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Fisco amico… degli amici

 

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non so molto di sistema fiscale, non so molto di tasse, se non che le pago, le ho pagate e le pagherò, senza giubilo, senza entusiasmo, senza nessuna responsabile e appagante sensazione di contribuire al bene comune, visto che ormai o va in malora o lo svendono o tutte e due le  cose.

Le pago per paura. Perché le nostre relazioni con l’Agenzia delle Entrate, con gli enti e gli organismi “preposti” sono segnate dal terrore reverente, dalla soggezione intimidita  nei confronti di una autorità crudele e implacabile, che entra in contatto con noi a scopo punitivo, che se sbaglia non paga come un moloch inviolabile, che ci invia carteggi opachi e incomprensibili, che ci costringe a rivolgerci a costosi “facilitatori”, sacerdoti incaricati di officiare il sacrificio, rappresentanti di una “diplomazia” che esercita la  potenza del suo mandato grazie alla possibilità, vera o presunta, di trattamenti discrezionali, indulgenze arbitrarie quanto improbabili.

Credo che la signora Orlandi, che ha le fattezze di una preside prima della Buona Scuola, severa ma scrupolosa, abbia ragione. Prima di tutto perché il sottosegretario Zanetti, baluardo di un susseguirsi di governi di evasori, dalle ville della Severino alle funamboliche acrobazie di Tremonti, alle performance di babbo Renzi,  le dà invece torto sollecitando le sue dimissioni e questa è una impareggiabile cartina di tornasole. Poi perché ha denunciato la decisione di alzare il tetto del contante, una misura che “alimenta le possibilità di sviluppare economia sommersa”.  Poi perché la sua difesa del sistema, apparentemente soltanto aziendalista, potrebbe invece essere interpretata come il tentativo di tutelare l’organizzazione che dirige da processi totali e definitivi di  privatizzazione, come comanda l’ideologia che ispira il regime. Ipotesi non certo fantasiosa, a sentire le parole del premier  che opportunamente sta ai quasi antipodi tanto qui restano di guardia i  pupazzi del ventriloquo. Pur essendo in gita tra i lama,  ci ha voluto informare che anche le tasse sono state investite da una delle sue  riforme epocali: la svolta innovativa c’è a cominciare dai precompilati – bisogna scusarlo, a Lima non ha saputo che 8 modelli 730 “precotti” dai Caf su 10,  erano sbagliati – insieme a altre fondamentali misure alle quali colpevolmente la stampa  non ha dato il doveroso risalto: attuazione della delega fiscale,incrocio delle banche dati, dichiarazione dei redditi online, fatturazione elettronica, reverse charge e split payment, accordi bilaterali, accordi multilaterali, voluntary disclosure.  E saranno proprio questi interventi cruciali a stanare, dice Padoan,  “più di 500mila contribuenti dei quali non risulta pervenuta la dichiarazione dei redditi 2014″, mezzo milione di cittadini cui è offerta però “l’opportunità di mettersi in regola rapidamente, spontaneamente e con una sanzione molto contenuta”.

Ecco, appena sapremo i loro nomi e cognomi, appena verranno dolcemente persuasi a mettersi in regola, non dovremo più vergognarci di essere  la sesta economia sommersa dell’area Ocse dopo Turchia, Estonia, Messico, Grecia e Polonia, che insieme a quella scopertamente illegale vale  tra i 255 e i 275 miliardi,  ovvero più del 12% del Pil. Nel 2014 –  ma è successo prima del Jobs Act – sono state controllate 221.476 aziende, nelle quali sono affiorati 77.387 rapporti di lavoro non denunciati; nei primi sei mesi del 2015, invece, su 106.849 realtà produttive passate al setaccio sono stati individuati circa 31.394 occupati totalmente in nero. Se l’Italia riuscisse ad abbassasse il proprio livello di economia sommersa allineandosi ai livelli della media dell’area euro (ossia a un dato del 15% del Pil), si otterrebbe un’emersione di gettito fiscale e contributivo di circa 40 miliardi. E se conducesse una opera di contrasto all’evasione con i 180 miliardi che entrerebbero nelle casse dello Stato   si potrebbero dare circa 1.800 euro al mese a ciascuno degli otto milioni di poveri censiti dall’Istat, eliminando di fatto la povertà nel nostro Paese. E se si aggiungessero alle attuali entrate del Fisco sarebbe possibile, a gettito totale invariato, ridurre di almeno il 30% le tasse a tutti i contribuenti.

Forse il Ministro Padoan, la cui unica prova dell’esistenza in lui di un’instancabile attività mentale è data dai repentini cambi di opinione, si augura che il loro ravvedimento sia di lezione ai 10 o 11 milioni di contribuenti evasori su un totale di 40. Ma il timore è che appartengano ai soliti noti, quelli costretti prima o poi a mettersi in regola, quelli che abitualmente pagano le tasse, i  lavoratori dipendenti e i pensionati (che sono oltre l’80% dei contribuenti), mentre l’evasione o l’elusione, organizzata magistralmente da efficienti studi professionali, raggiungono  livelli molto elevati per  redditi da attività professionali (30-40%) e da imprese individuali (50-60%).

Che la guerra all’evasione mossa dal governo non sia invece così bellicosa come viene raccontata nell’eterna narrazione del piccolo amico di tweet, lo sospetta perfino l’audace minoranza interna che di solito non si accorge di nulla che non tocchi visibilmente la sua sopravvivenza, preoccupata forse dell’esuberanza di Alfano che intanto ha vinto la battaglia sul tetto al contante, e senza grandi sforzi, grazie all’ennesima indefettibile convinzione del Ministro intermittente, che giura, contro il parere di tutti gli organismi internazionali di vigilanza (Europol ha pubblicato una rilevazione intitolata “Cash is still king”), che non produrrà effetti  sulle frodi fiscali.

Magari se si svegliavano un po’ prima da quel loro patetico letargo, avrebbero potuto  cercare di fermare o almeno ostacolare l’iter della legge  sul diritto penale tributario. Della quale abbiamo avuto notizia solo per i giochetti di prestigio della signorina Boschi quando tirò fuori dal cilindro una inedita «clausola di non punibilità» che, per una serie di rimbalzi procedurali,  avrebbe sortito l’effetto finale di dare a Berlusconi la chance di chiedere la revoca della condanna definitiva per frode fiscale sui diritti tv Mediaset. Ma fosse stato solo quello: l’impianto del provvedimento dimostrava da subito  che l’intento governativo era quello di far andare d’accordo i cittadini  con un fisco amichevole,  purché però si trattasse di cittadini di categoria A, A come amici, A come abbienti, A come avidi, A come aziende, A come azionariati.  E infatti prevede una generale depenalizzazione di tutti i reati tributari, in tutte le varie fattispecie.

Maliziosamente verrebbe da pensare che c’è  poca differenza  con il passato: sfido chiunque a portare le arance e le sigarette a qualche evasore recluso nelle patrie galere.  In realtà è il valore simbolico della legge che non va trascurato, quello di dare un segnale rassicurante a chi pratica l’illegalità, concedere una patente di pubblica utilità a imprese che trasgrediscono, ovviamente per contribuire alla crescita, riconfermare lo stato perenne di impunità per chi viola la legge a condizione che lo faccia nei piani alti. E che a differenza di me, di noi, non paga le tasse perché può.

 

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