Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nei giorni scorsi, prima della fase dell’aiuto umanitario creativo, condotto da eterni ragazzini sempre in vena di giocare a battaglia navale, alcuni autorevoli commentatori di professione raccomandavano il silenzio della pietas, e quelli più pedagogici il silenzio della vergogna.

Sbagliato. È come quando magari gli stessi dicono che non ci sono più destra e sinistra, concetti arcaici e ideologismi superati, e che quindi è inutile sgolarsi sulla necessità di schierarsi a testimoniare e rappresentare  ancora  come nell’800 le ragioni degli oppressi, diventate dinamiche partite Iva.

Il fatto è che invece la destra c’è eccome, sempre più potente e poliedrica, forte dei suoi capisaldi antichi e rinnovata dall’adesione all’imperialismo finanziario, che tanto i padroni, le loro dinastie e la loro fede sono immutabili. E grida, bercia, mena cazzotti, zittisce, solleva da incarichi e fa sprofondare piloni, ricorda perfino la resistenza per cancellare le sue conquiste e, nel caso in questione, si esprime eccome, suscitando e dando voce al peggio degli italiani brava gente: i rom rubano, tra i profughi si celano terroristi che scelgono le vacanze avventurose preferendole a comodi voli, sia pure low cost, mettono gli immigrati in luxury hotel, gli stranieri i portano via il lavoro, magari anche quello gratis all’Expo, hanno facilitazioni nell’accesso ai servizi, negate ai nostri connazionali, portano l’ebola, la Tbc, la scabbia, le loro donne si prostituiscono in regime di concorrenza sleale con le Olgettine, trafficano e spacciano, magari proprio la nostra droga della nostra mafia, entrano nelle case a rapinarci con ancora e più sorprendente destrezza delle cordate del Consorzio Venezia Nuova o di tanti consiglieri regionali, sono troppi, se ne prendessero un po’ ziaaltri partner europei, che ne so l’Olanda, la Svezia, la Francia, in Regno Unito, che in fondo dovrebbero redimersi del loro passato coloniale, mentre Graziani è andato in Abissinia in gita, tanto che è doveroso intitolargli un monumento.

Zitti? Proprio no, invece è il momento di stare da una parte, quella della coesione sociale e dell’amicizia, quindi del nostro stesso interesse, della verità contro le menzogne convenzionali proferite ogni giorno come baluardo in difesa del neo colonialismo che agisce fuori e dentro i confini contro il terzo mondo, quello esterno e quello che hanno creato tra noi.  E dell’antifascismo, perché non occorre stringere alleanze con Casa Pound per esser  fascisti nei pensieri, negli atti, nelle convinzioni e nella propaganda, zittendo la critica, promuovendo disuguaglianza e disparità, favorendo la stessa immutabile corruzione che armò gli assassini di Matteotti, forgiando una gerarchia dell’accettazione degli altri da noi, distinguendo tra buoni – quelli che fanno utili per il caporalato, che cambiano i pannoloni, che spazzano i nostri uffici, preferibilmente invisibili,  preferibilmente spaventati, preferibilmente ricattati, né più né meno come vorrebbero diventassimo tutti, condannati alla schiavitù senza diritti, senza certezze, senza cure, senza istruzione – e cattivi, predestinati alla trasgressione in quanto macchiati all’origine del peccato di clandestinità, molesti perché reclamano riconoscimento di uno status che li sottragga alla condizione di vite nude, di numeri  senza identità, senza nome, senza terra, nemmeno quella del cimitero, se cascano da una impalcatura o bruciano dentro a una fabbrica illegale.

Zitti? Proprio no, perché è giusto e doveroso  far sentire la propria voce per piegare la vergogna originata da colpe condivise, ma anche quella ispirata da crimini di altri, in modo che si trasformi in responsabilità, nei confronti di noi stessi, della dignità di persone, di quelli che verranno dopo di noi, ai quali dovremo rendere conto del misfatto compiuto anche a loro danno futuro, nei confronti di ambiente, territorio e risorse saccheggiate da predoni d’esportazione, che si domandano se la pretesa uguaglianza incoraggiata dal progresso debba inesorabilmente schiacciare le loro vite verso il basso, per renderli iniquamente uguali a operai del Bangladesh,  secondo la corsa all’appiattimento verso il peggio avviata dalla cupola dell’economia criminale, che vorranno sapere perché da che mondo è mondo la via della pace debba passare per le armi, comprate e vendite, indirizzate o subite, perché la diplomazia sia solo l’anticamera delle azioni militari, perfino in nazioni che da miti sono diventate solo succubi e che vogliono dimostrare di essere qualcosa di più di un’espressione geografica mettendosi in testa l’elmetto, comprando caccia taroccati, in funzione di solerti attendenti.

Zitti? Proprio no: ai tanti che in questi giorni da chi come me esige “soluzioni” per via di quel primato del pragmatismo che sostituisce idee, visioni e progetti come piace a questi dinamici maggiordomi dei soliti padroni, ai tanti che fanno finta di non vedere che qualsiasi nostra soluzione, qualsiasi nostra opinione è destinata al buio dell’eclissi di partecipazione e democrazia senza speranza, prodotta da quelli che dovrebbero invece rappresentarle, che paghiamo, che hanno una delega per operare nell’interesse comune, di cittadini e di ospiti, ai tanti si deve rispondere che le soluzioni tecniche devono essere originate e suggerite da principi,  quelli fondamentali del rispetto di diritti sanciti dalla costituzione, quello d’asilo, quello del rispetto della vita umana, quelli tutelati dallo stato di diritto, che dovrebbero essere sempre vigenti dentro di noi, anche se umiliati e calpestati.

E quello di responsabilità, secondo il quale dovremmo garantire uguale trattamento a chi vuole sottrarsi da  fame, violenza, paura, sia arrivato qui con un fortunoso  viaggio per mare o sia sceso degli inferi della miseria con un viaggio interno attraverso l’emarginazione, la disoccupazione, lo sfruttamento, clochard diventati improvvisamente una priorità per la Lega, profughi sans papier e sans dents diventati potenziali pericoli pubblici, spesso invece in transito verso altre mete meno ostili e meno impoverite e costretti a un soggiorno obbligato.

Perché altrimenti, se non scegliamo se stare con l’umanità e la dignità di persone, tutte le soluzioni tecniche vanno bene, bombardare i barconi, attuare il respingimento all’origine, in modo che la disperazione riprenda il cammino da dove è venuta, investire in lager in modo da suscitar la carità pelosa delle “quote” di partner poco disponibili, adottare l’esclusione come sistema di gestione della crisi, dagli esiti incerti, per scoraggiare gli arrivi, cambiare la legislazione in modo da potersi svincolare dagli obblighi umanitari, quelli che, con l’ausilio delle tecnologie preferibilmente impiegate a “scopo bellico”  dovrebbero invece istituire canali e misure di protezione, come quella prima accoglienza vicina alle aree di crisi per la quale esistono tutte le condizioni salvo la volontà politica.

Perché altrimenti se non scegliamo di stare con l’umanità e la dignità di persone, l’astensione si ritorcerà contro di noi, condannati a essere stranieri in ogni luogo,  probabile sale della terra.