Anna Lombroso per il Simplicissimus

Domanda stringente del cronista, che ficca il microfono aggressivo come un’arma in bocca al passante: Scusi lei sa chi era presidente del consiglio nel ’94? Risposta: Sa che non mi ricordo? Domanda: Quante volte è stato premier D’Alema? Risposta stupefatta: ma che, D’Alema è stato premier? Domanda:  Lei ricorda chi è stato presidente della Repubblica prima di Mattarella?’” Risposta: Ah Giovanni aiuteme, nun me ricordo. E ancora: Scusi, prima di Renzi che governi ci sono stati? Risposta: Ma Berlusconi, è ovvio.

Oggi la solitamente nefanda “Aria che tira”, ineguagliata passerella di nani e ballerini contemporanei, corifei di Renzi, avanzi ‘da’ galera, che sarebbe quel che merita la molto presente Fornero,  poliziotti plaudenti gli assassini di Aldrovandi, manager e boiardi corrotti e spudorati, ci ha offerto invece, involontariamente, questo straordinario pezzo di televisione o meglio, questa formidabile lezione di storia, che chissà quanto avrà fatto patire presidenti convertitisi in monarchi, premier obsolescenti, leader dimenticati o rimossi da un popolo che ha sempre dimostrato scarsa attitudine alla memoria e,  di conseguenza, all’autocritica.

La risposta più irresistibile  è stata quella alla domanda: Senta, si ricorda che cosa faceva prima di essere presidente del Consiglio Matteo Renzi? e, serio e compunto, l’intervistato fa: Sindaco di Firenze e prima non so, mi pare il comico.  Non siamo sicuri se la sentenza sia irriverente, logica o soltanto  frutto di una lecita confusione tra leader di popolo, reduci della Ruota della fortuna, di Doppio Slalom o istrioni professionisti. Certo è che sembra il meritato sigillo sulla  carriera pubblica di un melenso imitatore di Pieraccioni, su un emulo del Ceccherini, anche lui, proprio come il segretario del Pd, “indirettamente” coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale, insomma su una figurina del filone toscano più becero e zotico.

Ce la saremmo goduta di più la breve inchiesta, se l’occasione per effettuare questa rilevazione “casalinga” non fosse stato l’imprescindibile  soffietto all’ex direttore di tutto diventato annalista, sulle tracce di altri altrettanto perniciosi nel ristabilire la verità dei fatti e nel “leggere” la storia a scopo “divulgativo” e pedagogico: Montanelli, Gervaso, Bocca, Pansa, tutti più o meno al servizio di quell’interpretazione di parte, a quell’uso pubblico a disposizione di oscene pacificazioni o di nutrimento propagandistico di inimicizie, quando non semplicemente voluttuosa manifestazione di quel voyeurismo pettegolo e dissacrante che gode nel vedere Napoleone in vestaglia, Stalin in mutande, Berlusconi che trotterella dietro alle sua Lola Lola come il professor Unraat, Hitler che si droga. Operazione quest’ultima che ha suonato il requiem della nostra storiografia, un tempo gloriosa, e non innocentemente pettegola come parrebbe,  se invece suscita decodificazioni distorte e aberranti, sottovalutazioni infami, benevole indulgenze nei confronti dell’uomo a discapito della condanna del despota, del malfattore, del tiranno.

Da anni ci si lamenta giustamente del  percorso regressivo di questa scienza, nelle mani di historiographes du roi, di consiglieri di principi rabberciati, di usignoli dell’imperatore e di intellettuali organici, accusati di indottrinamento da parte del potere, provincialismo, il cui ruolo analitico e pedagogico, troppo spesso limitato a patinati sussidiari e manuali, sarebbe stato oscurato da altre “professioni”più graditi e attrezzati nell’indagine del presente,: economisti, sociologi, demografi, politologi.

Ed egualmente da anni   l’obbligo, non solo didascalico e collettivo, della memoria si riducono a giornate commemorative,  a liturgie che sconfinano nell’uso perfino commerciale del ricordo, liquidato in forma di celebrazioni e parate sempre più vuote e futili, passerelle di notabili dediti alla menzogna, cerimonie retoriche preliminari a una desiderabile rimozione di colpe, responsabilità, vergogne. Tanto che ormai l’unico che ricorda con efficacia

Ed è davvero  paradossale che a scrivere con successo di critica, di pubblico e di  regime, di memoria e di storia siano i giornalisti, quelli che per mestiere – il più antico e disdicevole ormai: meglio molto meglio fare i pianisti in un casino, recitava un vecchio aforisma – manipolano la cronaca, per piegarla a voleri superiori, che sussurrano o gridano a comando, che ci informano sulle realtà e verità suggerite nel totale insolente disprezzo del loro dovere e dei nostri diritti, in modo da contribuire preventivamente a orientare la storia, a creare una memoria collettiva drogata o mutilata. O troppo affollata, ormai, di immagini, suggestioni, bugie, trucchi, tanto da farci desiderare l’oblio, quello di Monti, di Letta, di Napolitano, legittimi, ma purtroppo anche quello della speranza. Ormai l’unico che ricorda, senza limiti, senza censure, senza incertezze è Google.