Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte prende un scontento rabbioso, un’amarezza inconsolabile che deriva dal senso di onnipotenza astratta di chi ha coscienza di quello che lo circonda ed è ancora in grado di denunciarlo e al tempo stesso dalla consapevolezza di concreta impotenza  di intervenire sui meccanismi impersonali della globalizzazione economica, dell’impoverimento tramite le disuguaglianze e della precarietà sociale di massa, della distruzione del pianeta, sui processi narcotici di massa prodotti dall’integrazione nel circo mediatico della spettacolarizzazione, delle pulsioni al consumo,  della  distruzione dell’istruzione.

Non  era questo il progresso che si immaginava avrebbe favorito il riscatto dallo sfruttamento. Non era questo il riformismo che avrebbe potuto temperare il capitalismo, grazie a una distribuzione, se non equa, almeno generosa, di benessere. Non era questa la crescita che doveva avere  l’effetto di ambientare lo sviluppo, dirigendo innovazione e scienza per fermare lo spreco di risorse, per introdurre limiti  in modo da impedire la dissipazione e il delirio di avidità di pochi ai danni di molti.

Non sembri che alla devastazione del Paese, segnato da ferite mortali, piegato ad ogni pioggia dalla vergogna di seppellire sotto l’acqua  vittime, paesaggio, beni artistici, siano state date solo i generici e impudenti proclami di sindaci e ministri: basta con la distruzione del territorio, basta con il degrado, in una spudorata pretesa di innocenza. La risposta del ceto dirigente, governo, Parlamento c’è stata, esplicita, sfrontata e pazza. La risposta è quella di scelte scellerate: Expo, Mose, Tav, ponti, autostrade, preferiti al governo del territorio, anteposti al riassetto idrogeologico.

La risposta è nello Sblocca Italia, nell’ideologia che lo ispira, quella che stabilisce il primato proprietario sui beni comuni, che introduce licenze, condoni, indulgenze per speculatori, signori del cemento, mentre chi non si presta alle loro istanze di profitto, può anzi deve essere punito per l’insubordinazione, fino all’esproprio. Quella che conferma una gerarchia che colloca in cima alle priorità le piramidi del consumo di suolo, i ponti sui canali dell’inutilità, le alte velocità dentro al tunnel in fondo al quale non si vede la luce. Mentre non ci sono risorse, non ci sono quattrini, non c’è gusto a rimettere in sesto il territorio, a pulire l’alveo dei fiumi, a ripulire i canali, a fare prevenzione e manutenzione. E non c’è guadagno, o troppo poco, per le cordate del cemento, abituate a lucrare sulle emergenze, in modo che tutto sia legittimo: leggi speciali, commissari straordinari, incarichi fuori dal sistema degli appalti, opacità, accordi sottobanco, mazzette, corruzione, patti criminali.

Si a volte prende uno scoramento avvelenato. Perché come per la crisi, anche quella spacciata per anni come accadimento inatteso e imprevedibile, come contro il degrado delle periferie,nelle quali si è alimentata la rabbia, la paura, la diffidenza, in modo che sfocino in guerre tra poveri, anche per la salvaguardia dell’ambiente, la tutela del territorio, è evidente quello che si sarebbe dovuto fare, quello che si deve fare, quello che si dovrà fare. Pulire il letto dei fiumi  dal materiale di erosione delle valli, dalle scorie delle attività agricole e forestali, dagli scarti, dai veleni, dai rifiuti delle attività produttive e urbane che hanno invaso   lo spazio in cui le acque transitano impetuosamente. E poi avviare le opere di rimboschimento, di sistemazione dei versanti, insieme al rispetto dei divieti di edificate nelle zone adiacenti alle sponde, che ormai ogni alluvione, ogni inondazione porta il nome di un fiume o di un torrente e di un quartiere urbano o di un paese.

Ma anche in questo caso la risposta c’è stata, eccome. Con il tacito assenso dei ministri delle risorse agricole e dei beni culturali e ambientali, come dell’ambiente parallelamente allo Sblocca Italia viaggia con scriteriata protervia una riforma urbanistica, così che coincidano i propositi di smantellare il sistema di vigilanza e sorveglianza, in modo da favorire e legalizzare l’abusivismo, l’espropriazione delle competenze e funzioni degli enti locali, quindi della possibilità dei cittadini di interloquire e partecipare ai processi decisionali, l’ occupazione dei suoli per ragioni di speculazione e profitto, per persuaderci che l’uscita dalla recessione consiste nella “ricostruzione”, nel cemento, nell’edilizia. Il tutto in sintonia con leggi e Piani casa  regionali che, in concorde ecumenismo bi partisan, in Toscana, in Veneto, in Lombardia e in Lazio, attuano una metamorfosi aberrante dell’interesse generale, del tutto sostituito con l’interesse particolare e proprietario, perfino in aree già martoriate,  grazie alle delimitazioni disinvolte delle aree di urbanizzazione “consolidata”,  alle previsioni  di nuovi volumi edificabili aggiuntivi,   all’ipotesi sempre rinnovata di nuove cubature che corrodono in larga parte le destinazioni agricole,  occultano il consumo di suolo reale e espongono il territorio a nuovi rischi.

Eppure si sa cosa si dovrebbe fare e si sa chi lo dovrebbe realizzare. Peccato che a quel “chi” sono state tagliate le mani, strappata la volontà, cancellata la sovranità da un ceto politico subordinato e commissariato, aggrappato a menzogne perfino semantiche, se si pensa che si chiama Salva Stati quel Fondo che dovrebbe investire in infrastrutture, ricerca e istruzione, energia verde e una domanda pubblica per veicoli ecologici, materiali biodegradabili, risanamento ambientale, ristrutturazione del patrimonio edilizio, efficienza, mentre si adopera per congelare le risorse in capriole finanziarie a basso rischio. Se si pensa che viene chiamata riforma del lavoro un insieme di misure volte a umiliarlo, a convertirlo in una disordinata e iniqua mobilità preliminare alla schiavitù globale, quando servirebbe per promuovere occupazione qualificata un colossale piano di “lavori pubblici” come ai tempi del New Deal di Roosevelt, nel quale lo Stato dovrebbe assumere il ruolo di general contractor per opere di interesse generale, quelle di manutenzione, tutela, riassetto e risanamento.

Ma da quelli che hanno trasformato lo Stato in una mucca da mungere per azionariati avidi, imprenditori corrotti e corruttori, tutti sotto la bandiera del “prendi i soldi e scappa”, non abbiamo che stanche bugie, burbanzose discolpe, j’accuse rivolti al passato, proclami infami. E poco ci manca che Renzi da Brisbane gridi:  piove, governo ladro.