imagesLa capacità di illudere le opinioni pubbliche è certamente grande, ma quella di auto illusione è straordinaria. Così non può stupire che la parolina magica e misteriosa, quantitative easing, ormai ventilata da sei mesi dalla Bce e in qualche modo già talmente scontata dai mercati che era ormai impossibile non farlo, dia luogo a nuove palingenetiche speranze, come se la stagnazione economica dovuta all’austerità potesse essere spezzata con semplici automatismi monetari, del resto già rivelatasi inutili con il Ltro, Oltretutto l’atteso provvedimento è stato varato, guarda caso, tre giorni prima delle elezioni greche, perché oltre ad avere l’effetto di salvare qualche banca e nulla più, possa servire almeno come strumento di ricatto sull’elettorato di Atene, palesandosi al contempo come carota lanciata dalla soccorrevole Europa, ma anche come minaccia nel caso non si facciano le famigerate riforme.

Ci sarebbe molto da dire su quest’ennesima presa per il naso dei cittadini del continente. Prima di tutto che la cifra di 1100 milioni e passa incorpora azioni già in atto da anni e si riduce quindi in effetti a 650 milioni in 16 mesi. Poi che il massiccio acquisto di titoli di stato non è diretto specificamente ad alleviare i Paesi in crisi comprandone in parte il debito, ma segue un criterio di proporzionalità per cui la quantità di bond tedeschi e francesi acquistati sarà strutturalmente superiore a quella dei titoli italiani o spagnoli. Per di più la banca centrale europea ha di fatto sancito la fine dell’europa solidale, se non dell’euro stesso visto che solo il 20%  dei titoli acquistati sarà garantito della Bce, mentre l’80% peserà sulle singole banche centrali, ovvero sui rispettivi stati. Si tratta della più evidente azione di “rinazionalizzazione” del debito in una situazione da comma 22 nella quale le sovranità monetarie e di bilancio delle nazioni di fatto non esiste più.

Non si fa fatica ad immaginare che la manovra punti soprattutto ad imporre le politiche volute dai centri finanziari, più che a stimolare l’economia reale: solo con una grande stagione di investimenti pubblici si potrebbe ottenere questo effetto. Usa e Giappone dimostrano che anche la più massiccia emissione di moneta, affidata al sistema finanziario privato, evapora prima ancora di raggiungere l’economia reale, anche se poi tutto il percorso finanziario fatto da questi soldi finisce nel calderone del Pil e si possono lanciare inni alla ripresa quando addirittura tutti o quasi i parametri reali sono in discesa o frutto di nuove bolle in formazione.

Ma le salvifiche speranze nelle parole di Draghi e la realtà del disfacimento europeo che trapelano dai fatti, pongono un problema politico immediato alla Grecia a Tsipras. Se il leader di Syriza, dovesse effettivamente risultare vincitore nelle elezioni di domenica prossima, nonostante le pressioni e i ricatti nei quali anche questo Qe ad orologeria si inserisce, si pone il problema della sopravvivenza della sinistra come istanza alternativa al pensiero unico. Tsipras ha tre strade davanti a sé: quella di arrendersi con qualche contorcimento ai diktat di Berlino e Bruxelles, quella di traccheggiare senza risolvere nulla dentro le premesse liberiste, oppure quella di riconoscere l’impraticabilità fattuale dell’ “Altra Europa”, senza una sua ricostruzione dalle fondamenta, traendone di volta in volta le conseguenze. Che alla fine saranno obbligate perché è evidente che la classe dirigente centro europea – come dimostra anche questo Qe alla tedesca – non ha alcuna intenzione di mantenere in piedi il meccanismo monetario una volta che questo non sia più conveniente o addirittura costringa a supportare i debiti altrui.

E’ chiaro che le prime due ipotesi porterebbero la sinistra europea a perdere la faccia e a lasciare completamente alle destre il compito dell’opposizione. La terza invece ridarebbe vigore a posizioni critiche che sembrano essere estinte o inefficaci sotto ogni punto di vista in Paesi chiave dell’unione come Francia e Italia e avrebbero effetto anche negli stessi Paesi forti. Sarebbe un nuovo inizio per una storia finita dentro il vicolo cieco delle nostalgie e delle piccole élite impegnate in una personale sopravvivenza. Ecco perché a mio giudizio l’universo della sinistra dovrebbe stare con Tsipras, nonostante i suoi entrismi sospetti verso le logiche dell’internazionale capitalista: un appoggio che venga dalle forze critiche dell’intero continente lo aiuterebbe a resistere agli assalti che certamente ci saranno e soprattutto lo difenderebbero da se stesso.