trivelle fotoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ci eravamo ormai abituati a sperare che Cassazione e Consulta potessero salvarci da ulteriori   iniquità e oltraggi a leggi e ragione. Ma pare che il regime abbia imparato a farsi furbo, intervenendo sulle sue stesse “riforme”  in modo da indebolire qualsiasi forma di opposizione.

È successo con i tre dei sei quesiti referendari proposti da dieci regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) contro le trivellazioni. La Cassazione  ha trasferito sulla nuova normativa entrata in vigore con la Legge di Stabilità il sesto quesito,  quello “strategico” sulle estrazioni in mare e sulla durata del giacimento.  Due secondo la Corte sarebbero stati in parte recepiti dalle modifiche approvate in Parlamento ed entrate in vigore con la Legge di Stabilità.  E gli altri sono dichiarati  inammissibili salvo quello che riguarda i divieti  di trivellazioni per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, demandato alle decisioni sulla congruità della Corte Costituzionale.

Il camouflage operato sulla Legge di Stabilità l’ha trasformata in una Legge Truffa, grazie all’approvazione di emendamenti governativi che apparentemente risponderebbero alle obiezioni sollevate dalle regioni e riprese dai quesiti referendari, ma che invece grazie a  un gioco delle tre carte, tra abrogazioni e aggiunte, rettifiche  e elusioni, mimetizzano, per rilanciarla in grande stile, la ripresa delle attività petrolifere in terraferma e in mare e persino entro le 12 miglia dalla costa.

Con la solita cieca protervia e nella totale e barbarica indifferenza per interesse generale, ragioni dell’ambiente e  lungimiranza,  è stata cancellata la predisposizione del “Piano delle aree” (strumento di razionalizzazione delle attività oil & gas), si è introdotta una opportuna  modifica della norma del codice dell’ambiente, nella previsione di far salvi tutti gli interventi collegati a “titoli abilitativi già rilasciati” — all’entrata in vigore della legge di Stabilità — “per la durata di vita utile del giacimento”,  si creano le condizioni con le quali i procedimenti entro le 12 miglia marine sono solo sospesi e non chiusi definitivamente, si istituisce   un doppio regime di titoli (permessi di ricerca e concessioni di coltivazione/titoli concessori unici), criterio di salvaguardia della separazione delle attività puramente fittizio e che invece permetterà alle società del greggio di scegliere arbitrariamente e a propria discrezione, in come e dove agire nel nostro Paese.

Regioni, comitati, associazioni di cittadini, gufi incontentabili, hanno annunciato battaglia, tacciati immediatamente di retrivo disfattismo, per non compiacersi del dinamico attivismo perforatore che investirà il Paese in barba a ogni ragione di convenienza, visto che  se si decidesse  di “sfruttare” i fondali dell’Adriatico si potrebbero estrarre, entro il 2020, 22 milioni di tonnellate di idrocarburi, a copertura del  fabbisogno di 4 mesi di consumi  quando la domanda di petrolio registra ormai un trend in flessione, per via della crisi ed anche di un sia pur lento cambiamento nel sistema energetico, prodotto dall’elettrificazione dei consumi e dall’efficienza.

Ma qui non si parla di benefici per la collettività, non si parla di vantaggi per tutti: a dettare legge, e “riforme” e misure e norme, è la voce del padrone, in questo caso quella dei signori del petrolio, i veri beneficiari dello sfruttamento di quei giacimenti del quale noi cittadini  ben poco, se calcoliamo il valore delle royalties per le estrazioni, le più basse del mondo, delle ricadute nefaste sulla qualità delle risorse e dell’ambiente, della pesca, del turismo.

Il catalogo dei loro appetiti insaziabili, così come l’ha compilato il Ministero dello Sviluppo Economico inventariando   le concessioni autorizzate per le ricerche e lo sfruttamento, enumera  90 permessi di ricerca per la terraferma e 24 per i fondali marini, cui si aggiungono le 143 assegnazioni per «coltivazioni» di idrocarburi già individuati a terra e 69 in mare. Ma a preoccupare non è solo il volume di territorio investito dall’ossessione a scavare, perforare, trapanare, per arrivare al centro della terra? Come in un incubo faustiano. È che le trivelle insultano alcuni dei paesaggi più straordinari e vulnerabili, dalle Tremiti, nel parco naturale del Gargano, al largo di Foggia,   oggetto di un permesso elargito  alla Proceltic Italia srl, un sacrificio ambientale consumato per 5 euro e 16 centesimi al metro quadrato, nemmeno duemila euro l’anno, al Canale di Sicilia e alle coste tutte,  salvo Marettimo, Favignana e  Levanzo, unica area vietata a ricerche e perforazioni, da   Pantelleria  a Marina di Modica, da Portopalo di Capo Passero a Marzamemi. Se volete potete mettere le bandierine dell’obbrobrio sulla mappa d’Italia:   Rimini, Ravenna,   Pesaro e Senigallia,  e poi Ancona e il Conero,   fino a Termoli. Per non parlare della Puglia, ne Brindisino e nel Leccese e fino a Santa Maria di Leuca. E in Calabria e in Sardegna, in Basilicata, ma anche in Lombardia, in Abruzzo, in Toscana, in Lazio e in Piemonte, nelle Marche e in Veneto.

Sarà bene mobilitarsi tutti per contrastare questa campagna  della guerra dichiarata ai beni comuni, all’ambiente e alla salute (il milleproroghe  prolunga di un anno la licenza ad inquinare  per tutti “i grandi impianti di combustione per i quali sono state regolarmente presentate, alla data del 31 dicembre 2015, istanze di deroga” in attesa della “definitiva pronuncia dell’Autorità competente”), in nome di una sicurezza fatta di ordine etnico, di una crescita ad uso di giganti crudeli, di un lavoro ridotto a fatica senza diritti e garanzie. Non possiamo sperare in una salvezza che viene da fuori, su da Marte e nemmeno giù da sotto il mare, dobbiamo difenderci da soli.