20151024_109606_PON-4769Comincia da Napoli, la protesta contro la Nato innescata dalla mega manovra dell’alleanza chiamata Trident Juncture, la più grande dalla fine della guerra fredda. Ed è’ l’occasione giusta, oserei dire ideale per cominciare seriamente a contestare un’alleanza che ha subito una profonda mutazione trasformandosi da strumento difensivo comune  a dispositivo di aggressione che risponde unicamente agli ordini e agli interessi di Washington.  Tale natura non è mai emersa così chiaramente come in questa esercitazione che nasce non solo con l’appoggio della Ue, ma anche di “agenzie di aiuto” come Usaid o EuroAid,  che operano geopoliticamente sotto copertura umanitaria, ma anche una dozzina di ong come Human Rights Watch o Save the Children i cui nomi sono stati usciti fuori prima che su tutta la faccenda calasse il segreto.

Come se questo non bastasse tutto il senso di queste grandi manovre non riguarda affatto le strategie difensive, ma quelle di attacco: il clou delle esercitazioni sono infatti le prove di sbarco con appoggio aereo navale o quelle di assalto preparate nei cinque Paesi dell’est non ancora membri della Nato, ma dentro il sistema militare americano  in funzione anti russa. Insomma la trident juncture è una preparazione all’attacco rapido sia per mare che per terra, destinata appunto ad oliare le capacità di intervento della Nato Response Force e istituendo un gruppo ristretto di 5000 uomini praticamente sempre pronti. Non devono impressionare i numeri che anzi sono piuttosto risicati tenendo conto che si tratta di 33 paesi tra i più armati al mondo: 36 mila uomini (compresi migliaia di civili ), 60 navi del livello massimo della fregata di cui sette da sbarco, un’altra decina di appoggio e sette sommergibili, 140  tra aerei di ogni tipo ed elicotteri  (non 200 come viene per lo più riferito). Ciò che allarma è tutto quello che si svolge dietro le quinte: ossia il carattere aggressivo dell’alleanza e il tentativo di ” natizzare” l’intera società per farne strumento di guerra. La presenza delle ong che non dovrebbero centrarci proprio nulla è significativo del tentativo di coinvolgere operazioni umanitarie e informazione, oltre che economia e politica attraverso la governance Ue, dentro lo strumento militare gestito oltre oceano. Gonfiando i muscoli l’alleanza scopre le carte e il tentativo di mettere in piedi una sorta di “regime Nato” tendente a garantire la presenza degli stati cuscinetto e sacrificabili nelle future guerre americane. Anzi pure pagandole in parte tramite l’acquisto imposto di armi, sovvenzioni nascoste alle basi, aumento delle spese militari.

Naturalmente proprio questo tentativo di estensione dello strumento militare alla vita civile, cambia anche il senso politico, ma anche l’incisività potenziale della protesta, tanto che le manifestazioni sia in Sardegna che in Sicilia dove si temeva il blocco degli aeroporti civili in concomitanza con le esercitazioni, ha fatto diminuire la pressione sulle due isole, cambiando in parte i piani dell’esercitazione e distribuendola più ampiamente sul territorio italiano.  Insomma più la Nato estende i suoi tentacoli alla società civile più va incontro a fragilità inaspettate, sempre che si sappia cogliere l’occasione di questi snodi storici facendo uscire la protesta dalle nicchie in cui sembra confinata da tempo immemorabile . Anche perché gran parte della “natosfera” come si configura oggi, dopo vent’anni di guerra continua, sfugge completamente alla volontà dei cittadini. Come ha fatto notare padre Alez Zanotelli organizzatore della manifestazione di Napoli, “il Parlamento italiano ha accettato la Nato come alleanza difensiva, ma non si è mai espresso per i cambiamenti intercorsi successivamente”. Non si tratta solo di un discorso formale, ancorché ispirato alla Costituzione, ma di sostanza per il futuro: solo una forte opposizione all’alleanza nei principali Paesi europei può mettere in crisi le coperture politiche e i piani delle lobby guerrafondaie di Washington  e dintorni anglofoni, che mentre preparano il conflitto con Russia si dedicano alla costruzione di lussuosi rifugi in grado di isolarli completamente dalla guerra e da possibili moti popolari. Si è arrivati persino ai piccoli sottomarini nascosti negli yacht di superlusso. Un immagine sconcertante e plastica del legame fra taikun (è questa la grafia originaria e più consona della parola), geopolitica, militarismo ed economia finanziaria di cui la Nato sembra essere il ritratto di Dorian Gray.