stefano-feltri-246577Consentitemi una volta tanto di intervenire su una polemica agostana ormai in scadenza, quella suscitata da Stefano Feltri, vice direttore del Fatto  da sempre responsabile dell’economia del quotidiano e dalla sua singolare concezione di laurea inutile, data in pasto all’inclito e al colto dalle pagine del giornale. Non che mi interessino in alcun modo le idee -uso parole grosse – di questo ennesimo bocconiano  dedito allo stupefacente liberista, ma perché proprio il suo conformismo appena condito di aromi retrò e provinciali come una tigella con erbette e lardo battuto tanto per rimanere nelle zone di origine del nostro , è illuminante  su ciò che pensa dell’istruzione, del sapere, della cultura l’arcaica classe dirigente italiana. Egli ha affermato che è inutile laurearsi in materie umanistiche perché valgono poco sul mercato del lavoro, come se questo non fosse da una parte una spia della povertà sociale e ideativa da cui è afflitto il nostro Paese e come se l’istruzione abbia un senso solo in rapporto al reddito.

Sono 30 anni che leggo banalità del genere e sono stati 30 anni di declino. Ma il bocconiano prima sostiene che lui per fortuna ha fatto la fatto la scelta giusta: “I miei genitori, non certo senza sacrifici, hanno investito parecchio sulla mia educazione. La nomea dell’università e – mi piace pensare – le conoscenze e le competenze acquisite mi hanno permesso di trovare subito il lavoro per il quale mi stavo preparando”. Che brivido linguistico da drogheria quella nomea al posto di reputazione anche se poi questa università privata ha bassissimi indici nelle classifiche internazionali. Ma dopo la notazione personale il nostro si spinge a dimostrare la sua tesi e mostrare di quali competenze sia portatore. E sbaglia tutto: prima scambia per valore in euro gli indici convenzionali di uno studio del Ceps, peraltro ancora in bozza e in attesa di verifica, poi non si accorge che in realtà esso dice tutt’altro, ovvero che ” gli studi  in scienza, tecnologia, ingegneria, matematica non sono i migliori investimenti per gli studenti, specie se sono donne”.

Dunque il nostro “economista” da nomea che ha acquisito tanta competenza da non saper interpretare tabelle chiare a qualsiasi laureato in materie umanistiche e che a quanto pare non sa nemmeno leggere con attenzione continua a lamentarsi del fatto che “purtroppo, migliaia e migliaia di ragazzi in autunno si iscriveranno a a Lettere, Scienze politiche, Filosofia, Storia dell’arte”.

Non c’è da stupirsi se la pioggia di critiche lo ha costretto a prodursi in assurde giustificazioni  (ha sostenuto che le legende delle tabelle erano poco chiare, quando invece era chiaramente specificato che si trattava di numeri standardizzati) e a prodursi in altri tre interventi nei quali, dopo aver preso atto della sua fallibilità, ribadisce la medesima tesi (cambiare idea è troppo intelligente) sulla base di altri dati tratti dall’Ocse e di altri organismi, riuscendo però a invilupparsi sempre di più nel circolo dei fraintendimenti, degli errori ed  omissioni e dimostrando non solo il livello di competenza personale, ma anche di chi gli ha concesso il pezzo di carta, anche se nelle università private si è clienti prima che studenti e “figli di” prima che persone.

Rileggendo quelle statistiche e tabelle portate a discolpa dopo le prime castronerie, emerge chiaramente tutta un’altra realtà, sintetizzata da Marco Bella un ricercatore che ha un blog sul Fatto: il numero dei laureati in materie umanistiche è in linea con gli altri Paesi europei, una laurea di qualunque tipo sia consente un vantaggio in termini di occupazione, più si studia più si guadagna, i benefici (statistica Ocse) non ci sono solo  per i singoli, ma per tutta la società. Forse la tesi di Stefano Feltri è costruita su se stesso che sembra l’antitesi del più si studia più si guadagna, visto che dopo tanta fatica è incapace di interpretare  correttamente i dati  più banali ed è tuttavia misteriosamente approdato alla vicedirezione di un giornale oltreché nelle grazie de La 7 e di Lily Gruber. Forse bisognerebbe chiedere a Franco Bernabè le ragioni del miracolo.

In questo senso non si può dire che manchi di strategia: il puntiglio quasi suicida con cui ha cannato tutte le statistiche e manipolato i dati per portare avanti comunque la sua tesi, (immaginiamoci quando pontifica di economia) ne fanno in realtà un elemento prezioso per la classe dirigente che ci ritroviamo e per la sua espressione politica: la grossolanità ideologica e cognitiva con cui è andato avanti non è per nulla un elemento negativo, anzi è una garanzia di adesione a tutte le tesi che converranno e di cui occorrerà convincere l’opinione pubblica. Chi sa mentire è utile, chi si convince delle menzogne è essenziale, ma chi è talmente annebbiato da non essere in grado di raccogliere un capo del filo d’Arianna per uscire dal labirinto perfino quando brilla come un faro, è davvero prezioso. Sì, Stefano Feltri è prezioso per la concezione della nuova scuola come semplice preambolo al lavoro, allenamento alla disuguaglianza e nel migliore dei casi come investimento, quando si tratta di esigue minoranze di privilegiati destinate a perpetuare l’ideologia nella quale quegli stessi privilegi sono tutelati. Se proprio la cultura interessa qualcosa non va affrontata a scuola, ma nel privato come Feltri stesso dice di aver fatto. Spero con risultati migliori che nel suo campo di totale incompetenza.

Per chi voglia approfondire l’argomento può andare qui o qui