Le ore scorrono lente prima di conoscere il risultato del referendum greco. Per impiegarne un po’ di tempo prima di una liberatoria vittoria del no o di un rinvio temporaneo dell’uscita di Atene dal consesso Ue – euro, cerco di mostrare come questo inizio della fine fosse in qualche modo in agguato e preparato dai due peccati originari dal quale è nata la costruzione continentale. Scagli la prima pietra chi non è stato prima o poi europeista, ma da quando la crisi di sistema del capitalismo finanziario ha messo in crisi la moneta unica, tutte le crepe hanno perso lo stucco con cui erano state nascoste anche se in tantissimi chiudono gli occhi per non vederle.
Sì l’Europa poteva apparire con una garanzia di pace e di democrazia, come un insieme solidale nel quale si sviluppava una concezione avanzata di stato sociale e last but no least anche come un’ unione in grado di contenere lo strapotere degli Usa. Ma tutto questo ha funzionato fino alla caduta del muro di Berlino: quando si è fatta strada l’illusione che la storia fosse finita con un solo vincitore perenne i geni maligni che erano stati introdotti nel dna della concezione e creazione europeista hanno cominciato a svilupparsi e a far sentire tutto il loro influsso e la potenziale farfalla è diventata definitivamente bruco.
Il primo gene del tutto estraneo all’idea diffusa di Europa politica in difesa delle libertà e progressista, sia pure nei limiti del keynesismo, è quello presente fin dai tempi della prima guerra mondiale: l’idea di una pace perpetua fondata esclusivamente sul mercatismo e su una concezione elitaria della governance. Infatti , in termini moderni il progetto di un’unità del continente nasce dopo l’inutile e orrenda carneficina della prima guerra mondiale da Louis Loucheur, ingegnere e imprenditore vicino a Clemenceau, coordinatore dello sforzo bellico francese oltre che della successiva conversione industriale transalpina e soprattutto dal conte austro ungarico Richard de Coudenhove-Kalergi. Quest’ultimo nel 1922 scrive un libro, Paneuropa, ein Vorschlag (una proposta) destinato ad avere una certa fortuna. La sua domanda è: come evitare future guerre in Europa? E la risposta è quasi profetica nel senso che ricalca la creazione della Ceca, ovvero la comunità del carbone e dell’acciaio primo passo sulla strada dell’Unione: dal momento che i conflitti richiedono enormi risorse risorse industriali allora mettendo tali risorse sotto un’autorità comune -non condizionata da elezioni – nessuna delle grandi potenze potrà preparare la guerra. Se la Germania e la Francia delegassero a un’autorità binazionale la gestione di carbone acciaio ecco che sarebbe per loro impossibile entrare in conflitto. Coudenhove-Kalergi quindi fa un passo avanti e riprende le idee espresse in un libro del 1918 da Giovanni Agnelli, Federazione europea o Lega delle nazioni? in cui l’industriale italiano vagheggia la creazione di un forte governo continentale per contrastare il revanscismo delle nazioni. Tanto forte da poter essere di fatto una sorta di dittatura.
Il secondo dopoguerra vede tutto questo tradotto in qualcosa di più politico che di solito viene attribuito al Manifesto di Ventotene, testo ultracitato, ma pochissimo letto in cui i due autori ufficiali, Spinelli e Rossi, assieme agli altri due ispiratori, Hirschmann e Colorni si dà sostanzialmente un’interpretazione più aggiornata, più consapevole delle precedenti idee, ma in fondo più radicale: agli stati uniti di Europa si può arrivare certo attraverso lo spazio economico, ma anche avviluppando la democrazia dentro un meccanismo elitario sovranazionale che impedisca, per dirla in parole povere, gli smarrimenti dei popoli, la loro propensione al nazionalismo e alla demagogia. Insomma la visione è quella di un governo europeo degli ottimati e alla fine dei magnati. Pensiero piuttosto ambiguo, nel quale a mezzo tra Adam Smith, il socialismo utopista e Benedetto Croce, si pensa che i problemi sociali siano risolvibili annullando la sovranità degli stati, la loro volontà di potenza (e le relative spese belliche) in una visione dove viene negato ed escluso ogni conflitto di classe o conflitto economico . Qualunque fossero le intenzioni concrete degli autori è questo il pensiero che è passato e che è stato mirabilmente ed etilicamente sintetizzato nel 1999 (anno dell’entrata in vigore dell’euro) dall’attuale presidente della commissione Ue, Juncker in una celebre intervista allo Spiegel in cui spiega il modus operandi su scala continentale: “Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno”. Singolarmente tutto questo sembra assai simile al progetto di europa federale messo a punto da Walter Hallerstein per conto di Hitler.
Tutto ciò avrebbe avuto pochi o nessun effetto pratico se l’Europa intera distrutta dalla guerra non fosse stata territorio di contesa tra le due superpotenze vincitrici: è questo che inserisce il secondo gene maligno, la nascita dell’Europa come strumento di contrapposizione, carattere che si evidenzia oggi in maniera chiarissima nella vicenda Ucraina. Alla fine del conflitto ritroviamo Coudenhove-Kalergi a tessere rapporti con gli Usa per convincerli a imporre un’organizzazione federale dell’Europa. Cosa che trova orecchie attente soprattutto in Allen Dulles, insomma tra i ragazzi della Cia e viene sponsorizzato da Winston Churchill che parla di Stati uniti d’Europa nel settembre del 46 all’università di Zurigo. L’idea non parte da una visione di largo respiro, ma solo dalla necessità di contrapporre un blocco più ampio possibile all’Urss, blocco sotto la tutela degli Stati Uniti, ma anche della Gran Bretagna, nel quale i singoli stati mettono in comune alcune risorse sotto la sorveglianza e anzi il governo delle due potenze anglosassoni. Quindi qualcosa che riprende il mercatismo di Kalergi inserendolo in un progetto neo coloniale. Nel gennaio del ’47 Churchill crea il Comitato provvisorio per l’Europa Unita e in marzo il congresso Usa vota una mozione di sostegno del progetto anche in vista delle “tendenze espansionistiche del comunismo”. Ma è un periodo dove la creazione di comitati e di progetti di alleanze non conosce soste e dove soprattutto esiste la massima confusione, peraltro voluta, in cui prevale l’obiettivo di creare una sorta di massa critica europea capace di sottrarre, in quella situazione ancora fluida, gli stati dell’Est alla tutela sovietica.
Tutto cambia quando nell’agosto del ’49 l’Urss fa esplodere la sua prima bomba atomica: il presidente Truman si convince che ormai il mondo è diviso fra due superpotenze nucleari, tra due blocchi e questo rimette in gioco i piani fatti precedentemente: si preme sull’acceleratore della Nato (che nasce come primum rispetto a qualsiasi trattato europeo) e contemporaneamente si cerca di creare un organismo più solido. Soprattutto si cerca una fedeltà politica. Così nella primavera del 1950 gli Usa affidano a Robert Schuman, ministro degli esteri francese, con il merito di essere anche membro soprannumerario dell’Opus Dei, oltreché collaboratore di Petain nella Francia filonazista di Vichy, il compito di proporre la messa in pratica delle idee di Coudenhove-Kalergi lanciando la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nella quale entrò anche l’Italia che aveva pochissimo carbone e poco acciaio, ma che era strategicamente indispensabile in quanto territorio di confine geografico e politico. L’anno successivo fu firmato il trattato. Nel 57 arrivò il Mec o mercato comune con il Trattato di Roma che ancora costituisce il nucleo fondamentale dell’Unione. Poi il trattato di Lisbona del ’92 che sancisce i principi liberisti, reso appositamente complicato perché non potesse facilmente prestarsi a un referendum e infine l’Euro che in effetti è stato assurdamente concepito come una prosecuzione di quel mettere sotto un’autorità indipendente le risorse. Solo che in questo caso sono risorse monetarie e non funzionano come il carbone. Tutti passi da cui i cittadino sono stati accuratamente esclusi dalle decisioni compreso quello ancora da siglare ufficialmente, ossia il Trattato transatlantico.
Naturalmente mi sono limitato all’essenziale. Ma quello che mi premeva di mostrare è che la creatura europea difficilmente si potrà trasformare in un soggetto politico e davvero democratico: le tare che si porta dietro sono troppo vistose ed è inutile tentare la respirazione bocca a bocca. Occorre un salto di qualità che è difficile immaginare nella situazione attuale e soprattutto occorre una riedificazione completa alla luce di altre idee e anche di un mondo che è completamente cambiato dal dopoguerra e nel quale l’Europa appare come una balena spiaggiata, senza voce, senza unione se non quella di una allucinante moneta, senza democrazia e in balia della tempesta. Occorre rifarla dalle fondamenta questa casa comune che oggi è diroccata e invece di essere uno scudo contro la speculazione, gli egoismi nazionali, le dislocazioni dei poteri mondiali, lo sfruttamento sembra esserne vittima ancor più delle “piccole patrie”. E in qualche caso anche promotrice. E’ anche su questo che il voto dei greci avrà un’importanza cruciale, lo voglia o meno Tsipras.
Nel conflitto che vede da una parte la logica, le dimostrazioni e le prove empiriche e dall’altra il desiderio di credere a una realtà immaginaria, la logica, quasi sempre perde. Il pseudo-sinistrismo di Syriza e’ ampiamente dimostrabile e dimostrato – come dai commenti al post e anche precedenti.
Post molto interessante, per ora aspettiamo. 65Luna
Tre cose dette da Varoufakis nell’articolo-intervista sul Telegraph britannico e che, riprese dalla stampa greca, non possono aver fatto bene alla causa del no:
“Luckily we have six months stocks of oil and four months stocks of pharmaceuticals,”
Fortunatamente abbiamo sei mesi di riserve petrolifere e quattro mesi di riserve per i prodotti farmaceutici.
Per quanto riguarda il contante:
“We can last through to the weekend and probably to Monday,”
Possiamo durare fino a tutto il weekend e probabilmente fino a lunedì.
“I am amazed that the ‘no’ side is still doing so well since we have done no campaigning and there have been no rallies. The party is still in shock,”
Sono stupitissimo che il fronte del NO stia andando ancora così bene visto che non abbiamo fatto alcuna campagna a favore del no e che non ci sono state manifestazioni. Il partito è ancora sotto shock.”
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
L’articolo del Telegraph si trova qui:
http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11716318/Greeces-Yanis-Varoufakis-prepares-for-economic-siege-as-companies-issue-private-currencies.html
“agli stati uniti di Europa si può arrivare certo attraverso lo spazio economico, ma anche avviluppando la democrazia dentro un meccanismo elitario sovranazionale che impedisca, per dirla in parole povere, gli smarrimenti dei popoli, la loro propensione al nazionalismo e alla demagogia.”
Peccato che come dimostra ad abundantiam quello che stiamo vivendo da alcuni anni, la propensione al nazionalismo e alla demagogia è coltivata assiduamente proprio dalle élites che ogni giorno, attraverso i loro media, annaffiano accuratamente la piantina dell’odio e della discordia tra i popoli. Gli italiani, in genere, non leggono le testate online tedesche e greche ma chi legge entrambe sa quanto è stato fatto (mirabilmente, a giudicare dagli effetti) per mettere greci e tedeschi gli uni contro gli altri. A questo riguardo voglio anche ricordare mister faccia pulita David Cameron e i suoi annunci pubblicitari razzisti che tempo fa dicevano ai popoli dell’Est Europa di stare a casa loro perché il Regno Unito non li vuole.
Finché non capiremo che le cause della guerra non sono i popoli che si odiano ma le élites che studiano a tavolino come fare in modo che essi si odiino ancora di più, continueremo a scambiare le conseguenze per le cause e a prendere lucciole per lanterne.
Quanto all’effetto liberatorio del no al referendum greco, bisogna prima che vinca il no. E la cosa sarà difficile visto che Tsipras e Varoufakis hanno fatto di tutto, consapevolmente, per rendere proibitiva la vittoria del no:
– hanno chiuso le banche generando problemi enormi per tutta la popolazione
– attraverso diversi ministeri lanciano quotidianamente messaggi di questo tipo (sintetizzo): “l’esercito si occuperà dell’ordine interno”, “l’esercito rifornirà le farmacie di farmaci qualora dovessero mancare”
– Varoufakis in persona dice che (sintetizzo) “siamo in grado di resistere all’assedio per diversi mesi” e si sta riferendo a carburante, cibo e quant’altro
– come se non bastasse Tsipras allude in un suo discorso pubblico alla ristrutturazione del debito, Varoufakis ne fa oggetto addirittura di un post in inglese sul suo blog e il tutto genera ondate di panico che non fanno certamente del bene alla causa del NO. I due poi smentiscono ma il male ormai è stato fatto.
Ci si ponga poi la domanda: perché il referendum non è stato deciso a gennaio, a vittoria di Syriza ancor calda, quando avrebbe avuto il massimo dei risultati? Risposta: perché in una situazione in cui il denaro contante era ancora abbondante non ci sarebbe stata alcuna motivazione per chiudere le banche e per far vivere i greci nella paura di un assedio economico e di una rarefazione dei beni di prima necessità per cui l’esito sarebbe risultato plebiscitariamente a favore del no. Con la paura sapientemente provocata da quasi ogni mossa e ogni dichiarazione di Tsipras e Varoufakis e la conseguente sensazione psicologica di vivere un momento di vera e propria guerra (l’assedio economico di cui ha parlato Varoufakis), la vittoria del no è diventata decisamente più ardua, anche se non impossibile.
Insomma, chi considera eroi i due leader greci farebbe bene a rivedere il suo giudizio a meno di non considerare eroi anche il Gatto e la Volpe, cosa non da escludersi visto che di questi tempi i criteri morali sono soggetti a sbandamenti semantici anche di notevole ampiezza.