merkelDi solito quando parlo di idiozie americane vengo preso da una noia senza fine: perché certo la cretineria non conosce confini e abbonda dovunque, ma quella made in Usa è così prevedibile, così commercializzata, così pacchianamente egocentrica da non poter che suscitare tedio e monotonia prima ancora che disgusto. Ed è così anche per la copertina del Time che elegge la Merkel a uomo dell’anno (cambiato in “persona dell’anno” nel 1999), nel solco di una tradizione imperiale un po’ patetica, perché davvero chissenefrega di cosa pensino in un settimanale di all american boy che di fatto è l’erede spirituale e intellettuale del Reader’s Digest. L’ onore della copertina, tra l’altro graficamente orribile, è stata concessa alla cancelliera tedesca per aver tenuto insieme l’Europa nella vicenda greca e in quella dell’immigrazione di massa (dovuta alle guerre di Washington, ma questo è omesso).

Già questo la direbbe lunga sui veleni che stanno covando le elites di oltre atlantico, ma basta andare un po’ indietro nel tempo per accorgersi che Angela Merkel è stata ben più protagonista e determinante nel tenere in piedi l”Europa che piace all’amministrazione americana negli anni cruciali di inizio crisi: che insomma la copertina l’avrebbe meritata dal 2008 al 2012. Certo al Time potrebbero non essersene accorti, ma comunque non avevano motivo per una scelta del genere solitamente dettata da ragioni non rivelate al pubblico, tanto che nel 2007 avevano ricevuto l’input di sbattere in pagina come persona dell’anno Putin  come nuovo zar  e normalizzatore dell’immenso Paese: un alleato prezioso per contener l’ascesa della Cina se solo non si fosse poi rivelato così ostinato nel perseguire gli interessi della Russia.

La stessa cosa accade con la Merkel: la copertina l’ha ricevuta per gli stessi motivi di fondo, ossia per aver guidato il gregge europeo allo scannatoio delle sanzioni contro Mosca, anche a costo di resistere alla furibonda opposizione del sistema industriale tedesco e  di trovarsi in prima linea nel conflitto ucraino. Il premio viene dato come riconoscimento di tanto merito e di incoraggiamento a proseguire su questa strada. Per gli Usa si tratta di una questione vitale, cioè di mantenere il dominio mondiale da cui dipendono le sorti della propria economia e del progetto liberista: impedire a tutti i costi la multipolarizzazione spodestando gli Usa dal trono di unica e onnipotente guida. Così come avviene da più di un secolo l’impero anglosassone cerca a tutti i costi di sabotare ed evitare un asse tra Mosca ed Europa che costituirebbe un osso troppo duro da rodere.

E’ chiaro che la Cina pur con la sua gigantesca economia è legata agli Usa per il suo sviluppo manifatturiero e non può ancora essere un contendente a tutto campo, mentre la Russia da sola ha non poche difficoltà a riprendersi il ruolo di deuteragonista di un tempo: ma se Mosca potesse contare su una vicinanza all’Europa e in particolare a Berlino le cose cambierebbero e di molto. Così per isolare la Russia l’Europa diventa fondamentale. E vedete non è nemmeno un caso che la copertina della Merkel arrivi in singolare coincidenza con l’affermazione del Front National in Francia e i sussulti “indipendentisti” di Renzi che chiede di  non rinnovare automaticamente le sanzioni, ma di discuterle. Un simile posizione, del tutto incoerente e inaspettata è probabilmente stata suggerita dai medesimi ispiratori  di persone dell’anno: è sempre utile non scoprire il gioco, mettendo in campo sussulti alternativi specie se questi vengono da servitori di provata fedeltà e comunque di secondo piano: conferisce una sorta di spontaneità a mosse studiate e preparate, così come il gobbo induce a credere che i mezzibusti dei tiggì non leggano e parlino a braccio.

Inoltre allentare momentaneamente il guinzaglio, mentre si esalta la retta via, può limitare il crescente malcontento verso situazioni caotiche e assurde che mettono in crisi la credibilità e dunque la capacità di guida delle elites. O può venire buono per tutelarle, come in Francia, da spiacevoli imprevisti nonostante tutto il duro “lavoro” fatto.