Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ogni giorno ci tocca assistere ad un crescendo di codarda infamia nell’accanimento di chi sente di appartenere ad una categoria superiore, per diritto dinastico? per ubbidienza a regole comuni di una èlite?  per arrogante autoproclamazione?   per amicizie, familiarità, subalternità premiate tramite l’accesso a posizioni, rendite, privilegi, sì da essere assimilati alla casata del Grillo? esercitato  verso gli “altri”, perciò diversi dai più, quindi inferiori, quindi molesti, tali da suscitare nausea e rifiuto. Perché puzzano, come scrivevano degli italiani i newyorchesi dei primi del Novecento, perché mangiano cibi differenti dai loro, perché hanno inclinazioni e preferenze affettive e sessuali non conformiste, perché professano altre religioni, perché sono poveri, perché non si integrano, quando con questo termine si vuol significare l’obbligatoria e doverosa rinuncia a identità, credo, valori e principi, il rispetto di doveri e la volontaria abiura di diritti, che riguarda anche nativi riluttanti all’assoggettamento e indigeni poco propensi a dire sempre di si, anche quando non interrogati.

Spesso mi sono chiesta che cosa muova l’infingarda condanna e riprovazione di chi rivendica di vivere e professare la “normalità” rispetto a chi vuole vivere con libertà e dignità altre attitudini, altri comportamenti, che cosa nasconda di profondo, rimosso con vergogna, temuto come un demone interiore. Perché non basta la spiegazione confessionale: tutela di vincoli unicamente destinati alla santificazione della divinità attraverso la procreazione, nemmeno quella pretestuosamente “biologica”, la continuità  della specie, né tantomeno quella “politica”, che delega a maggioranze poco distinguibili la tutela di valori monopolizzati dalla religione riassumibili con la formula di temi “eticamente sensibili”, come se una morale di parte, ancorché più numerosa debba diventare etica pubblica. Queste ultime motivazioni spiegano le timidezze di un partito indifferente al pensare comune e anche al consenso, ormai perfino quello elettorale, unicamente attento invece solo ai voti di sostegno al suo governo, le farneticazioni arcaiche sul matrimonio come vincolo “naturale”  non soggetto ai mutamenti sociali e antropologici, consegnato a  regole giuridiche  immodificabili, pronunciate davanti a sentinelle e piazze a pagamento.

Ma non giustificano le crociate della barbarie, della menzogna e della calunnia dei “difensori della famiglia”, che poi è la loro nel senso più caro a Riina e Messina Denaro, un’associazione cioè che vuole imporre modelli, comportamenti, rituali rispondenti ad interessi esclusivi e mai limpidi.

L’ultima trovata messa in campo per alimentare meschine guerre tra poveri ha trovato il suo cavaliere templare nell’Adinolfi, che dopo qualche incursione sulle impervie strade dell’antropologia, della morale, della teologia, troppo ardue per un pokerista, sebbene aduso al bluff, ha scelto di muoversi in campi più terreni e più soggetti ad avere presa su un pubblico impaurito, frastornato, derubato ogni giorno di certezze e prerogative.

Insomma sarebbe imperativo fermare il percorso parlamentare della legge sulle unioni civili tra persone delle stesso sesso perché aprirebbe la strada al fallimento dell’Inps, impreparato ad affrontare l’ondata di nuove pensioni di reversibilità di gay regolarizzati.

Infamia su infamia, quindi. Non solo perché pensioni e benefici che ne derivano per coniugi sopravvissuti, altro non sono che compensi differiti, che i lavoratori pagano ogni mese in previsione della fine dell’attività lavorativa ed anche per tutelare chi resta se  non ha potuto provvedere personalmente a assicurarsi una vecchiaia dignitosa, come è sempre più probabile grazie a leggi e riforme che hanno cancellato conquiste del lavoro. Non solo perché lascia intendere che il vincolo tra due persone dello stesso sesso contempli solo motivi di interesse, sia pure minimo, mentre è dettato da aspirazioni a dare un contesto civile a affetto, solidarietà e aiuto reciproco. Non solo perché vuole alimentare ostilità verso chi vive in maniera differente da una supposta maggioranza, meno meritevole di accedere a diritti e garanzie, per far dimenticare   che i diritti non sono soggetti a gerarchie, sono indivisibili e che le vere stagioni dei diritti sono quelle in cui diritti individuali e diritti sociali procedono insieme, come scritto nella Costituzione.

Ma appunto, tutto si spiega: nel profondo di un ceto cinico, spietato e sprezzante di principi e valori di uguaglianza e libertà, albergo l’odio, o forse l’invidia, per l’amore, per la bellezza, per la democrazie, per la Carta che ne è il “manifesto”. E per l’umanità. Per colpa loro sempre più rattrappita e condannata a strutturarsi per sottrazione, grazie a  una continua opera  di “rimozione” di coloro i quali non sono ritenuti degni di farne parte, quella schiera di “altri”,    poveri e disoccupati, precari e immigrati, donne e omosessuali, vecchi e malati, sotto-persone alle quali vengono negate eguaglianza e dignità. E’ il momento di metter loro paura: i destituiti per legge di umanità possono diventare un esercito.