Anna Lombroso per il Simplicissimus

VeryBello! E col punto esclamativo! No, non è una typical espressione di Renzi nel suo leggendario inglese, davanti al bikini della più autorevole delle ministre. Non è nemmeno uno slogan, come two it’s meglio che one. E non è un episodio della saga di Peppa Pig e neanche il nome  la collezione estate del guardaroba di Barbie.

No, è il titolo dato al “nuovo modo di viaggiare in Italia attraverso la  sua straordinaria offerta culturale” dal Ministero dei Beni Culturali. Un itinerario virtuale  in una “piattaforma digitale interattiva”, voluta dal Ministro Franceschini  e promossa per censire “1300 eventi che  rappresentano l’Italia da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli borghi, da maggio ad ottobre 2015”, i mesi della grande esposizione universale di Milano. Uno “strumento dinamico, efficace”, recita la presentazione ufficiale. Ma con qualche pecca, che ha suscitato l’ilare contestazione di visitatori e curiosi: sono stati circa 20 mila i tweet che hanno ironizzato sugli equilibrismi in materia di diritto d’autore, sulle falle tecniche del sito, sugli errori pacchiani, sul Palio di Asti collocato spericolatamente in India, sulla grafica infelice dell’immagine simbolica scelta come logo dell’iniziativa, che aveva tagliato nei primi giorni, forse in omaggio all’opposizione,  un pezzetto di Calabria  e, in barba a Goethe: “l’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto …”, anche la nostra isola maggiore, che aveva probabilmente preferito per l’occasione scivolare verso un più riconoscente nord Africa.

È proprio un governo di provinciali, ignoranti e affetti da tremendi complessi di inferiorità oltre che da un’istruzione lacunosa, se nel Paese del Dolce Stil Novo, di Dante, del volgare siciliano, deve pescare il titolo di un percorso formativo istituzionale nello slang di Broccolino. E  se pensa che per valorizzare paesaggio, arte, cultura italiana serva una kermesse  nostalgica di Belle Epoque proprio quando viviamo l’epoca più brutta. E, peggio ancora se, come c’è da temere, è davvero persuaso che il rilancio del turismo culturale, la riconquista della  credibilità internazionale – perduta con i crolli di Pompei, il sacco delle coste sarde, la mano di bianco al Colosseo, le maxi navi che sfiorano San Marco e l’Unesco che abbandona  Venezia e così via –  e che il riscatto di una nazione che vanta i primi posti in graduatoria per la trascuratezza e l’abbandono in cui versa il suo patrimonio più prezioso, insieme al degrado ambientale, al dissesto idrogeologico, agli indici di corruzione e ai condizionamenti della libertà di stampa, possano venire da  una sagra paesana di fagioli di Lamon, di lardo di Colonnata e di pistacchi di Bronte, proprio quando il vantato km zero può voler dire pomidoro della terra dei fuochi, pesci tramortiti dalle trivelle in Adriatico,  quando i ristoranti più pieni, per dirla con il vecchio marpione, sono quelli della Caritas e il maiale più propagandato è una legge elettorale nefasta, superata da una ancora più infame.

Non c’è niente di VeryBello in un ministro dei Beni Ambientali e Culturali che non ha il coraggio di dire di no al decreto Sblocca Italia, che legittima ogni sorta di licenza a Attila: speculatori e signori del cemento, immobiliaristi e acrobati delle destinazioni d’uso, favoriti dal contemporaneo impoverimento della rete statale dei controlli e dal taglio in salita degli investimenti in manutenzione. Non c’è niente di VeryBello in un governo che destina risorse a opere megalomani e  dannose, sottraendole alla cura del territorio, della quale rammenta momentaneamente la priorità solo in occasione di alluvioni e morti d’acqua e di frana. Non c’è niente di VeryBello in un ceto politico che delega ai privati, in cambio di sostegno, finanziamenti, appoggi oscuri, non la valorizzazione delle sue opere d’arte, ma addirittura la normale manutenzione e la gestione, un potere sostitutivo favorito da anni di indifferenza, trascuratezza, incuria decisamente sospette e non casuali.

Non c’è niente di VeryBello in un Grande Evento, che eserciterà una feroce pressione sull’ambiente, se sono già 1.000 gli ettari di suolo agricolo  cementificati: padiglioni, piazzette tematiche, raccordi autostradali e rotonde, come dire che si “nutre il pianeta” di colate di  calcestruzzo e di asfalto su terre fertili.  Che ospiterà come invitati d’onore le multinazionali dell’alimentazione e dell’agroindustrie e come sponsor l’acqua privata della San Pellegrino controllata dalla Nestlè. Che quando sarà finito lascerà tutti gli interrogativi su un “dopo” di cattedrali in rovina, impianti che si sgretolano:   Arexpo, la società pubblica che ha comprato i terreni e li ha messi a disposizione di Expo Spa, ha aperto un bando per scegliere i compratori, che si è chiuso ma del quale non si sa nulla, come non si sa chi ripianerà i debiti contratti per l’infelice kermesse, collocata su un’area privata e pagata molto cara,  da Comune di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Fiera, Provincia di Milano, Comune di Rho, Stato. E non c’è niente di VeryBello nell’affastellarsi di piccoli eventi, mostre e mostri, messi insieme per l’occasione, suscitati dalla mania di grandezza di assessori in cerca della popolarità di inaugurazioni con cocktail e benedetti dalla estemporanea benevolenza di mecenati che vorranno qualcosa in cambio: convention in templi della Magna Grecia, cene nelle cattedrali, export di guglie del Duomo, feste su ponti storici.

Mai come ora l’unico Bel Paese degno di questo nome è quello Galbani.