Tsipras MerkelAltro che il conservatore corrotto Samaras, altro che il neofranchista Rajoy o il contaballe compulsivo Renzi: se i poteri europei dovessero scegliere il premier che più ha fatto i loro interessi vincerebbe Tsipras a mani basse. Personalmente non ho mai avuto grande stima per il leader greco e per la sua altra europa delle favole e degli inganni (dipende da che prospettiva si guarda), ma naturalmente speravo che la novità di un governo di centro sinistra in un paese martoriato e avvilito come la Grecia, fosse in grado di mettere in moto quanto meno un autonomo meccanismo di realtà e dunque di cambiamento in grado di cancellare il peccato originale di Syriza con il suo paradossale eurismo. Invece Tsipras si è rivelato al di sotto di ogni aspettativa, un uomo con poche idee confuse che vive alla giornata e privo di un progetto politico, per giunta con capacità tattiche praticamente vicine allo zero.

Per mesi ha alimentato una resistenza ambigua e indecisa, nella sola speranza che Bruxelles e la Germania alla fine avrebbero ceduto di fronte alla prospettiva di un addio della Grecia non rendendosi conto che invece per Berlino e Parigi la grexit era un obiettivo molto meno inquietante di un cedimento sull’austerità. Giorno per giorno ha ha indietreggiato di qualche passo, sperando in Obama e incontrando Putin, ma senza combinare nulla di concreto fino a che, messo con le spalle al muro, non ha fatto ciò che doveva: il referendum.

Anche in questo caso non ha capito che il ricorso alla consultazione popolare, anche al di là del suo risultato, era un passaggio del Rubicone che non prevedeva una ritirata e che anzi apriva una guerra con gli oligarchi europei che vedono come fumo negli occhi il ricorso al popolo. E’ stata una decisione estemporanea, che nemmeno ha previsto la possibilità che venissero bloccati i rifornimenti delle banche greche  paralizzando di fatto la vita dei cittadini. Da politico inesistente ha scambiato una scelta strategica per un mezzuccio tattico, non comprendendo che a quel punto o difendeva sino alla fine il 61% dei no o metteva fine alla sua storia e a quella di Syriza. Ma alla fine ha ceduto molto di più di quanto non fosse in gioco con la consultazione popolare, dagli 8,5 miliardi di “sacrifici” di 10 giorni fa ai 13 miliardi di oggi e con in più una minaccia esplicita di controllo e rapina totale del Paese.

Obiettivamente non era facile sostenere una resistenza senza mai essersi curati di mettere a punto un piano B, cosa che già un anno fa aveva allarmato gli osservatori più intelligenti. E ancora peggio era resistere rifiutandosi con accanimento di trovare vie d’uscita dal ricatto europeista. Ora Bruxelles lo ha spezzato come monito per qualsiasi forza di opposizione e contro le illusioni democratiche che dovessero ancora serpeggiare. A supremo scherno  l’Europa potrebbe cacciar fuori la Grecia, facendo lei quello che avrebbe dovuto proporre Syriza nel periodo di formazione e fare giunta al governo.

Adesso per Tsipras è finita: non si vede come potrebbe continuare a governare visto che nessuno si fida più di lui, nemmeno Russia e Cina che certo non danno soldi a un estemporaneo dilettante. Ma assieme a lui tramonta per sempre la socialdemocrazia e le illusioni di portare elementi di progresso e di eguaglianza nel corpaccione del capitalismo finanziario. Questo è stato possibile nell’era keynesiana, ora è del tutto improponibile, anche se in continuazione viene riproposto da commessi venditori alla Vendola che addirittura chiedono di dare più poteri alla Bce per un’europa migliore. Stiamo freschi.

Di fronte a tutto questo il problema è: riuscirà ciò che rimane della sinistra a riacquisire un minimo di onestà intellettuale per fare mea culpa e magari evitare, come ha fatto il Manifesto di spacciare gli impossibili sacrifici imposti alla Grecia dopo il referendum con 12 miliardi tagli (in realtà sono 13) e approvati dal Parlamento di Atene come “risorse per la crescita”, cosa nemmeno Schäuble si attenterebbe a dire. Perché se si dovesse continuare su questa strada allora se ne ritornino tutti nelle loro fiabe e nei loro salotti  intenti allo scambio di reciproche giustificazioni, di ben altro, di a monte, di a valle, nella misura in cui hanno il culo al caldo grazie alle briciole del ricco epulone cui fa comodo avere un’opposizione che non crede in se stessa.