Anna Lombroso per il Simplicissimus

Fate pace col cervello, viene da dire. Le stesse autorevoli personalità politiche che non più tardi dell’altro ieri insorgevano contro le inopportune ingerenze di gerarchie ecclesiastiche sorprendentemente intemperanti,  neofiti entusiasti di una liberatoria e moderna interpretazione di Libera chiesa in libero Stato, quando si tratta di solidarietà, aiuto ai profughi e ai rifugiati, richiamo a valori cristiani, quali la pietas e la compassione, oggi si ritrovano sotto il baldacchino di parata del Cardinal Bagnasco, nel fermo convincimento che altri sono i principi e i contesti nei quali esercitare quell’unità e quella condivisione che devono scaturire dalla militanza sia pure temporale nell’esercito di Cristo,  dalla partecipazione con l’intelletto e con gli atti alla missione di affermare la morale confessionale che li ispira. Dimenticato lo scivolone del pretino di periferia che benedice il boss, eccoli schierato con uno dei più influenti boss della Chiesa che ricorda quale istituto debba essere  obbligatoriamente considerato “famiglia” e come qualsiasi vincolo che non preveda la festosa convivenza di papà maschio, mamma femmina e loro prole appartenga alla sfera dell’anomalia.

“La Chiesa, ha affermato con decisione in una intervista a margine del più popoloso e prestigioso consesso partitico italiano, non è contro nessuno. Crede nella famiglia come è riconosciuta dalla nostra Costituzione e come corrisponde all’esperienza universale dei singoli e dei popoli: papà, mamma, bambini, con diritti e doveri che conseguono il patto matrimoniale. Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione è voler trattare allo stesso modo realtà diverse: è un criterio scorretto anche logicamente e quindi un’omologazione impropria. I diritti individuali dei singoli conviventi, del resto, sono già riconosciuti in larga misura a livello normativo e giurisprudenziale”.  E tutti giù a applaudire, che si sa, la civiltà di un paese si misura dalla difesa della famiglia, preferibilmente bianca, autoctona, sufficientemente abbiente da mandare i rampolli in una scuola privata getsita da preti e chierichetti, da curarsi in una clinica, frequentatrice della messa domenicale e così riservata da nascondere tradimenti, malesseri, vizi, turismo sessuale, e rancori e diffidenza che è consigliabile riversare su diversi, estranei, forestieri. E subito tutti concordi, Lupi che l’amore per la famiglia l’ha dimostrato in vari modi, nei confronti del figlio e di un ingombrante padrino con nipotine a carico, la Lega Nord che con la consueta spavalda dedizione all’oblio esulta: è questa la Chiesa che ci piace, la Meloni che si compiace per le parole di buonsenso dell’alto prelato, Quagliarello che si assume l’onere di praticare  un onorevole compromesso: “Il problema non è negare alcun diritto ma diversificare situazioni che sono diverse e, per questo, avere la certezza di sbarrare la strada a pratiche insopportabili per chi laicamente crede nella dignità della donna, come l’utero in affitto. Se queste considerazioni possono diventare consapevolezza comune, non è difficile trovare una soluzione, anche di tipo legislativo”, l’ineffabile Giovanardi pronto a salvaguardare i diritti dei singoli che nelle formazioni sociali svolgono la loro personalità, ma totalmente contrario al testo Cirinnà “che apre la porta a reversibilità, adozioni ed alla pratica dell’utero in affitto”.

Chiunque si sia preso la briga di leggersi la proposta Cirinnà, talmente cauta che viene considerata accettabile perfino dall’altra parte del partito unico, nemmeno tanto segretamente convinta che anche la famiglia con babbo, mamma e bambini sia l’unica, sa bene  che prevede semplicemente che le convivenze tra persone dello stesso sesso siano disciplinate nel codice civile con diritti assai simili a quelli derivanti dal matrimonio, creando un nuovo istituto per coppie omosessuali, «avvicinando» le unioni gay al matrimonio, secondo una gerarchia tra vincoli di serie A, quelli “normali”, e relazioni di serie B, cui vengono riconosciuti assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione, insieme a tutti i doveri previsti dal regime matrimoniale cui così di sovente si sottraggono i mariti e le mogli “convenzionali”. Che poi queste graduatorie  trovano consenso perfino tra quelli che hanno subito la discriminazione finché non si sono conquistati magari in ragione di ciò, una posizione di potere con le rendite che ne conseguono, se l’onorevole Scalfarotto ha più volte sostenuto l’obbligo di matrimonio per le coppie eterosessuali: “il  motivo per cui è necessario che le unioni civili siano riservate solo alle coppie omosessuali è che non si deve fare confusione tra le esigenze di una coppia etero non sposata e quelle di una coppia gay o lesbica. La prima vuole vedersi riconoscere la propria relazione (per esempio, poter ottenere notizie dai medici in caso di malattia del partner) ma non vuole probabilmente altri diritti (e doveri) reciproci, altrimenti si sposerebbe. La coppia gay o lesbica, invece, anche ovemai desiderasse assumere pieni diritti e doveri reciproci, oggi non può”. Di modo che i diritti, compreso quello fondamentale ad essere uguali nel rispetto delle differenze, siano sottoposti a esercizi divisivi e a  classifiche,  così qualcuno possa essere più uguale e quindi superiore, così di alcuni bisogni si riconosca la legittimità, in modo che altri siano assimilati a capricci, anche se attengono invece alla sfera delle convinzioni, dell’autodeterminazione, della libera espressione di pensieri e principi.

Si, quello Cirinnà è un testo così prudente da essere rinunciatario, tanto che dovrebbe stupire l’opposizione che incontra e che ci esclude dal consorzio  civile, da quell’Europa che opprime popoli e Stati, ma rivendica una leadership sul tema ponendo  ” la persona al centro della sua azione,  dal contesto   democratico disattendendo gli espliciti inviti a legiferare in materia rivolti nel 2010 dalla Corte costituzionale e nel 2012 dalla Corte di Cassazione.

È vero che dietro a ogni dogma si nasconde un interesse, che il ceto dirigente da sempre si mostra compiacente fino alla sottomissione nei confronti della Chiesa per motivi elettoralistici, perché persuaso così di testimoniare e rappresentare un pensiero comune in modo da aggiudicarsi un largo consenso,  che le commistioni tra gerarchie ecclesiastiche e poteri temporali, politici, economici e  finanziari  hanno condizionato e condizionano da sempre scelte e leggi, comprese quelle “riforme” che oggi  stabiliscono definitivamente il primato dell’istruzione e  dell’assistenza privata.

Ma sarebbe utile anche indagare  sull’isterico rifiuto di comportamenti e inclinazioni “non convenzionali”, quel rigetto che la Nussbaum definisce come un “disgusto”, che cela un’ansia e una paura inconfessabili,  forse  di una parte oscura di sé, e che si traducono in diffidenza, intolleranza e repressione. Che fa percepire come un pericolo   l’indistinzione dei sessi,  effetto  sia di una educazione che insegni a maschi e femmine a rispettarsi reciprocamente e a non chiudersi (e non chiudere l’altra/o) in   rigidi stereotipi, quasi che l’orientamento  sia esito di scelte intenzionali e possa essere orientato e condizionato dalla pedagogia, sia del riconoscimento della omosessualità come un modo in cui possono esprimersi preferenze e inclinazioni,   della legittimità dei rapporti di amore e solidarietà tra persone dello stesso sesso e soprattutto della loro capacità genitoriale. Sarebbe opportuno interrogarsi sul timore  del “diverso” che alberga in chi pensa che solo l’eterosessualità sia lo stato di natura,   in chi si sente  a proprio agio solo nella  rigida e unidimensionale condizione  assegnatagli  da una natura priva di varietà, storia, cultura, intenzioni, passioni, differenze.

In realtà è probabile che si tratti solo di paura della libertà, la nostra, che metterebbe in discussione il poro strapotere, la loro arroganza, la loro indole alla sopraffazione fondata sulla menzogna e l’ignoranza. E paura anche della stessa libertà, che magari, chissà, potrebbe  rivelare una parte oscura, forse bella, forse buona, certamente ribelle.