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Marino, il false flag del renzismo

l43-marino-renzi-140227130607_mediumForse dovrei chiedere scusa a Umberto Eco per averlo preso in giro per quella uscita degli imbecilli sul web. Si, è fondamentalmente una cavolata da intellettuale elitario, ma  non bisogna trascurare l’effetto cassa armonica che la scempiaggine procura quando affonda il coltello in una folla indistinta. E in questi giorni di cretinate su Marino se ne sono sentite talmente tante da suscitare una sorta di pseudo movimento di appoggio al sindaco assente. In  migliaia dal Brennero a Canicattì, senza avere una mezza idea dell’amministrazione romana giurano su uno zero politico quale l’ex chirurgo come fosse Lancillotto che si batte contro il drago della corruzione.

Ci sarebbero battaglie e soggetti assai più meritevoli, ma i tamburi rimbombano nella notte della repubblica con la loro pelle d’asino tesa sui bordi. E naturalmente questa sorta di campagna spontanea in favore della coltivazione della rapa nell’orticello della sinistra ha bisogno, come per le beatificazioni di miracoli e di prove. Un processo che richiede la fabbricazione di una realtà parallela o meglio ancora della sua riduzione a variabile dipendente dal tifo politico più banale e inutile. Forse per puro sfizio intellettuale si potrebbe anche difendere Marino con argomentazioni appena patinate di intelligenza politica, ma qui interviene la pancia e la difesa si fa di un livello imbarazzante: intanto si dice che l’incidente delle doppie fatturazioni che hanno colpito l’ex sindaco di Roma, quando lavorava al Medical center dell’Università di Pittsburgh e al collegato centro trapianti di Palermo Ismet, è una bufala. Chi lo dice? E’ lo stesso Marino che lo afferma nel 2009 e che promette spiegazioni, peraltro mai arrivate. E qualcuno arriva a cianciare di sentenze assolutorie che sulla vicenda non ci sono mai state: semplicemente Marino ha rinunciato ad alcuni pagamenti  e a uno stipendio a compensazione degli 8000 dollari presenti come rimborsi sia a Pittsburgh che a Palermo, presentando le proprie dimissioni proprio per evitare seguiti giudiziari. Dimissioni che egli nega benché l’Università di Pittsburgh le abbia rese note. Ecco in passo della lettera del responsabile della relazioni esterne del Pittsburgh Medical Center, Paul Wood: “La lettera firmata dal dottor Ignazio Marino il 6 settembre 2002 è la lettera finale e ufficiale delle dimissioni (…). Le irregolarità nella gestione finanziaria furono portate alla luce dal servizio di audit di Upmc e non da Marino. Esse furono poste in essere in modo intenzionale e deliberato da parte di Marino e questo accadde in modo ripetuto nell’arco di molti mesi e non si è limitato ad un singolo evento”.

La cosa non è senza importanza perché la vicenda presenta gli stessi topoi del comportamento di Marino a Roma. Anche per questa vicenda  l’ex sindaco afferma di aver portato egli stesso  all’attenzione del medical center le discrepanze nei conti così come ora dice di essere stato lui a denunciare mafia capitale come se i magistrati non esistessero e come se proprio lui non avesse confermato, all’ingresso in Campidoglio alcuni personaggi di primo piano del meccanismo corruttivo. Dice di essersene andato di sua spontanea volontà dall’Ismet a causa di imprecisate “pressioni, sia dalla politica sia dall’università”  (le stesse per le quali dice di essere stato scacciato dalla poltrona di primo cittadino romano) e che la lettera di dimissioni non è che un fax dunque un documento senza valore legale.

Siamo di fronte con tutta evidenza  a una narrazione mitologica che Marino attua su se stesso e che è in sostanza è all’origine della sua trasformazione in “politico” ben riuscita all’inizio (il sottoscritto nelle prime e uniche primarie a cui abbia partecipato lo ha votato nel 2009), ma finita nel nulla in seguito semplicemente perché il personaggio ha poco a che fare con la politica e proprio nulla con il mestiere di amministratore. Infatti senza il  feticcio dell’onesto per definizione cosa rimane del Marino sindaco? Praticamente nulla se non un ulteriore degrado della città, un corposo taglio ai servizi soprattutto nelle periferie, la minaccia di manette a chi occupa le case che il Comune non vuole dare a chi ne ha bisogno,  drastica menomazione dell’assistenza ai disabili. Per non parlare del costosissimo e pletorico insieme di consulenti e di informatori chiamati a curare l’immagine (se poi si è circondato di fessi che non sanno fare il loro mestiere, è ancora peggio) costato secondo Il Fatto, quando ancora non era Marino addict, 3,8 milioni  l’anno,  per non dire della assoluta assenza dal problema dei rifiuti la cui esportazione vero il nord è costata finora 30 milioni di euro. Certo mica è responsabile lui del degrado politico amministrativo  della città che risale ai Veltroni e ai piacioni e che è esploso con Alemanno. Ma dire che lui Marino è quello che ha fatto meno deficit, come riferisce il Sole 24 ore, è semplicemente ridicolo: per forza i soldi con cui fare i faraoni di Roma non esistono più, sono stati dilapidati in precedenza, c’è un patto di stabilità feroce. E tuttavia i risparmi sono stati come al solito pagati dai ceti popolari, quelli costretti a votare feccia come Alemanno o  assenti come Marino le cui ribellioni sono sempre caratteriali mai politiche. Ribellioni poi relative, tanto che l’ex sindaco ha persino moglie.

Non voglio nemmeno parlare a lungo  di un ambiente sedicente di sinistra che si incaponisce ad assolvere l’ex sindaco perché in fondo con le carte di credito ha commesso errori veniali: allora se vogliamo gli affari di mafia capitale, almeno quelli venuti alla luce fino ad ora, sono spiccioli rispetto alle ruberie e alle mani sulla città delle grandi opere, del Mose, di Expò e chi più ne ha più ne metta. L’onestà ad personam è repellente e meriterebbe una meditazione sui guasti immensi fatti dal berlusconismo. Ma la cosa evidente è un’altra: che la rinascita della città non può in ogni caso costruirsi su un onesto assente che fa il totem immobile dell’opposizione ai poteri forti, quelli stessi peraltro che hanno finanziato la sua elezione, quelli che egli stesso ha evitato di mettere in seria difficoltà azzerando la giunta e tornando alle elezioni dopo lo scoppio di uno scandalo che vedeva implicato il milieu politico in maniera bipartisan. Che ha conservato il posto per poi non fare nulla a parte la scontata costituzione come parte civile. Un onesto assente che  diventa a questo punto un false flag, un falso obiettivo proprio per permettere la perpetuazione di un sistema di potere politico affaristico che tiene Roma nelle sue grinfie e impedisce la ricerca di personaggi e idee in grado di cambiare le cose o quanto meno di fungere da cani da guardia sugli spalti di un’opposizione vera e non complice. Ed ecco spiegata la strana conversione al marinismo di giornali e opinionisti prima critici. E’ troppo forte la paura che possano spuntarla i 5 stelle o peggio ancora, visto che questi sembrano aver paura della vittoria , qualche personaggio che non sta al gioco non per semplice assenza, ma per costante presenza. Da questo punto di vista Marino è l’antidoto ideale a mafia capitale secondo le prescrizioni del gattopardismo classico.

Ciò tuttavia dimostra  che se la politica è divenuta del tutto estranea ai cittadini, anche i cittadini sono divenuti estranei alla politica e non riescono a farne altro che una grossolana questione di slogan, di persone o di pura propaganda come la bicicletta tirata fuori negli ultimi 500 metri o le seduzioni più rozze e vacue. Di fatto il marinismo non è che un ulteriore aggravamento del renzismo e dello spirito oligarchico e ottuso che esso esprime, la dimostrazione vivente del degrado della classe politica e parallelamente della consapevolezza delle persone.

 

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