1792_elezioni-spagna-podemos-pontilenewsL’Europa, intendo la sua oligarchia non il continente, i suoi Paesi, la sua cultura è al capezzale della Spagna temendo di contrarre il terribile morbo che ha portato alla crisi del bipartitismo. Un’idea, una visione importata di peso dal mondo anglosassone, perseguita da leggi elettorali ad hoc (vedi nota) che è servita negli ultimi trent’anni a  mortificare la rappresentanza popolare, a privilegiare la governabilità sul cambiamento dando per scontato l’immutabilità delle relazioni sociali (ovvero l’antitesi della politica stessa), portando alla creazione di false alternative costituite da partiti fotocopia, divisi solo da etichette. Che soprattutto è stata funzionale alla mutazione perversa dell’europeismo in regime finanziario e monetario.

Queste logiche sono entrate in crisi e hanno dato vita a movimenti di destra e di sinistra in contrasto le eliltes tradizionali ormai subalterne ai poteri economici che ormai come in Francia, in Italia, in Gran Bretagna, in Portogallo e come è avvenuto in Grecia emergono dal malcontento e dal disorientamento diventando credibili sfidanti. Non sarà certo l’accusa, mai peraltro definita di populismo delle informazioni di regime a fermarli, tanto più che il vero populismo e la demagogia delle elemosine è in realtà il terreno principale delle governance tradizionali che in questo modo cercano di resistere o di contrattaccare.

Tuttavia i problemi di governabilità come quello spagnolo non nascono dall’ampiezza della contestazione quanto invece dalla difficoltà di scrollarsi di dosso i condizionamenti culturali, i miti e l’egemonia culturale del pensiero unico. Questo in alcuni casi può portare come in Grecia al vero e proprio tradimento delle promesse, altrove come in Spagna la potenza subliminale delle incertezze e dei ripensamenti, forse l’assenza di una chiara visione alternativa, può provocare la perdita dei consensi potenziali e dunque l’emergere di situazioni ambigue. Un anno fa, prima del disastro Tsipras, Podemos era dato come primo partito di Spagna mentre adesso in termini di voti è al quarto posto, dietro Ciudadanos e circa alla metà dei socialisti. Hanno pesato le sempre maggiori corrività nei confronti della governance europea e delle teorie austeritarie, la santificazione dell’euro, l’appannarsi dei temi sociali e come se non bastasse persino la difesa ad oltranza di Tsipras. Così adesso un partito che avrebbe potuto benissimo veleggiare sul 20 per cento rendendo possibile un governo che scalzasse i popolari di Rajoy è al 12 %, Probabilmente Iglesias e il gruppo dirigente se ne sono resi conto tanto che adesso condizionano una loro partecipazione a una coalizione di governo a un referendum sull’indipendenza della Catalogna, vale a dire l’esatto contrario della tesi accordista che Podemos aveva sostenuto appena a settembre per le elezioni nella regione ribelle.

Insomma Podemos ha inesplicabilmente rinunciato a sfruttare a fondo la crisi di credibilità delle forze tradizionali e in particolare dei socialisti, inaugurando una propria via all’ambigua e incerta attendibilità. E questo o almeno anche questo, ha creato quei vuoti nella politica spagnola a cui si deve in sostanza l’ingovernabilità. Certo è probabile che si arrivi a un esecutivo di destra con l’astensione socialista che sarebbe una manna per un movimento come quello di Iglesias che ancora non ha deciso cosa fare da grande, ma è certo che senza un’idea politico sociale in radicale contrasto col liberismo, le sue manifestazioni istituzionali e i suoi strumenti, la governance europea sarà bombardata solo da falsi allarmi.