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L’Ocse smentisce il job act, ma il massacro di democrazia continua

Il semestre di presidenza italiana in Europa si è concluso con un nulla di fatto, anzi con un’ulteriore erosione del peso e degli interessi del Paese. Era facile profetizzarlo vista la consistenza della governance in Italia e il letale cortocircuito tra politica, affari e informazione  che in questo ultimo scorcio dell’anno dà un triste, deprimente e dunque perfetto spettacolo di sé. Ma il fatto è che la banda di governo e i suoi sicofanti non hanno ottenuto nulla perché non volevano ottenere nulla, non solo perché impari al compito.

Dal vegliardo vibrante, ma non si sa quanto vivo, al giovane scout rottamatore del pensiero articolato, la parola d’ordine è stata quella di massacrare il lavoro e introdurre le condizione per un ulteriore calo dei salari e dunque un aumento delle disuguaglianze reali. Il job act è stato un inno alla cecità e a tesi ormai ammuffite, a convenienze direttamente scritte da Confindustria, che poco o niente hanno a che vedere con la logica economica, persino quella liberista, ma molto con le finalità politiche che la troika si è data in quanto braccio secolare della lotta di classe alla rovescia.

Pare strano che Juncker, nei rari momenti di lucidità lasciati dai vini della Mosella, parli di spiacevoli conseguenze se non si fanno a tamburo battente le famigerate riforme contro il welfare e le pensioni e le stesse cose faccia intendere Draghi nonostante la marinatura in vaselina dei suoi discorsi. Strano perché l’Ocse, che non è precisamente un organo della terza internazionale, ha pubblicato pochi giorni fa uno studio secondo il quale in vent’anni la crescita delle disuguaglianze sociali ha causato una perdita di aumento del pil dell’8,5 per cento. Dunque rilanciare la crescita significa ridurre la forbice sociale, cambiando radicalmente strada rispetto a quelle riforme che elimina tutele e welfare in nome di una competitività che assume grotteschi tratti ottocenteschi e da padroni delle ferriere. Che ripercorre la risibile favola dell’offerta che guida  la domanda e spinge a salvaguardare i solo i profitti in una spirale senza fine.

Strano perché la troika, nonostante questo (peraltro patrimonio di buona parte della letteratura economica più recente, esperti dell’Fmi compresi), continua sulla medesima strada come se nulla fosse, dimostrando ancora una volta che il disegno perseguito è essenzialmente politico, volto all’affossamento della democrazia reale. Del resto l’economia finanziaria non sa che farsene della crescita, anzi la teme ( vedi qui ) e le interessa soltanto la possibilità di smantellare le capacità di reazione sociale e la sostituzione della legittimità popolare con quella aziendal -bancaria. Il Trattato transatlantico non è un capitolo di questa visione che Rodotà ha sintetizzato come “cessione di sovranità all’impresa”. Non dubito che la pochezza del ceto politico, non causa del disastro democratico, ma effetto dell’egemonia culturale esercitata dal pensiero unico, renda difficile la consapevolezza intellettuale di ciò che si sta facendo e impossibile quella morale, producendo un effetto zombi che è comico e tragico insieme. Le dimissioni del vegliardo del colle aggrappato a Renzi che è aggrappato al patto del Nazareno che è aggrappato al conflitto di interessi, disegnano una piramide politica che ha l’odore penetrante della decomposizione. Il paradosso è che questi necrofori nazionali ed europei sperano di seguire i funerali dell’Italia come di altri Paesi per continuare a far parte di una diffusa razza padrona di “illuminati”.  Sarebbe ora di cominciare a far loro le condoglianze e togliergli ogni dubbio sui vivi e sui morti.

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