Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è chi sostiene che il celebre dipinto “I coniugi Arnolfini” non sia solo l’apologia dell’amoroso vincolo matrimoniale che legava il facoltoso mercante di Lucca Giovanni Arnolfini trasferitosi  a vivere nella pingue e attiva  Bruges, e la moglie Giovanna Cenami, ritratta con un abito che vuole esaltare la forma tondeggiante del ventre, simbolo della fertilità, con accanto il cagnolino, simbolo di fedeltà e gli zoccoli a rappresentare costumi probi e laboriosi, come si richiedeva a una donna intenta a promuovere una felice unione familiare.

Secondo alcuni storici invece sarebbe un omaggio postumo che Arnolfini dedicò alla giovane moglie morta di parto, come molte giovani donne di quei secoli nei quali la maternità rappresentava un pericolo, e trascuratezza, scarsa igiene, nessuna profilassi ne falcidiavano le esistenze, senza risparmiare nemmeno le più abbienti, accudite ed amate.

Tanto che divenne, sembra, una consuetudine, ricordare e trasfigurare quelle vittime, attraverso dipinti post mortem, che le ritraevano nei panni di madonne in dolce attesa.

Pensavamo che quei tempi fossero finiti. Speravamo che per le donne la maternità desiderata non fosse una malattia a rischio e quella indesiderata una colpa da punire sui tavolacci delle mammane o nelle cliniche sbrigative e costose dei primari, magari obiettori in ospedale. Dimenticavamo che in tempi di crisi, economica, sociale, morale, finisce che si muoia di più,  di ricatti: o il posto o la salute, di rinuncia a cure e prevenzione: sono gli “effetti collaterali” della cancellazione del Welfare, di disorganizzazione: falansteri sanitari non garantiscono assistenza e controlli, largamente affidati allo spirito di servizio del personale, di megalomania: esistono  strutture ospedaliere disseminate sul territorio, spesso abbandonate o con una paio di reparti malfunzionanti, che non operano nemmeno come prima accoglienza in grado di  distribuire  i malati in centri appropriati, di disuguaglianze sempre più profonde: Nord e Sud, pubblico e privato. Trascuravamo che la nostra contemporaneità ha talmente distorto valori e qualità delle relazioni e dei sentimenti, da permettere interpretazioni aberranti dell’amore e delle sue conseguenze, possesso e violenza, gelosia e sopraffazione fino all’omicidio, emarginazione e malattie come punizioni per inclinazioni non conformiste.

Forse ci racconteranno che la benedizione del cielo di un figlio deve essere ispirata da spirito di sacrificio, fino a persuaderci che solo le privilegiate hanno diritto a viverla senza paura. D’altra parte di fronte al ripetersi in questi giorni di morti “innaturali” di madri in attesa –  tre negli ospedali di Brescia, Bassano del Grappa e San Bonifacio (Verona),  e poi  il 29 dicembre una ragazza di 23 anni, incinta di nove mesi,  morta in casa a Foggia per cause da accertare;  nel Policlinico di Modena, dove una donna di 27 anni, già dimessa, ha perso il bambino durante il travaglio il giorno di Natale, e a Sanremo, una ragazza di 22 anni che ha perso il figlio alla 41esima settimana di gravidanza, dopo una gestazione che non aveva dato problemi – non ci sono state risparmiate diagnosi secondo le quali, indovinate, le cause sono da attribuire all’età sempre più elevata delle donne in gravidanza, come se si trattasse di una libera scelta, non imputabile al fatto che la genitoralità è diventata un lusso, alle difficoltà di un sistema sanitario in deficit, come se fosse una responsabilità di cittadini ipocondriaci, allarmisti e spendaccioni, dediti al ricorso dissipato a Tac e risonanze, a un personale poco motivato, come se i tagli a medici,  infermieri  e tecnici non siano destinati a produrre turni massacranti, disaffezione, trascuratezza proprio come succede nella scuola, nella sicurezza, nei servizi, e dove i tempi delle grandi assunzioni erano contrassegnati da pratiche clientelari e familistiche.

Ma la ministra Lorenzin ci rassicura: anche in questo l’Italia è in linea con la media dei Paesi europei  con un rapporto pari a 10 decessi ogni centomila nati vivi, che corrisponde a una media di 50 morti l’anno. Si tratterebbe di “drammatica casualità” tenuto conto che di “gravidanza si può morire”. E ad alcuni sindaci siciliani che le avevano chiesto di tornare sulla decisione di chiudere un punto nascita, motivata dal numero di parti inferiore ai livelli di sicurezza (ovvero meno di 500 all’anno) costringendo le partorienti del territorio a recarsi all’ospedale più vicino, con tempi di percorrenza di più di un’ora e mezza, affrontando oltre 75 chilometri di curve e mettendo a repentaglio la propria vita e quella della propria creatura, ha risposto:  “Sono io a chiedere alla Regione Siciliana di mettere in campo gli strumenti perché in tutte le zone dell’isola le donne possano avere la garanzia di quegli standard di sicurezza che oggi fanno della sanità italiana uno dei Paesi più avanzati del mondo in cui fare nascere i bambini…. La vita di una donna e del suo bambino non possono essere lasciate in mano alla disorganizzazione di strutture con personale generoso e attento ma numericamente insufficiente, privo di strumenti per la diagnostica, con aperture part time”.

Ecco è la “politica” che più si addice al governo, quella che va sotto l’ombrello ideologico del “sono cazzi vostri”, come quando Mattarella si affligge per famiglie in sofferenza,  come quando Boschi solidarizza con i risparmiatori truffati, come quando i sindaci di Roma, Genova, della Calabria, della Sardegna vanno in visita ai comuni alluvionati, come quando in forma bipartisan concordano che, certo, i profughi sono tanti, alcuni non legittimati a “emigrare”, come se le guerre cui abbiamo partecipato e desideriamo contribuire ancora fossero sfortunati fenomeni naturali.

Ecco non c’è più nulla di naturale nemmeno nella pioggia, nella speranza di vivere meglio, nella maternità, eventi soggetti alla “fortuna”, al caso, condizionati dall’accesso a quelli che un tempo erano diritti e ora diventati privilegi, prerogative per pochi, erogate e concesse dietro pagamento e limitati a pochi sempre più ricchi a danno di tanti, sempre di più e sempre più poveri, più poveri dei “proletari” e che non hanno più nemmeno la libera facoltà di avere figli.