Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non venitemi a dire che gli “anni difficili” erano più difficili dell’oggi. La povertà era riscattata dalla speranza, l’ignoranza era una condanna o una colpa, l’ambizione era un vizio, come l’avidità, l’egoismo era un difetto, la vanità era una debolezza, il cinismo era una depravazione, come tutto il resto soggetto a riprovazione e scandalo.
Se avevi un po’ di fortuna, anche se non eri nato nel posto giusto, nella casa giusta, dalla famiglia giusta, per via di quella lotteria naturale che giusta non è mai, potevi imbatterti in buoni maestri, potevi sottrarti alle visioni maggioritarie, potevi “non accettare”, senza essere considerato gufo o pazzo, potevi incontrare bei libri e bei film, perfino tra quelli premiati, potevi addirittura convincerti che se ti avvicinavi alla politica, avresti contribuito a “cambiare il mondo” oltre che la tua vita, potevi addirittura persuaderti che il “miracolo economico” non sarebbe sfociato nell’idolatria dei consumi, potevi addirittura illuderti che la belva del capitalismo si potesse addomesticare con le riforme, che la marcia di guerra dello sfruttamento potesse essere fermata dal fronte unitario dei lavoratori. E le utopie non erano debolezze romantiche di allucinati fuori dalla realtà, ma il modo per sopportarla immaginando di saperla mutare in altro e in meglio.
E se avevi un po’ di fortuna potevi anche godere dei buoni esempi, noiosi da accettare e faticosi da emulare. Ma poi scoprivi che invece rendevano la tua esistenza e il tuo pensiero meno ardui, magari un po’ manichei, ma più luminosi e chiari perché ti aiutavano a distinguere nella nebbia benpensante e nel grigio delle convenzioni, tra bene e male, giusto e ingiusto, rei e vittime, fascisti e partigiani, potenti e deboli, verità e menzogna, diritto e privilegio, privato e pubblico, carità e solidarietà. Perché le parole non servono, servono le azioni, serva la strada che qualcuno ha percorso prima di te e quello che è diventato, che è e che fa. E cultura e competenza erano frutto di una trasmissione, prodotto di una storia personale e collettiva, legate al lavoro, accertate da “esami” che attestavano le capacità raggiunte, riti di passaggio attraverso i quali si guadagnava prestigio o, e non è poco, si confermava dignità e merito, di modo che erano riconosciuti il valore, l’utilità e l’interesse per sé e per gli altri.
Invece ieri è stato formalizzato il paradosso: il premier è stato assolto perché non era “addetto ai lavori”. La Corte dei Conti che lo ha sollevato dall’accusa di danno erariale per i contratti di assunzione nella sua segreteria tra il 2004 e il 2009, ha motivato la sentenza in quanto l’allora presidente della Provincia di Firenze non era in grado di “percepire le illegittimità del proprio operato”. “Dopo due condanne mi hanno assolto. Ristabilita la verità”, gongolava via Twitter che il Collegio abbia ritenuto di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a “incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”. Insomma Renzi viene assolto perché non in era in grado di percepire le illegittimità del proprio operato? Bella referenza per un premier e leader. Ma bell’esempio per i datori di lavoro che possono interpretare comportamento e sentenza come caso di studio esemplare sull’arbitrarietà dispotica offerta ai padroni da regole che hanno cancellato definitivamente garanzie, diritti, prerogative, conquiste e leggi, comprese quelle morali, abrogando di fatto la giustizia.
L’ignoranza che la giurisprudenza non ammette, è stata così legittimata da una sentenza. Ma è lo spirito del tempo. Perché dovremmo stupirci dell’abbandono scolastico: negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi, quando ignoranza e incompetenza vengono premiati attraverso fortunose e fortunate carriere? Quando nel manifesto del governo che deve propagandare le misure per una scuola moderna e competitiva fa bella mostra di sé un madornale errore ed orrore di ortografia? Quando una ministra è nota per aver rivendicato ignoranza e impreparazione? Quando un’orchestra di ragazzi invitata per motivi propagandistici a celebrare il compleanno del governo più ostile a loro e al loro futuro, viene trattata come un gruppo di molesti posteggiatori davanti alla pizzeria del lungomare, che disturba le ciance dei clienti che si avventano sul fritto misto?
In quest’ultimo caso nutro qualche speranza. Mi auguro che si tratti di una vicenda esemplare che ammaestri i ragazzi e i loro genitori che si erano prestati a questa liturgia elettoralistica e a officiare questa cerimonia anestetica di marketing. E che serva ad educare i i giovani musicisti delusi a suonare altre note, quelle della radicalità, dell’indipendenza, della libertà.
L’ha ribloggato su demata.
oh.. gli inglesi se non sbaglio, dicevano a proposito di legalità democratica: “No taxation without rapresentation” … mah, allora, Renzi, chi rappresenta in realtà, politicamente o politicantemente ??
“Non venitemi a dire che gli “anni difficili” erano più difficili dell’oggi. La povertà era riscattata dalla speranza, l’ignoranza era una condanna o una colpa, l’ambizione era un vizio, come l’avidità, l’egoismo era un difetto, la vanità era una debolezza, il cinismo era una depravazione, come tutto il resto soggetto a riprovazione e scandalo.”
Tutto quanto dice Anna Lombroso è giustissimo e condivisibile. Però… il male non nasce dal nulla ed è spesso la faccia nascosta di quello che ci sembrava bene. Per capire cosa intendo dire, cerchiamoci un paese che oggi è molto simile all’Italia degli anni cinquanta/sessanta. Propongo l’esempio dell’India, una grande nazione che seguo da anni, e in cui il cupo pessimismo che oggi prevale in Europa è totalmente sconosciuto nonostante immani problemi di corruzione, ingiustizia sociale, oppressione delle minoranze, ineguaglianza tra i sessi, povertà e malattie che sembrerebbero giustificare, assai più che da noi, pessimismo e scoramento. Ebbene questo paese non è in preda al pessimismo perché si sta sviluppando principalmente per merito dell’opera di colonizzazione economica e culturale avviata dagli Stati Uniti. Il principale operatore televisivo dell’India è Rupert Murdoch, le riviste che vanno per la maggiore sono tutte testate che già dai nomi rivelano dove sta andando l’India e chi la sta pilotando: Vogue, Cosmopolitan, GQ, Elle, Maxim, Reader’s Digest, Harper’s Bazaar e perfino le italiane Grazia e Casaviva (si veda il sito readwhere.com dove con poche lire ci si può abbonare a queste riviste che sono per lo più in lingua inglese). Quanto alle ONG presenti in India, sono ovviamente emanazione di ONG americane o britanniche mentre cominciano a nascere dei partiti che si vocifera siano finanziati direttamente dall’estero come l’Aam Admi (l’uomo normale, l’uomo qualunque!) che in questi ultimi mesi ha conosciuto una serie di successi elettorali impressionanti. In India, assieme alla percezione dell’enormità dei problemi, si ha anche la sensazione che tante persone e organizzazioni si stiano muovendo per risolverli concretamente. Ed è effettivamente così perché la manovra colonizzatrice capitanata dagli Stati Uniti ha un primo momento benefico e vengono davvero investiti ingenti capitali per smuovere le acque e risolvere i problemi. Ma attenzione! È pur sempre una manovra tattica, qualcosa che sembra a fin di bene ma è in realtà a fin di… capitalismo, quel capitalismo a fisarmonica che prevede fisiologicamente una successione di momenti di sviluppo e di decadenza. Nel momento di sviluppo il capitalismo lascia la briglia sciolta e tende a far indebitare al massimo i paesi oggetto delle sue attenzioni per cui va bene la creazione di un welfare state che presta la massima attenzione ai bisogni del cittadino, gli riduce gli orari di lavoro, gli aumenta le ferie retribuite, gli alza i salari, gli concede la sanità pubblica gratuita ma va pure bene la pensione parametrata sugli ultimi tre anni di guadagni e quella concessa agli insegnanti dopo soli 10 anni di lavoro (chissà se c’è ancora qualcuno che se la ricorda!).
Sull’altro versante della colonizzazione, quello “positivo”, non si può dimenticare che lo sforzo colonizzatorio è finalizzato anche a disgregare la società tradizionale e i suoi valori perché lo scopo ultimo è quello di creare il cittadino-consumatore totalmente sradicato dalla sua tradizione e dunque in balia di valori e stili di vita che gli vengono via via proposti tramite i media al ritmo di nuovi valori per ogni generazione che si affaccia al mondo creando un perfetto parallelismo tra nuova musica, nuova moda, nuovi stili di vita, nuova tecnologia e nuovi valori in cui credere e a cui appassionarsi, diversi da quelli dei propri genitori. Nasce così la realtà moderna in cui i genitori non hanno più nulla da insegnare ai figli e, anzi, sono loro a sembrare dei bambini indifesi rispetto alla complessità e ai rischi delle nuove tecnologie che i figli, invece, padroneggiano perfettamente. L’educazione, poi, non è più appannaggio di genitori e maestri che operano nel solco di una tradizione “certificata” ma di riviste patinate sottoposte alle mutevoli esigenze dell’industria culturale e non. Anni fa, quando studiavo il polacco, mi abbonai a una rivista femminile che va per la maggiore allo scopo di imparare il linguaggio della quotidianità e dei sentimenti. Fu la prima volta nella mia vita che, per dovere linguistico, lessi sistematicamente le riviste per donne che ero abituato a prendere in mano dal dentista solo per pochi minuti e fui sconvolto nel vedere quanto prescrittive esse fossero. Non si ha più bisogno di dittatori quando ogni singolo comportamento viene dettato con apodittica certezza da giornalisti che ti trattano da ogni pagina come un bambino che deve ancora imparare tutto e facendoti intuire che se non fai come dicono loro sarai sempre un reietto. E fu allora che capii che l’educazione, nell’epoca del capitalismo pensiero-unico, è impartita dai media e da nessun altro. I genitori sono solo detentori di un potere di veto ma non riescono ormai a vietare nulla per cui trovano più semplice adeguarsi e fare i genitori in modo affettivo ma non più cognitivo. Nell’Italia che Anna Lombroso rimpiange quasi tutti gli elementi positivi erano il rovescio della medaglia di un sistema di potere che ha bisogno di fare tanto bene per acquisire quella credibilità e attaccamento che gli permetterà poi di fare indisturbato tutto il male che gli serve. Come stiamo scoprendo a nostre spese in questa nostra disgraziatissima Europa.
Cara Anna, grazie per aver descritto con lucidità la sensazione di disorientamento e angoscia che da tempo mi accompagna. È stato doloroso leggerti, ma ora meno che mai è il momento di raccontarsela o di cercare consolazioni o lenitivi inesistenti. Io, credo anche tu, appartengo ad una storia che ha sempre guardato negli occhi i suoi nemici e li ha combattuti a viso aperto. Credo sia per questo che è così difficile ora, che dobbiamo combattere contro l’ambiguità, la falsità e la disparità elevate a unica regola del vivere civile. Sono solo molto molto preoccupato per chi sta crescendo avendo conosciuto solo gli ultimi vent’anni. Mia madre è cresciuta sotto al fascismo ma ha potuto prenderne le distanze, questo regime invece non lascia respiro. Grazie per la pazienza, ti leggo da molto e mi aiuti ad orientarmi in questa nebbia.
capisco che il pregiudizio faccia ombra, ma consiglio la compulsazione di un dizionario (in questo caso Treccani)
a. Istruire in una dottrina, un’arte, una disciplina: a. nella religione, nelle scienze, nel canto, nella recitazione; impartire un insegnamento morale: a. a vivere onestamente; anche assol., a. i giovani, istruirli, educarli; talora in senso iron.: lo hanno proprio ammaestrato bene!
b. Rendere esperto: la storia ci ammaestra; le sciagure spesso ammaestrano.
2. Addestrare animali, renderli abili a eseguire in pubblico esercizî di destrezza: a. cani, orsi, foche, delfini. ◆ Part. pass. ammaestrato: una pica [= gazza] loquacissima … ammaestrata di chiamare per nome e di salutare i pastori (Sannazzaro); anche come agg.: cavalli, scimmie, elefanti, cani ammaestrati.
però ammetto che dei ragazzini mandati a fare la claque musicale a un leader e premier come quando c’era lui, mi sembra siano stati trattati da animali da esibizione, a cominciare da genitori ed insegnanti
“Credevo che il verbo ammaestrare si riferisse solo agli animali. Evidentemente, in certi ambienti, il concetto è più esteso.”
in conto è credere( magari ideologicamente, dogmaticamente…), un conto è sapere…
http://www.treccani.it/vocabolario/ammaestrare/
Dal tuo link…”cani, orsi, foche, delfini” e “cavalli, scimmie, elefanti, cani ammaestrati”. Ma i tuoi figli sono ammaestrati o educati? Dimmi.
diciamo pure che il sistema scolastico è fatto per ammaestrare.
L’educazione dovrebbe spettare ad una famiglia cosciente e consapevole.
Tremo già al pensiero del giorno in cui la mia figlioletta sarà costretta ad andare a scuola (“il buco del culo del diavolo”, come lo definisce Robert Musil nei Diari 1901-1905), ma spero di essere in grado di renderla una persona dotata di discernimento e mente critica
“Mi auguro che si tratti di una vicenda esemplare che ammaestri i ragazzi e i loro genitori”. Credevo che il verbo ammaestrare si riferisse solo agli animali. Evidentemente, in certi ambienti, il concetto è più esteso.
Non venitemi a dire
che gli onesti sono spariti d’un colpo
che tutti i blog sono uguali
che tutti scrivono le stesse cose
che più nessuno pensa.
Ditemi piuttosto
che alcuni non hanno la rilevanza che meritano
che non sono letti abbastanza
che sono surclassati dai grandi nomi.
Grazie, Anna !