endemica e irrimediabile, come un cancro terminale.
anche il mito del pubblico innocente vessato da un potere criminale serve al potere stesso, che non sarebbe tale se non avesse milioni di volenterosi carnefici al suo servizio.
Esempio pratico: la fuffa finanziaria tipo derivati viene progettata ai piani alti delle banche, ma poi viene venduta ai clienti dai singoli dipendenti (che anche se non sono esperti come le menti “raffinatissime” che hanno progettato i derivati, ne sanno abbastanza per capire che sostanzialmente è m…a fritta impacchettata in cento confezioni successivie a mò di matrioska, e che quindi il pacco gigantesco finale che viene venduto non è altro che carta che copre m,…a fritta), e viene comprata da gente che si beve che potrà fare soldi anche mentre dorme (cit. di Clinton), anche se gli è stato insegnato fin da piccoli che i soldi non crescono sugli alberi Campo dei miracoli.
IL potere è tale perchè ha venduto l’idea che il profitto a qualsiasi costo è cosa buona e giusta, e senza tale idea non ci sarebbero nè i suoi servitori (che pensano di essere lautamente compensati per il loro servizio), nè le “vittime” (che comunque sognano anche loro di fare soldi dai soldi).
Il film ci fa vedere cosa hanno combinato i geni della finanza dieci anni fa e l’imbroglio è talmente noto, che ormai anche Hollywood, da molti anni al servizio del potere finanziario, si può permettere di ricostruire gli eventi.
Il problema è sapere quali fantasiose truffe stanno architettando i Gordon Gekko di oggi, visto che il campo dei mutui subprime sembra esaurito.
In ogni caso, aspettiamo la prossima bolla e relativo crollo finanziario, nella speranza che un film americano, magari una produzione indipendente, ci dia qualche dritta in anticipo.