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Italia Magliana

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pagato il prezzo doveroso in sorpresa, in riprovazione, dismessa ogni istanza etica, tutti adesso imboccano festosamente la scorciatoia del moralismo in sostituzione della morale, della deontologia della responsabilità. Che poi è quella  che autorizza le grandi pulizie solo “dove passa il prete”, quella che permette il biasimo ad intermittenza, quella che consente di impiegare bilance truccate: due pesi e due misure,  di dispensare condanna secondo gerarchie, empatie e coinvolgimenti.

Di questi tempi anche lo schifo può essere distribuito in modo disuguale, come i tagli della spending review e non si deve sprecare indirizzandolo su battaglie di retroguardia: aziende di famiglia, amicizie inopportune, iscritti alla sezione delle Cayman,   riforme ammazza lavoro e soffoca diritti, balzelli iniqui a fronte di umilianti elemosine, raccolte fondi discutibili, sacco del territorio, svendita di beni comuni. Eh si, come ricordava oggi un ex delfino smemorato e sfrontato, non si fanno sconti ai criminali e i ladri devono andare in galera e restarci. Salvo qualcuno, però, con cui si tratta di una possibile assoluzione, alla cui redenzione si dà credito,  che siede al tavolo del governo come un convitato di pietra che detta condizioni e impartisce i suoi desiderata, che, ma questo ormai è diventato sistema di governo, usa esplicitamente il ricatto come  arma negoziale.

C’è poco da stupirsi, non è stato, quello passato, un ventennio breve: cominciato prima con la Milano da bere, il craxismo, il personalismo il leaderismo, la legittimazione della destra, oggi si stempera in una aberrazione che, senza il puttanaio, almeno quello di tradizione e più antico del mondo, ne attua i propositi peggiorandoli, come impone un padronato, finanziario e politico, nazionale e estero, intenzionato a cancellare sovranità e democrazia.

Il monumento a questo golpe che si sta consumando, si innalza su un’Italia che è stata ad un tempo un regime parafascista, comunque razzista e promotore di iniquità e disuguaglianza, un reality show dove tutto a cominciare dalla politica, seguiva le regole dello spettacolo, consumi esemplarmente rappresentati a Ok il prezzo è giusto, amministrazione della giustizia riprodotta a Forum, difesa dei cittadini affidata al Gabibbo, il dialogo con l’opposizione ridotto al chiacchiericcio o alle urla dei talk show. Ma soprattutto un paese di cuccagna dove sembrava bastasse “adeguarsi”, “consentire”, uniformarsi perfino nell’estetica e nella moda, manifestar ambizioni e tracotanza per aspirare a guadagnare, spendere pretendere. E una simulazione democratica dove il potere vero era nelle mani di cricche e mafie, compresa quella vera e tradizionale.

Che poi è tutto quello che ci resta adesso che ci siamo lasciati privare di tutto, beni, speranza, diritti e diritto, lavoro, libertà, beni comuni, civiltà, facoltà di esprimere dissenso, critica, inclinazioni e perfino di sognare qualcosa d’altro da questo, considerata attitudine arcaica, disfattista per non dire nichilista.

Al ceto di governo, anche nelle sue declinazioni periferiche, come d’altra parte anche ai competitor che si sceglie per magnificare la sua grandezza, come osserva oggi il Simplicissimus, piace e si addice la Grande Bruttezza, la Roma bella e ladrona, puttana e ingrata, dove tutto convive: boiardi di Stato e manifestazioni di piazza, costruttori e senzatetto, divertimentificio e teatri chiusi, Colosseo e le sue imitazioni sotto vetro e nel luna park di Cinecittà. Piace e si addice la capitale corrotta, inquieta e inquietante, con  la sua turpe commistione tra fascisti, mafiosi, imprese, amministratori, con i suoi veleni pluralisti che scorrono sotto le paillettes, le felpe, le grisaglie, le camicie nere e i cappucci da Ku Klux Klan, con i grandi manovratori che guidano le ruspe contro i lager illegali per costruire i loro, pubblici, legittimi, anzi legali, proprio come quando danno addosso ai negri salvo investire in Tanzania.

Piace e si addice fingere che al centro del Paese marcisca un bubbone purulento, brulichi di vermi una città maledetta, che occorra disinfettare, non estirpare, non esageriamo, passare qualche unguento, isolare, magari solo per un po’, i portatori del batterio, in modo da riconquistare credibilità anche con qualche fiera paesana di salsicce, anche mostrandosi compiacenti con acquirenti e perdigiorno, finché i riflettori si spengono, finché la stanchezza e il disincanto avranno la meglio e allora i condannati verranno graziati, i reprobi riciclati.

Il presidente del Consiglio pensa forse che la ruota della fortuna ancora una volta abbia girato nel verso giusto. Gli piace e gli si addice ritornare al ruolo che lo ha portato al successo, quello di castiga vecchi, di nuovista grazie a una pretesa di innocenza  generazionale. Come se la Serenissima infetta, la capitale morale contaminata, le regioni depravate non stessero a  dimostrare  che la malattia è endemica e ormai diffusa ovunque, che la bufera di Mani Pulite ha reso ancora più letale il contagio, senza nemmeno cambiarne modalità e costumi, anzi dando la paradossale certezza della possibile impunità, del sicuro recupero, della certa presentabilità, da quando dalle regole violate di è passati alle regole corrotte, in modo da produrre indifferenziata indulgenza, generalizzata licenza e estesa autorizzazione prima a aggirarle poi a cambiarle in modo che si adattino alle esigenze avide, ai privilegi mai bastanti, agli appetiti mai sazi, diventando leggi e diritto in barba alla giustizia.

 

 

 

 

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