smogAnna Lombroso per il Simplicissimus

Oggi non mi sentirete dire che il susseguirsi di emergenze,  soggetto continuamente evocato nella narrazione  politica,  altro non è che l’aberrazione nutrita artificialmente di fenomeni lasciati deteriorarsi, suppurare e marcire in modo da legittimare misure eccezionali ed autoritarie, leggi speciali e soggetti assolutistici, esautorando e destituendo di potere e competenze rappresentanze democraticamente elette,  organismi statali e enti di vigilanza e controllo.

Perché una vera ce n’è, potente ed ormai incontrollata, e largamente sfuggita di mano a un ceto dirigente incapace e impotente, assoggettato a un padronato globale tanto da aver dato le dimissioni  da ogni forma di pensiero e  volontà indipendenti. Ed è frutto tossico proprio di quel processo secondo il quale ogni stato anomalo, ogni condizione che sconfina dal contesto naturale in quello “insolito”, imprevedibile o rimosso, sarebbe suscettibile di diventare opportunità, secondo la litania tanto cara ai sacerdoti della comunicazione: nella lingua cinese la parola crisi è costituita da due ideogrammi, l’uno a rappresentare il problema e l’altro l’occasione positiva. Peccato che le occasioni favorevoli originate da accidenti e congiunture siano buone solo per chi ha interesse a imporre restrizioni di democrazia e libertà, per chi è determinato a persuadere della necessità della rinuncia – a garanzie, conquiste e diritti, per chi è riuscito a convincere una maggioranza di teste impagliate della obbligatorietà di cedere sovranità e autodeterminazione in cambio di protezione,  di una sicurezza manu militari e di un ordine repressivo.

Succede infatti che l’avidità, la smania di appagare appetiti, l’indifferenza per l’interesse generale e ormai anche per il consenso, una volta retrocesso il voto a timbro a conferma di decisioni imposte dall’alto  facciano sì che le bombe rudimentali scoppino in mano agli incauti soldati della guerra intrapresa contro lavoro, ambiente, diritti, stato sociale, come nel caso delle banche “infedeli”, come nel caso del Jobs Act, come nel caso della ripresa ormai sbeffeggiata perfino da Madame Lagarde, come nel caso della partecipazione alle coalizioni esportatrici di democrazia, con la generalessa da operetta, mostrine e gradi sul tailleur pastello,  che reclama  una leadership bellica per conquistare un posto al sole cruento della guerra di civiltà, come sull’immigrazione, condannati – senza trattativa o negoziato – a terra di frontiera vocata a accettare senza accogliere, a confinare senza integrare, a svolgere la funzione di mastini  che mostrano i denti, di questurini  che prendono le impronte con la forza, agli ordini di  una “amministrazione” tanto burocratica quanto spietata.

E come nel caso dell’emergenza di Natale, quella di città avvelenate, di centri urbani soffocati non certo imprevedibilmente da fumi pestilenziali, come Pechino, più di Città del Messico, Atene, più delle tradizionali capitali dello smog e dell’egemonia del carbone dell’Est, a conferma che lo sviluppo insensato e dissipato secondo la nostra “civiltà superiore” è come Giano bifronte: una faccia rivolta al progresso, una girata all’indietro, allo sperpero barbaro, all’oltraggio irrazionale, allo sfruttamento sregolato e perverso, per andare sempre più veloci, per far crescere alberi più alti,  produrre merci sempre più effimere e frutti sempre più insapori, per coprire sempre più suolo  con cemento, di case, strade, centri commerciali, garage dove far dormire sempre più auto sempre più inutilmente potenti  in aperta e folle contraddizione con buonsenso e aspirazione al benessere, se intendiamo così lo stare bene, e perfino con i proclami elettorali, i programmi dei think tank,  le slide e i tweet dei governi, che hanno introiettato messaggi elementari: disincentivare la motorizzazione individuale, promuovere la rotaia in sostituzione della gomma, investire nel trasporti pubblici alimentati con rinnovabili, favorire la conversione del riscaldamento e il risparmio energetico, per contrastarne l’attuazione con misure, leggi e strategie improntate all’egoismo ecologico, alla supremazia di modelli “proprietari”  che ispirano la pianificazione del territorio, le politiche urbane, la realizzazione di infrastrutture.

L’incrudelirsi della mal’aria delle città non è certo un fenomeno imprevedibile o inatteso e tantomeno “naturale”, che di naturale ormai c’è poco perfino nei terremoti e negli tsunami. E per questo suona ancora più derisorio e squallido l’affannarsi del governo, che richiama alla necessità di dare risposte “coordinate e di sistema”, con l’enunciazione di principi generali ai quali, come d’abitudine, non seguono provvedimenti e azioni concrete se non la raccomandazione obliqua a rinnovare ad acquistare vetture più “verdi” o una indiretta tassazione sull’inquinamento, e la più originale e ispirata delle quali consiste, come ha chiesto il ministro dell’Ambiente, nell’abbassare il prezzo dei biglietti dei mezzi pubblici “per invogliare la gente a lasciare a casa l’auto”, dopo che sono stati costretti a usarla abitualmente dalle carenze del trasporto pubblico o corrotti da modelli di consumo e culturali.

Che poi è lo stesso governo che, Lupi vigente o tramontato, ha scelto di trasformare l’urbanistica in scienza del controllo sociale, in modo che una volta  riprodotte nell’abitare, nel muoversi nella città, nel godere dei servizi o del paesaggio o del patrimonio artistico, le disuguaglianze, divengano una condanna spietata e ineluttabile, la ribellione alla quale possa essere e soffocata all’interno di enclave, ghetti, periferie impenetrabili gli uni agli altri. Lo stesso governo che ricorda il suo impegno anti inquinamento “grazie agli stanziamenti di 60 milioni per invitare a trasportare le merci sui treni”, ma investe in autostrade inutili e deserte e in regalie ai loro signori e padroni, in varianti ridicole e futili, sognando di ponti e grandi opere. O che accelera la privatizzazione delle ferrovie, così come si è innamorato dell’alta velocità, in modo da “valorizzare” treni di lusso secondo l’immaginario di emiri e sceicchi, a danno dei pendolari o del trasporto commerciale su ferro. O che lascia in un cassetto da due anni il ddl di riforma del trasporto pubblico e i relativi stanziamenti in parchi di mezzi non inquinanti, per non dire dell’occasionalità delle misure per l’efficientamento energetico nell’edilizia. O lo stesso “regime sporcaccione” che a ogni giro di poltrona ministeriale rispolvera il piano di decarbonizzazione, come fanno peraltro tutti i governi che hanno partecipato alla Cop 21 di Parigi, autori di letterine di Natale, piene di buone intenzioni, ma determinati a continuare a razzolare male in una strada lastricata di interessi opachi e autolesionisti, di rinvii e pause di riflessione, di dilazioni, proroghe, sospensioni e deroghe.

Per una volta la speranza è che piova, governo ladro.