Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, all'esterno del Campidoglio per un incontro con i cittadini, Roma, 13 giugno 2013. ANSA/ANGELO CARCONI

Un bel tacer non fu mai scritto. E così la difesa di Marino sui famosi scontrini lo fa ancora più precipitare dentro le contraddizioni e soprattutto dentro lo stereotipo del politico abituato a servirsi senza ritegno dei soldi dei cittadini e a scaricare sugli altri le proprie responsabilità. La follia del personaggio, la sua patologica incapacità di riconoscere gli errori anche di fronte all’evidenza, si salda all’arroganza del potente in tutt’uno, come accadde per la vicenda americana, nella quale, a sentire l’ex primo cittadino, egli non fu affatto licenziato dal Medical Center di Pittsburgh per irregolarità amministrative, né fu lui a dimettersi nell’ambito di un gentelmen’s agreement, cosicché il fatto che da allora non abbia più lavorato in Usa o all’Ismett di Palermo diventa un mistero metafisico, qualcosa che potremmo definire l’aporia di  Marino.

Sarebbe stato semplice ammettere di non essere stato attento all’amministrazione e che lui da chirurgo dei trapianti, non badava a queste cose: molto meglio, molto più veniale che un’aporia dal sapore ridicolo. Certo in questo caso da amministratore non può dire di non essere stato attento all’amministrazione, ma sarebbe stato molto meglio sostenere di aver commesso degli errori in buona fede e delle leggerezze, piuttosto che imbastire una difesa dalla quale emergono due cose: che il sindaco ha permesso alla burocrazia e ai suoi collaboratori di apporre giustificativi delle sue spese senza alcun controllo, a mesi di distanza e dunque con degli inevitabili errori, anzi con la certezza che quasi tutte le spese sono a questo punto di fantasia; che il medesimo primo cittadino non è mai andato a cena con la sua misteriosa e improbabile moglie, ma con una collaboratrice del Comune, molto rassomigliante ad essa, per parlare di cose riguardanti  l’Organizzazione mondiale della sanità. La persona in questione non potrà che confermare per ovvi motivi, ma questo è del tutto inutile perché non c’è alcun motivo per cui  il sindaco non  debba parlare con i propri collaboratori al Campidoglio dove immagino avrà persino un ufficio, invece di spendere i soldi di tutti per cene superflue. La giustificazione è in qualche modo ancora peggiore dell’accusa e fa il paio con i borborismi demagogici sul fatto che egli non abbia voluto la carta di credito che ha poi usato. Probabilmente chi ha tirato fuori la questione contava proprio sul fatto che il personaggio invece di chiedere semplicemente scusa per peccati veniali si sarebbe slanciato in un’improbabile difesa dalla quale può nascere qualsiasi cosa.

E dopo tutto questo arriva la notizia che il sindaco formalmente ancora in carica non sarà presente alla prima seduta della tornata di processi per Mafia Capitale, né a quello contro Buzzi e Carminati e nemmeno all’apertura del procedimento principale, visto che decadrà dall’incarico 3 giorni prima del suo inizio. Per uno che ha fatto di questa vicenda giudiziaria, giunta a sua completa insaputa, il mantra della sua ragion d’essere, l’assoluzione per la sua inesistenza come primo cittadino, non c’è male. Quindi i fans non hanno bisogno solo di asserire lo strano concetto che al gestore della cosa pubblica è concesso rubare purché sia discreto e non chieda troppo, ma dovrebbero spiegare tutto il senso di una personalità politica che pare ossessiva per certi versi e completamente passiva per altri. Ora non è che voglia infierire sul personaggio come fanno adesso falsi amici e veri nemici, ma voglio solo esprimere il mio sbigottimento di fronte a un’accanimento terapeutico nei confronti di un sindaco assente e in ogni caso del tutto autistico, come se esso potesse essere la soluzione dei mali di Roma e non una complicazione ulteriore degli stessi. Con lui non si va da nessuna parte se non verso una sconfitta clamorosa proprio degli stessi valori di cui Marino è visto, a torto o a ragione, come feticcio. Proprio non si trova di meglio?