Agrodolce
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Se un premier o un suo manutengolo vantassero come un grande successo la perdita di un miliardo e mezzo di soldi pubblici sarebbero sonoramente fischiati. Altrove sarebbero cacciati seduta stante e costretti a ritirarsi a vita privata se dichiarassero di voler fondare su questo tipo di trionfo  la governance del Paese e delle sue maggiori città. Purtroppo è proprio ciò che sta avvenendo, ahimè senza la cacciata dei ninfomani del potere annidatisi nei gangli vitali: il sedicente trionfo dell’Expò viene preso a pietra miliare per governare Roma, Milano e il Paese tutto sulla base di eventi  comunque occasionali e transitori come l’esposizione universale, nient’altro che un grande ristorante temporaneo o il giubileo, dietro cui si nasconde poi il magna magna della corruzione.

Ma i conti dell’Expò il cui successo consiste solo nel non essere stato un fallimento completo, sono già stati fatti e parlano di quasi un miliardo e 600 milioni di perdita secca, sempre che i dati forniti al termine della manifestazione, siano veritieri cosa di cui c’è da dubitare visti sia i tentativi già accertati di giocare sulle cifre, sia il fatto che il risultato finale in fatto di biglietti staccati, più di 21 milioni, è così vicino alle previsioni fatte due o tre anni fa da essere sospetto. E questo anche con la disperata mobilitazione della buona scuola per mandare il maggior numero di studenti possibile nella mega mangiatoia, impresa per la quale sono stati spesi altri 4 milioni, le offerte a prezzo stracciato che per mesi hanno girato in ogni dove, l’ingresso gratuito ai pensionati e via dicendo. La cosa odiosa in tutto questo è il tentativo di far credere che biglietto staccato e biglietto venduto siano la stessa cosa: ma quanti sono i biglietti comprati al prezzo pieno di 39 euro, quelli omaggio e quelli a 10 o 5 euro? Quanto si è perso e quanto si è speso in più per far numero e non andare incontro a una completa figuraccia, per riprendere la fila dell’ultim’ora in favore di telecamera?  Non si sa nemmeno  quando avremo i conti reali e non solo la cifra sommaria degli ingressi – forse solo dopo le elezioni a Milano –  ma c’è un evidenza non contestabile: Expò non è riuscita a coprire nemmeno le spese di gestione del falansterio culinario che ammontano a oltre 900 milioni. Se questo è un successo io sono la regina di Saba, tanto più che si tratta della più fallimentare esposizione universale dopo quella di Hannover del 2000, che tuttavia riuscì a contenere le perdite a un miliardo e duecento milioni.

La differenza è che il cancelliere Schroeder accusò il colpo e cominciò il suo declino, così come  gli organizzatori dell’evento scomparvero dalla scena circonfusi di vergogna e pentimento, mentre da noi il guappo premier grida all’ “impressionate successo”, chi ha guidato il trabiccolo fra ritardi e corruzioni è ormai lanciato sulla strada di Palazzo Marino (strana coincidenza di nomi), chi doveva vedere non ha visto nulla e ora fa di Milano la capitale morale grazie alla presunta virtù assolutoria  di un successo esistente solo nei media fiancheggiatori. Personaggetti, come direbbe De Luca.

Sulla placenta di corruzione e mafia nella quale è avvenuta la gestazione dell’Expo, così come quella delle grandi opere, ha già scritto ciò che si doveva Anna Lombroso (qui) ed è inutile ripetersi, preferisco parlare di una corruzione ancora più disperante: quella di un di un ceto dirigente, vorace e ottuso che pensa di uscire fuori dagli immensi problemi del Paese a forza di eventi estemporanei e di emergenze, privo di qualsiasi idea di sviluppo, di qualsiasi progetto, che si dedica alla spoliazione dei più deboli dai loro diritti, alle riduzioni di salario, ai risparmi europei a danno dei beni comuni e della civile convivenza prima ancora per inadeguatezza che per vocazione.  Certo un giubileo qui, un expo là portano soldi a valanga nelle tasche dei soliti noti che spesso coincidono coi soliti ignoti delle tangenti, ma portano poco o nulla sul piano generale. Sono le mangiatoie da basso impero tra le quali è venuto alla luce il bambin Matteo a miracol mostrare.

L’Expo da questo punto di vista è da manuale perché oltre ad ingrassare Comunione e Liberazione, Farinetti. movimenti terra, subappalti  e compagnia cantante, ha prodotto il nulla: qualche spicciolo in giro (vedi nota alla fine del post), sì, ma niente di più oltre all’imposizione del lavoro semigratuito e politicamente selezionato. L’Italia, dopo aver vinto fortunosamente la gara per l’esposizione universale non è stata in grado di concepire nulla che andasse oltre lo stereotipo pizza e mafia, organizzando qualcosa di lontanissimo da una seria occasione di confronto globale sulle politiche agricole e alimentari per dedicarsi alla costruzione di una fiera di ristorazione. Si sa da decenni che queste manifestazioni sono in perdita e che se possono servire a qualcosa è fornire una nuova immagine del Paese che le ospita. Senza questo sono solo e in questo caso letteralmente, magna magna. Nel mondo – Italia esclusa,  ci sono più di 75 mila ristoranti che fanno cucina del nostro Paese per un giro di affari annuale di 30 miliardi dollari: la tavola è uno dei pochissimi campi in cui abbiamo un prestigio riconosciuto anche se non sempre onorato. Si sarebbe dovuto pensare ad altro rispetto a una stanca riproposizione o comunque a qualcosa che andasse al di là del solito mega ristorante. Si è sciupata un’occasione per incapacità ideativa, mettendo in piedi qualcosa solo per dare spazio ai peggiori e più sospetti appetiti.  E per trasformare in speculazione selvaggia  il dopo.

Mi sembra davvero giusto che tutto questo aspiri adesso e senza vergogna a essere pietra miliare per il futuro del Paese.

Nota Secondo alcuni calcoli pubblicati su La voce dall’economista Massiani  dopo il primo audit sulla manifestazione, c’è stata una scarsissima affluenza di stranieri, appena il 16% del totale, quasi tutti provenienti da Francia e Gran Bretagna. Solo la metà di questi è venuto per vedere l’Expo, mentre gli altri hanno semplicemente fatto una tappa aggiuntiva al loro viaggio. Inoltre il 38% dei visitatori proveniva dalla stessa Lombardia. Tutto questo riduce la stima del valore aggiunto generato dall’Expo a 1 miliardo e 300 milioni, vale a dire una cifra nettamente inferiore al deficit contabile prodotto e probabilmente alla metà di quest’ultimo se si tiene conto delle spese nascoste. .