Anna Lombroso per il Simplicissimus 

Quando ci provò Tremonti immaginai che impulso avesse animato il suo inconscio, insieme a una sua affettuosa e istintiva devozione per interessi speculativi. Ci scommetto, pensai, che si vede come il piccolo Giulietto nei panni di Tadzio, mentre col suo costumino a righe erige castelli di sabbia fina fina come cipria sulle spiagge del Des Bains. Perché, ammettiamolo, è naturale che a tutelare privilegi, che ormai vanno sotto il nome di moderne e profittevoli valorizzazioni, siano quelli che ne hanno goduto, che vogliono conservarseli come appannaggio esclusivo, siano essi rampolli di dinastie e ultimi nati di azionariati, manager tirati su  col latte iniquo della Bocconi, principini del foro o baroni delle cliniche o accademici familisti magari mischiati col sangue blu di qualche latifondista o gattopardo.

Macché adesso anche sanguigni ex cooperatori, corpulenti e rubizzi ragionieri, piccoli imprenditori spregiudicati ben addentro nei labirinti offerti dal Jobs Act o nelle acrobazie della tollerata evasione, esigono che beni comuni come le spiagge passino da proprietà di tutti a riserva di pochi, per benevola concessione in cambio di favori, voti, sostegno elettorale, prebende e regalie e probabilmente qualche ombrellone riservato, qualche lettino confortevole, qualche bagno selezionato in acque cristalline.

Il sistema per Tremonti come per  i due nuovi Righeira, i senatori   Bruno Mancuso, intercettato e indagato con l’accusa di aver pilotato appalti per opere mai realizzate,  e Marcello Gualdani, salito alle cronache solo in occasione dei ben 10 voti ricevuti alle elezioni per il Presidente della Repubblica, in quota “siciliani”, che propongono di allungare di due anni la sanatoria sugli stabilimenti balneari facendovi rientrare tutti i procedimenti fino al 30 novembre di quest’anno attraverso una moratoria “fotocopia” di quella già inserita nella manovra 2014, è sempre lo stesso, insolente e sfacciato: pretendere che restino “pubbliche” mentre sono interdette a chi non paga. L’argomentazione è assolutamente identica a quella usata anche per l’acqua:il bene rimane pubblico, solo la gestione è privata.

Naturalmente il fronte che comprende Ncd e Forza Italia – ma possiamo scommettere sulla tacita e nemmeno tanto segreta solidarietà di un ampio numero di fan Pd, a cominciare dal sottosegretario Baretta un vero combattente del bagnasciuga a sostegno dei padroncini delle spiagge – prende a pretesto la tutela degli interessi di un nucleo ristrettissimo “di stabilimenti balneari, circa 200,  sull’orlo del fallimento, i cosiddetti ‘pertinenziali incamerati’, piccolissime imprese che con la legge finanziaria Prodi del 2006 si sono viste aumentare i canoni a centinaia di migliaia di euro l’anno, che con gli arretrati sono arrivati a milioni di euro”. È quindi necessaria una sanatoria in attesa, indovinate un po’, della riforma epocale del settore promessa dal governo Renzi.

Non ci vuol molto a immaginare le slide con le barchette, gli ombrelloni, i secchielli, le palette e la sabbia a seppellire le spiagge comuni, il diritto per tutti a godere di un bene già molto ridotto, se  da metà degli anni ’80 a oggi sono stati praticamente “cancellati” 222 chilometri di litorale, al ritmo di quasi otto all’anno: la grande colata  di cemento non distingue fra i tre mari che ci circondano: 1.257,3 chilometri su 1.784,9 trasformati sul Tirreno; 706,2 su 1.309 lungo l’Adriatico e 485,7 su 808,5 nello Jonio.

A anticipare quello che sarà dei nostri litorali ci ha già pensato l’istituzione del  criterio del silenzio assenso   previsto dalla legge Madia che incrementa i rischi, come dimostra l’esperienza di questi anni,  quando da un capo all’altro della penisola, si sono verificati casi di opere eseguite forzando i vincoli delle procedure, anche prima dell’introduzione di questo meccanismo automatico.

Racconteremo ai nostri nipoti delle domeniche al mare, diventeranno squisiti reperti d’antiquariato i film di Fabrizi e la Ninchi, attrezzati con la terrina di pasta fredda e l’ombrellone issato sul tettuccio della Topolino. E Ostia, Fregene, Capocotta, ma anche Rimini e Riccione sono destinati a diventare come la Costa Smeralda svenduta al Qatar dove quel poco che non è occupato da relais di lusso e stabilimenti esclusivi è interdetto grazie alla proibizione di accesso ai parcheggi vigilati da guardiaspalle ai comuni mortali, compresi quelli che per una volta vogliono vivere come in un cine panettone.

E dire che  la prima procedura d’ infrazione che aveva accolto l’ex commissario alla concorrenza Monti al suo insediamento a Palazzo Chigi, ammoniva l’Italia e la richiamava al rispetto della direttiva Bolkestein  con l’intento di scardinare il regime di monopolio degli ombrelloni, imponendo di mettere a bando le concessioni demaniali alla loro scadenza. E poi non ci si venga a dire che il governo e la sua “diversamente maggioranza” è succube dell’Europa: macché, sulla linea del bagnasciuga non si arrende e disubbidisce.