Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sono molti i motivi per i quali mi angustia l’elezione di Sergio Mattarella.

Il primo, ovvio per i pochi che non si fanno ingannare dal teatro kabuki degli alleati che mimano divergenze come i guappi di strada tirano pugni inoffensivi gridando “tenetemi che io quello l’ancido”, è che è stato invece acclamato proprio il candidato di tutti, degli attori dell’alleanza oscena, operativi nel concretizzare un regime imposto dall’imperialismo finanziario, dalle troike, dei padroni globali, di quelli che aspirano all’abrogazione degli stati sovrani, alla cancellazione di quel che resta delle democrazie, alla limitazione progressiva di garanzie e diritti del lavoro, fino alla sua definitiva trasformazione in servitù precaria, incerta, ricattabile.

E infatti si è scelta una figura grigia, riservata, un professionista del “parlamentarismo”, materia nella quale si è laureato, nel solco del potere attribuito ai tecnici in loden,  in modo da mascherare  competenze ed esperienza e dare fattezze anodine, specialistiche a un lavoro non proprio lindo e squisitamente  politico, quello della “sem­pli­fi­ca­zione” del sistema poli­tico che si pone in con­tra­sto con l’art. 49 Costituzione e che riduce una partecipazione già scoraggiata dalla distanza nella quale agisce la politica, dagli scandali, dall’incompetenza di un ceto che dopo aver negato la crisi, annega nell’ubbidienza a chi l’ha determinata, quello che sfregia il  Parlamenti, ne restringe sempre di più i poteri affidati a nominati grazie a una selezione del personale basata sulla fidelizzazione, l’ipocrisia e  l’assoggettamento e che piace fuori di qui se Renzi ne rivendica la “genialità” nella soluzione   dell’enigma della gover­na­bi­lità, tanto che il talentuoso con­ge­gno sarà pre­sto imi­tato in tutta Europa, e c’è da aspettarsi trasferte  di formazione del ticket Boschi-Verdini per addestrare alla vittoria certa la Merkel, Hollande e perché no? Cameron da convertire alla benefica rottamazione del sistema britannico.

Insomma l’uomo del Mattarellum ha  le caratteristiche appropriate per sovrintendere la  costru­zione meccanica della vittoria sicura del regime, alterando e sfigurando l’edificio della rappresentanza, cassando il principio della pari influenza delle sin­gole espres­sioni di voto,  grazie alla sua “credibilità”  di promotore della svolta maggioritaria.

Ne è conferma ulteriore la modalità, esplicita anzi ostentata,  ammessa anzi rivendicata, con la quale si è proceduto esemplarmente alla sua nomina certa, grazie a una procedura di controllo incrociato della disciplinata  osservanza del diktat del Nazareno: e chi doveva votare S.Mattarella, e chi invece Mattarella, e chi onorevole Mattarella, tanto che gli infantili selfie di voto dei 5stelle sono robetta da dilettanti.

Non ultimo motivo di disappunto è la condanna pronunciata contro il Paese a morire democristiano, senza la speranza dell’immortalità. Condanna che suona ancora più  allarmante per chi teme che la guerra mossa contro i diritti del lavoro, quelli contro la libertà di espressione che riguarda non solo la stampa e la rete, ma anche  la critica e l’opposizione di organizzazioni dei cittadini, le manifestazioni di lavoratori e studenti, si estenderà a quelli già conquistati ma continuamente messi a rischio, quelli per i quali da anni si lotta e che riguardano inclinazioni, contenuti esistenziali, legami affettivi e dei quali il ceto politico si fa beffa, postadatandoli come futili optional, come capricci, come esigenze secondarie in tempo di crisi.

Quelli che avevamo conquistato, compresi quelli più amari, voluti perché diventassero legali scelte dolorose ma legittime, in modo che uscissero da una infame clandestinità, erano state le vittorie sofferte di una “società civile” che lo era davvero, che si accorgeva che quello era il fronte che segnava la distanza tra repressione e libertà, tra egemonia confessionale e laicità. E fu possibile perché esisteva un movimento socialista, un partito radicale, una dirigenza comunista, renitente ma che conservava un dialogo con la base ed era costretta a ascoltarne le ragioni, per motivi ideali prima ancora che elettorali.

Ancora una volta dobbiamo rimpiangere le ideologie in assenza delle idee, a avere nostalgia di vecchi notabili che con dignità, accettavano i pronunciamenti popolari, senza tradirli tramite decreti, senza cancellarli tramite scorciatoie giuridiche, senza truffarli tramite noticine in margine  infilate proditoriamente durante l’iter delle “riforme”.

Pretese di innocenza e di onestà vengono ribadite grazie alla collocazione in ruoli visibili e simbolici di figure di “garanzia”, in un tempo nel quale le unica garanzie che ci lasciano sono la fatica, la miseria, l’abdicazione. Spetta a noi renderli insicuri, precari, mobili e riprenderci la certezza della democrazia e dei suoi diritti.