David-Bowie-costume-wallpaperNonostante su Wikipedia la voce David Bowie sia quattro volte più lunga di quelle dedicate a Newton, Einstein e due volte quelle di Mozart, Beethoven o Wagner, non c’è dubbio che la sua fortuna non sia tanto legata alla vasta, debole e camaleontica produzione musicale, quanto al singolare aspetto, così straordinariamente androgino e ambiguo che lo ha fatto assurgere a personaggio iconico. E’ insomma l’immagine quasi perfetta del personaggio di immagine e di mercato, non un uomo venuto dallo spazio, ma ahimè fin troppo terrestre.

Infatti se l’innovazione musicale di cui tanto si parla a sproposito dopo la sua morte è più che altro una leggenda metropolitana, un filo d’arianna spezzato nel supermercato del pop rock e delle sue infine varianti, David Bowie è stato invece un vero pioniere nella gestione della sua immagine e del suo patrimonio. Nel 1997, prima star a farlo, mise al sicuro i propri diritti d’autore con una di quelle operazioni da casinò finanziario che poi sono divenute la norma. Riuscì a farsi 55 milioni dollari, vendendo i Bowie bond, ossia dei titoli legati ai guadagni futuri delle sue produzioni più famose uscite prima del 1990. Il che gli permise di incassare questa somma enorme senza per questo rinunciare alle royalties sulla produzione successiva, ancorché modesta, ma garantita dal nome. Cosa che lo ha reso uno dei più ricchi sudditi di sua maestà.

Questi titoli vennero gestiti dalla Prudential Insurance, la quale le immise sul mercato offrendo un interesse decennale del 7,9%, vale a dire del tutto fuori mercato all’epoca, ma garantito a pieni voti da Moody’s con la tripla A.  Era chiaramente un azzardo visto che le hits più note di Bowie risalivano quasi a trent’anni prima, ma con il contemporaneo diffondersi della musica on line il titolo entrò in una spirale negativa e nel 2004 i Bowie Bond erano già spazzatura e vennero liquidati per pochi soldi.

Al momento però l’operazione fu immediatamente seguita da altri, Rod Stewart, Iron Maiden, Ashford&Simpson, Motown, Isley Brothers e quant’altri: dietro tutto questo c’era la banca d’investimento e di finanza speculativa The Pullman group,  molto attiva in campo musicale che in qualche modo ha fatto scuola visto che in anni più recenti la Goldman Sachs ha fatto la stessa cosa per i più “sicuri” Bob Dylan e Neil Diamond. Per non parlare della Advanced Royalty  o di un altro “banchiere della musica” recentemente accusato di  prestare soldi a interessi del 2,5% ogni 10 giorni, presi poi direttamente dai diritti d’autore.

Insomma il mondo musicale oggi è questo, stretto fra editor e creatori di immagine, banche d’affari, finanza creativa e strozzini. Un mondo che si occupa più di interessi che di suoni, popolato da falsi ribelli, aspiranti personaggi, maschere del nulla  e ammorbato da una soffocante mediocrità che si moltiplica e uccide il gusto.