jobs_ActL’anno si sta chiudendo con la notizia, di certo non sorprendente, che il job act rappresenta davvero la fine della civiltà del lavoro come la si è intesa fino ad oggi.  Lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”,  approvato ieri, approfittando della distrazione delle feste, ha del tutto scoperchiato le vere intenzioni delle nuove norme e mostrato il loro intento reazionario. Si è finalmente toccato con mano che le “tutele crescenti sono una presa in giro e che gli indennizzi per il licenziamenti ingiustificati, per i quali il reintegro non esiste più, andranno da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità: somme così modeste da rendere facile qualsiasi arbitrio.

Come se questo non bastasse si è anche fatto in modo di estendere queste regole dai licenziamenti individuali a quelli collettivi facendo intendere a pieno la portata della “rivoluzione copernicana” di cui ciancia il premier e di cui presumibilmente non conosce il significato. E  non basta, perché, senza entrare nel tecnicismo, lo “schema” prevede un subdolo meccanismo grazie al quale le nuove regole non si applicano solo agli assunti dal primo gennaio, ma può essere steso anche a tutti quelli assunti prima della fatidica data.

Così il vero significato del job act comincia ad emergere senza equivoci tanto che la stessa Camusso, quella che ha fatto lo sciopero dopo l’approvazione dello stesso e non prima dice: “Altro che rivoluzione copernicana a leggere le norme viene da chiedersi cosa abbiano mai fatto i lavoratori a Matteo Renzi”.

Già cosa avranno mai fatto al padroncino, a parte vincere in Cassazione una vertenza di lavoro per diritti che il Renzi imprenditore cercava di negargli? E che male hanno fatto ai media che solo dopo l’approvazione del job act hanno scoperto che le pretestuose premesse sulle quali era stato costruito non erano che frutto di una ventennale disinformazione di radice confindustriale? L’idea secondo la quale i problemi produttivi dell’Italia erano dovuti al costo del lavoro è sempre stata un trompe l’oeil, una bugia che solo dopo aver distrutto i diritti conquistati, è stata lietamente smascherata rivelando che il costo del lavoro in Italia è sotto la media europea.

Il vero problema è invece la perdita di terreno sul terreno della competitività, cosa peraltro assai nota, che deriva da scarsa innovazione e da scarsi investimenti che tutti i nostri capitani coraggiosi hanno spostato dalla produzione alla speculazione finanziaria. Ma anche questo elemento è stato tema di una presa per i fondelli, facendo intendere che a frenare la competitività fossero i diritti dei lavoratori e non la pochezza del mondo imprenditoriale.

Così l’anno, che si era aperto con il prezzolato illusionismo in una ripresa, si chiude nei toni grotteschi che ben si addicono al governo a ai suoi sicofanti.