Niente meglio dell’operazione che avrebbe annientato una cellula jahdista fra Italia e Kosovo, è utile a esemplificare la fabbricazione della sindrome da terrorismo e il terreno di equivoci, di non detto, di bugie e negazioni dell’evidenza nel quale si radica. Cominciamo col fatto che i tre fan del Daesh in Italia non possono nemmeno essere arrestati perché in realtà non hanno commesso alcun reato, né erano in possesso di armi o di materiali compromettenti: in pratica questi non hanno fatto altro che dire su Facebook che Francesco sarà l’ultimo papa, cosa che del resto dicono i seguaci di Malachia e che molti cardinali sperano ardentemente, di essersi fatti dei selfie bellicosi, di aver utilizzato dei miti della violenza culturale dell’occidente come Van Damme e Rambo per esaltare il Daesh e soprattutto di aver “minacciato ” la da poco ex ambasciatrice Usa a Pristina: “L’ebrea americana dice che il nuovo Governo (kosovaro s’intende ndr) combatterà la corruzione… io dico a questa signora che finché loro saranno in Kosovo non esisterà la giustizia… questa miscredente merita la punizione con la sharia”.
Tuttavia la pistola di fabbricazione serba e una vecchia carabina da caccia arrugginita trovate in casa di uno dei corrispondenti degli “affiliati” in Kosovo potrebbe far pensare che avrebbero potuto passare all’azione. Ora è evidente che se tutto questo ha permesso a bimbo minchia Alfano di fare la coda del pavone, si configurerebbe come un errore clamoroso: dove la si va a trovare una cellula terrorista che agisce in chiaro su Facebook? Una fortuna davvero insperata per penetrare la rete del terrore, tanto più che dopo tante chiacchiere e prese in giro sulla sicurezza si apprende della chiusura dell’ufficio di polizia postale di Gorizia, ossia quello che dovrebbe tenere sotto controllo il dark web ai nostri confini orientali e persino della sezione di polizia di frontiera.
Ma la colpa non è certo della Digos perché è evidente che si tratta di un’operazione telefonata da Pristina, per motivi al momento sconosciuti. E quando si dice Pristina si dice Washington perché il Kosovo non è altro che una vasta area attorno alla più grande base americana dell’est europa, il Paese stesso non è che una zona ritagliata dagli Usa per loro uso e consumo, un coacervo insensato di serbi, albanesi, musulmani, ortodossi opportunamente in lotta tra di loro. E dico opportunamente perché la situazione è ampiamente favorevole al mantenimento del potere imperiale che di fatto dirige politica, polizia, istituzioni, burocrazia, lasciando che il resto si traduca in disoccupazione e in uno stato di corruzione tra i più alti al mondo.
Quanti cittadini europei sanno che il Kosovo è un Paese in fuga? Che su meno di 2 milioni di abitanti c’è un esodo continuo di migliaia di persone verso il centro Europa, una vera e propria migrazione che solo nella prima metà di quest’anno è stata di 60 mila persone su 230 mila che ci hanno provato? A sette anni dalla cosiddetta indipendenza decisa e voluta a tavolino dagli Usa con il consenso servile degli europei, al solo scopo di farne una luogo di forte presenza militare e al contempo di potenziale produzione di caos balcanico, non si è stati in grado di costruire un ambiente minimamente vivibile per i cittadini che appena possono se ne scappano. E che Washington si incarica attraverso servizi, ong e naturalmente diplomatici, di tenere comunque in condizione di cattività, impedendo una qualunque normalizzazione. E’ notizia dei giorni scorsi che il governo di Pristina si è rimangiata persino la firma sugli accordi di Bruxelles per i rapporti con la Serbia: meglio tenere l’area in perenne fibrillazione.
C’è però un problema: dopo essersi serviti della popolazione musulmana per distruggere la Jugoslavia, adesso gli Usa temono che questa (utilizzata anche nel reclutamento dei terroristi anti Assad) crei problemi inaspettati nel loro territorio colonia, visti gli ultimi sviluppi della situazione mediorientale. E dunque cercano di tamponare qualsiasi sintomo in questo senso, coinvolgendo artatamente anche altri Paesi europei per farli sentire minacciati e dunque per eliminare qualsiasi capacità critica.
“governo della minchia”
ahhh… arieccoce con i fracesismi 😉 😉
Errata Corrige: laddove si legge “affilati”, leggasi “affiliati”, ‘of course’. Pardon.
Fanno tenerezza per quanto sono ridicoli, a partire da quel ‘sinequid’ che firma le disposizioni ministeriali sopra la dicitura ‘Il Ministro degli Affari Interni’ con una X, il quale si autoglorifica se da un’intercettazione emerge in maniera lampante che i voti della Mafia se li è presi il suo angstromico micropartitucolo.
Prego ogni mattina che gli affilati al Daesh, o i terroristi fai da te (che sono anche più pericolosi) considerino l’Italia come il resto dei G-8: una macchietta da avanspettacolo pre-scarpettiano, ché al solo sentirla nominare, pensando ai nostri ultimi quattro Premier, si scompiscino dalle risate, e, di conseguenza, non prendendoci sul serio, ci lascino nell’ombra in cui la nostra politicanticola ci ha relegati da decenni.
Prego altresì che l’intelligence nostrana sia dotata della suddetta più dell'(ir-)responsabile che soprassiede al suesposto dicastero (il cui punteggio al test di Terman oltrepasserebbe le tre cifre, ma col meno davanti…). Che il ciel ci scampi! Non so se son peggio i terroristi o gli imbecilli che gli rendono più agevole il macabro lavoro…
Noto brevemente che le decisioni su quali paesi colpire, Italia sì o Italia no, sono presumibilmente prese ad un livello ben più alto della manovalanza dei perpetratori materiali al punto che si potrebbe dire che non è mai esistito un atto di terrorismo autoctono ma solo terrorismo eterogestito e “altogestito” per così dire e questo sin dal tempo degli attentati anarchici dei secoli scorsi. Sopra al manovale c’è un comandante e sopra il comandante uno o più rispettabilissimi mandanti, anzi, nazioni-mandanti. Terrorismo in qualche modo teleguidato e simile al fenomeno dei droni, tutto scienza e zero improvvisazione. Chi davvero improvvisa, viene arrestato prima ancora di varcare l’uscio di casa.
C’è poi un altro motivo che spingerebbe alla speranza che l’Italia non venga colpita: che l’assassino non torna mai due volte sul luogo del delitto. Fuor di metafora l’Italia è già stata colpita dal terrorismo e in modo molto più pesante della Francia in quella che si è d’uso definire la stagione degli anni di piombo (che sia già stata dimenticata?) in cui la matrice altogestita è riconoscibilissima dal ruolo assunto dai servizi segreti italiani nel depistare sistematicamente le indagini. Se l’abito fa il monaco, Francia e Italia sono due cose diverse, non correlabili. Ma se l’abito non fa il monaco e si guarda alla sostanza delle cose, si deve riconoscere che l’Italia ha avuto un ruolo di battistrada nella storia del terrorismo moderno e ha già dato, abbondantemente dato.