Stefano Bonaccini parla di lavoro
Stefano Bonaccini parla di lavoro

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Viene da dire: poveri elettori. Poveri elettori del Veneto costretti a scegliere tra Zaia – quello innamorato della torre di Cardin, fino a voler contribuire per la costruzione della piramide del faraone stilista,  quello che si schiera baluardo delle benefiche Grandi Navi che portano ricchezza, quello che rivendica di essere patron di  una legge regionale che modifica le norme in materia di governo del territorio  facendo della regione un laboratorio della cementificazione, quello che   si è dichiarato favorevole al plebiscito digitale   che chiedeva ai Veneti di esprimersi in materia di secessione dallo Stato italiano, per assomigliare alla  Crimea –  e la squinzia Moretti che non ha fatto nemmeno quello, fortunatamente occupata tra cure di bellezza e il susseguirsi di funamboliche campagne elettorali.

E poveri elettori dell’Emilia Romagna, chiamati a rinnovare il vertice della regione la prossima domenica.

L’ineffabile Europa, compreso del suo compito di giornale fiancheggiatore del governo, di mosca cocchiera, in vena di servo encomio e senza un filo di ironia né tantomeno di pudore, ha pensato bene di fare un servizio in favore del candidato Pd, pubblicando pari pari il suo autoritratto, come compare nel sito di Bonaccini, e mettendolo a confronto con l’identikit  dei suoi contenenti.

Non è stata una buona idea. A meno che Europa non sia talmente persuasa della bontà delle ricette e delle convinzioni che animano l’omonima raffazzonata e frustrata unione monetaria di stati di serie A e di serie B, da ritenere che un paese sia finalmente più democratico e adulto quando gli elettori stanno a casa, vanno al mare, disertano l’inutile liturgia delle urne.

Se è così, dopo la Sicilia, si potrà battere il record di maturo e civile astensionismo. Vale la pena di citare il virgolettato del favorito, del quale Europa, deliziata, sottolinea l’originale e benaugurale referenza di essere nato il primo dell’anno: “Mi chiamo Stefano Bonaccini e sono nato nel 1967 a Modena. Sono sposato con Sandra e papà di Maria Vittoria e Virginia. Sono stato eletto segretario del Pd dell’Emilia-Romagna con le elezioni primarie del 25 ottobre 2009. Appassionato di cinema e letteratura, nel tempo libero gioco in una squadra di calcio a cinque. Alla politica mi sono avvicinato alla fine degli anni ‘80, attraverso i movimenti per la pace. Nel 1990 sono stato nominato assessore alle Politiche giovanili, alla cultura, allo sport e al tempo libero nel comune di Campogalliano”. E aggiunge: «Ho imparato da subito che in politica il talento individuale frutta solo se è messo al servizio di un progetto comune», che si è realizzato nell’attività di coordinamento della campagna nazionale per le primarie di Matteo Renzi.

Stop. Finito. Oltre a un’indagine per peculato avviata e poi chiusa dalla  Procura di Bologna, mentre  “residuano margini di dubbio non completamente dissolti nell’ambito delle indagini sui rimborsi delle spese di consigliere regionale”, non sappiamo di più sulla vita e le opere del cocco locale di Renzi, che il premier ha gratificato di visita pastorale per fugare ogni dubbio, se non sulla trasparenza nell’azione pubblica,  che si sa essere un optional come per De Scalzi all’Eni, come per i 5 indagati nella compagine governativa, come per  la depenalizzazione del reato di  evasione, almeno sull’appoggio incondizionato del partito del presidente e della nazione.

La lettura della sintetica biografia se non ci informa sul cursus studiorum del candidato, appura senza ombra di dubbi che il Bonaccini non ha mai lavorato, non ha maturato professionalità, esperienza, competenza in nessuno straccio di posto, non conosce la fatica, il ricatto e l’incertezza che invece conosce la totalità dei lavoratori italiani, salvo gli unici garantiti, gli unici col posto fisso, quelli che vengono nominati senza doversi nemmeno sottoporre al vaglio dei cittadini, grazie a sistemi e meccanismi di automatica incoronazione.

E non è che vada meglio con i suoi competitor:  Alan Fabbri, ingegnere, bassista rock, 35 anni, due volte sindaco del suo paese, Bondeno, nel ferrarese. Codino e look da centri sociali, ma cresciuto col mito del Carroccio dall’età di 14 anni, che dice: «L’Emilia sarà capofila del progetto di riapertura delle case chiuse». E sui barconi? «Dopo lo sbarco li rispedirei da dove sono partiti». O Giulia Gibertoni, del M5S, semiologa, 38 anni, modenese, nota finora soltanto per essere stata dapprima eletta alle Europee, poi estromessa per due voti in seguito al ricorso di un collega del movimento, al quale seguì  uno scambio di veleni e di accuse  di aver tradito lo spirito dell’uno vale uno, perfide dichiarazioni in rete e teatrali pacificazioni. O Alessandro Rondoni,  candidato della lista “Emilia-Romagna popolare”, che riunisce Nuovo centrodestra e UdC, un Lupis su scala locale,  classe 1960, cattolico vicino a Comunione e Liberazione, per vent’anni direttore del settimanale “Il Momento” della diocesi di Forlì-Bertinoro, in  politica a tempo pieno dal 2009 ed ora consigliere comunale a Forlì.  Tutti ricorderanno la famosa battuta: mia madre non sa che faccio il giornalista, le dico che sono pianista in un casino, o anche quella: fare il giornalista è sempre meglio che lavorare. Invece il Rondoni si prende sul serio e rivendica la sua “militanza” professionale al Momento e nella  casa editrice Cseo, del Centro studi per l’Europa orientale di don Francesco Ricci (ciellino delle origini) dove tra l’altro  «ha collaborato alla pubblicazione di testi clandestini dell’Europa dell’Est»,  nientepopodimeno. Più che altro lui e gli altri contendenti sembrano essere stati clandestini nella società, nel lavoro, in mezzo a noi. O marziani, come ha sempre rivendicato il sindaco Marino. Comunque lontani, estranei, alieni, separati. Talmente diversi da non poterci e volerci rappresentare e da aspirare solo ad essere  incoronati per mantenere l’incarico di vassallo e i benefici che ne derivano, con le pingui o miserabili prerogative tra leccalecca, fuoristrada e vibratori, fino a una poltrona senatoriale la domenica, il loro giorno preferito.