Anna Lombroso per il Simplicissimus

Per primi vennero a prendere gli zingari? Per una volta la realtà oltrepassa  la profezia e gli zingari invece di prenderli per primi, a volte preferiscono  sfruttarli. Rubacchiano ai loro danni, li usano a intermittenza, un giorno per farci i soldi, un giorno per impiegarli come capri espiatori, un giorno per farne oggetti di pelosa beneficenza, un giorno per issarli sul patibolo di una’opinione pubblica che avrebbe ritegno a fare del razzismo un’ostensione, ma che contro di loro invece la possono esprimere liberamente perché borseggiano, mandano i ragazzini a chiedere la carità e perché no? rapiscono bambini.  Che ormai le uniche voci della piazza che hanno diritto all’ascolto sono le urla xenofobe, gli echi della diffidenza e della superiorità concessa da una cittadinanza che si limita a questo, all’essere nati da quella che pareva la parte giusta, se c’è giustizia in questo, nell’accontentarsi della lotteria naturale, quando ti sono negati ormai tutti i diritti dell’appartenenza, alla libertà di inclinazione e critica, alla democrazia.

Nella Magna Roma, o, se volete,  Roma magna, Salvatore Buzzi, alla testa della Cooperativa 29 giugno, magnifica il brand della sua impresa: “tu c’hai un’idea de quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico de droga rende meno”. E non si vede poi molta differenza tra lui eil più grande gruppo di trafficanti di vite”, così sono stati definiti  gli 11 eritrei arrestati ieri durante una operazione “parallela” di contrasto alla moderna tratta degli schiavi. Lui, il Carminati, che dalla permanenza troppo breve in carcere trae spunto per mettere in piedi una organizzazione di settore, una cooperativa per il generoso reinserimento degli ex detenuti, sono uomini orchestra, manager eclettici capaci di  ottenere il massimo rendimento dall’inadeguatezza dello stato e delle istituzioni a fronteggiare  l’emergenza immigrati, l’emergenza rom, l’emergenza carceri.

Come altri vivono dell’impoverimento del Welfare, profittando dell’emergenza anziani, malati, organizzando agenzie che si avvalgono di altri immigrati, un po’ più fortunati, altrettanto sfruttati tramite precarietà, salari da fame, ricatti reiterati, per fornire un’assistenza occasionale e improvvisata, pagata carissima dai contribuenti e che arricchisce una cupola di altri amici degli amici, nelle regioni, nei comuni. Come altri  vivono dell’emergenza creata artatamente per avviare grandi opere, necessarie per restituirci credibilità internazionale con una fiera paesana di salsicce e zucchero filato, indispensabili per salvare una città attraversata da mostruosi colossi del mare, condannata a vivere dei forzati delle crociere, inderogabili per costruire autostrade dove non passa nessuno, in verità vitali per garantire sopravvivenza dorata a altri corsari, a altri predoni, quelli delle cordate del cemento, degli appalti truccati, dell’industria della corruzione.

C’è poco da stupirsi del contagio di germi, modi, procedure con il quale la criminalità organizzata avrebbe contaminato la politica, la pubblica amministrazione, i soggetti di vigilanza a Roma, a Milano, a Venezia, come nelle regioni santuario delle mafie. Anzi c’è da sospettare che interessi comuni abbiano determinato sintesi, commistioni, interazioni, scambi profittevoli di servigi e consuetudini, di affari e di costumi, compresa una certa indole alla violenza non sempre di lupare e coltelli, anche se nel passato anche recente di alcuni protagonisti della cronaca compaiono, comunque di sopraffazione, ricatto, intimidazione.

E c’è poco da stupirsi se è sempre più difficile  contrapporre le virtù di una sana società civile ai vizi di una corrotta partitocrazia, se da anni è stato creato un contesto “legale” favorevole all’illegalità, tramite leggi speciali, leggi ad personam, leggi eccezionali, leggi di emergenza, leggi di remissione, indulto, amnistia, condono, tanto che in tempo utile, a qualche ora dalla grande retata romana, ma è sicuramente una coincidenza,  un Consiglio dei ministri convocato in notturna, ha dato il via libera al decreto legislativo che disciplina la non punibilità delle condotte di lieve entità. Tanto che si sono eletti sindaci, presidenti, amministratori fantoccio incaricati di quel ”non fare”, che nutre  profittevole degrado, dietro al quale si muove corruzione e repressione, in virtù del quale diventa fisiologico il clientelismo, il malaffare, il familismo propizio all’arricchimento ulteriore dei ceti “alti”, ma infine utile espediente di sopravvivenza per quelli che stanno più giù, laddove di giustifica ogni accorgimento che aggiri ostacoli capestro, accanimenti di potentati piccoli o grandi,  per una specie di dislocazione selvaggia, particolaristica, furbastra e conflittuale dei poteri e delle decisioni, in una sorta di filosofia dell'”ognuno per sé e Dio per tutti” in cui tutto c’è tranne che moralità collettiva, coscienza civile, senso delle istituzioni, rispetto delle regole del gioco statuale.   Si, proprio come succedeva con le mafie tradizionali, con gli organismi anti-stato, con la massoneria, cui chi non aveva niente si rivolgeva offrendo l’unica ricchezza, se stesso, la propria vita, l’ubbidienza pronta a tutto.

Anche in questo caso una cupola planetaria ma declinata a tutti i livelli nazionali e territoriali,  fatta di grandi patrimoni, di alti dirigenti del sistema finanziario, di politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, di tycoon dell’informazione, di imprenditori interessati solo alla produzione di cedole, di multinazionali anche quelle dedite al gioco d’azzardo immateriale della turbo finanza, si mischia con la cupola del crimine, stringe patti e si associa in nome dell’unica divinità idolatrata, il profitto. Insieme agiscono nel sistema degli appalti, in quello della speculazione edilizia, nella sanità, nell’assistenza, nel lavoro precario, ovunque individui e i loro corpi diventano merci o prodotti, nel riciclaggio, nel gioco d’azzardo, ma anche negli affari condotti dai gran commis degli ultimi gioielli di famiglia, nell’import export e non solo quello verso stati di Bananas, ma anche quello che delocalizza imprese, fabbriche, know-how, insieme alla vita di chi ci lavorava,  quello che svende le proprietà pubbliche e i beni comuni, espropriando i cittadini come fanno i grassatori da strada.

È facile indicare i responsabili “culturali” di tutto questo, quelli che hanno fatto sì che la cor­ru­zione sia tol­le­rata e per­sino ben vista, anche da chi ha sol­tanto da per­dere non potendo pra­ti­carla in prima per­sona né trarne bene­fici. Se per un verso (in pub­blico) si storce il naso, per l’altro (in pri­vato) si è pronti ad ammi­rare e magari, potendo, a emu­lare chi la fa franca e su que­sta ambi­gua virtù costrui­sce for­tune. È facile  individuare chi ha alimentato questa attitudine all’accaparramento di beni e potere, che costituisce l’ossessione quotidiana dell’individuo contemporaneo,  chi ha popolato l’immaginario collettivo, lo ha soggiogato  sui valori dominanti, l’ha drogato con le incitazioni a crescere, a correre, a produrre di più, a lavorare più a lungo, a consumare oltre, a essere flessibili, efficienti, più belli, più giovani, ad “entrare nel futuro” grazie alla rinuncia a indipendenza, autonomia, diritti, sovranità di popolo. È facile comprendere chi ha reso le leggi incompatibili con la giustizia, grazie ai chierici che elaborano le regole   su incarico delle multinazionali, gli invisibili legislatori che sequestrano lo strumento giuridico per metterlo al servizio del padronato, del mercato, dell’affarismo.

Ma è facile anche capire che chi si arrende al destino di vittima è colpevole della sua capitolazione, espressa con l’indifferenza, la complicità silenziosa, il voto “utile”, la rinuncia alla critica, la stanchezza di vivere liberi.