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D Day, per fortuna c’era Putin

sbarcoPer fortuna che alla fine Putin c’era. E che è stato il vero protagonista dei colloqui successivi alla cerimonia che ancora festeggia lo sbarco in Normandia del 1944: vincitori e vinti occidentali che celebrano insieme la sconfitta del nazismo mentre appoggiano i nazisti e i cioccolatai messi al potere in Ucraina sarebbe stato davvero eccessivo se non grottesco. Ma per fortuna che c’era Putin anche per una ragione storica: che lo sbarco alleato sarebbe stato inconcepibile se l’Unione Sovietica non avesse assorbito l’80% delle truppe e delle risorse belliche tedesche.

A questo proposito anzi si potrebbe dire che la sopravvivenza dei festeggiamenti è in qualche modo funzionale a una sorta di depistaggio storico ovvero focalizzare l’attenzione sul ruolo americano nella guerra, mettendo del tutto in ombra quello sovietico che fu tuttavia decisivo: sul fronte orientale i tedeschi avevano circa 5 milioni di uomini con il grosso dell’aviazione e delle truppe corazzate, mentre in Francia non potevano disporre che di 490 mila uomini di cui una considerevole percentuale faceva parte di formazioni reclutate nei Paesi occupati, quelle famigerate Waffen SS che sono in gran parte responsabili anche delle stragi in Italia.oppure di truppe di seconda linea.

Impossibile difendere efficacemente tutta la costa dal costa Nord della Francia con queste forze,  anche in presenza di qualche area fortificata (cinque delle quali caddero solo dopo la resa della Germania) tanto che Rommel il quale aveva ricevuto l’incarico di riorganizzare il gruppo di armate B in vista di uno sbarco che non si sapeva dove avrebbe potuto avere luogo e che comunque avrebbe goduto di una schiacciante superiorità aeronavale, immaginò una strategia mobile e forse vincente: la costituzione del Panzergruppe West destinato ad intervenire nelle prime fasi dello sbarco per respingere l’invasione. Fu Hitler ad impedirne l’uso anche quando divenne chiaro che le truppe di invasione avevano fallito gli obiettivi delle prime 48 ore ed erano estremamente vulnerabili.

Immaginiamo uno sbarco che avesse dovuto spezzare l’intera forza tedesca e non un decimo di essa. Non a caso Churchill era contrario allo sbarco massiccio: ne sarebbero bastati di minori, come quelli avvenuti in Italia, lasciando alla superiorità aerea e ai bombardamenti massicci il compito di disgregare l’industria tedesca e al fronte orientale quello di logorare le risorse umane. Il leader inglese aveva una visione assai differente da quella di Roosevelt il cui obiettivo era l’egemonia mondialista degli Usa e quindi in primis sull’Europa: voleva vincere la guerra facendo però in modo che la Germania riuscisse a contenere l’avanzata sovietica prima della resa, magari con l’intervento di un rivolgimento politico favorito dalla Wehrmacht, in maniera che il comunismo non intaccasse il suolo europeo. Ma dipendeva mani e piedi dagli Usa e pesava assai poco sulle strategie essenziali. Perciò curiosamente la decisione finale dello sbarco venne presa a Teheran nel novembre del ’43 in funzione di aiuto a Stalin quando nessuno immaginava un rapidissimo crollo del fronte orientale dovuto in gran parte alle incredibili improvvisazioni militari di Hitler, ma quando si verificò davvero aveva già cambiato completamente di segno configurandosi come un intervento diretto per contenere la sfera di influenza dell’Unione Sovietica.

Lo sbarco ha avuto anche una funzione ideologica successiva: quella di estromettere nell’immaginario collettivo dell’Occidente l’imbarazzante e decisivo apporto sovietico per mettere in primo piano quello americano: pian piano, articolo dopo articolo, libercolo dopo libercolo, film dopo film il D Day finisce per apparire come l’unica battaglia vincente e degna di nota contro il nazismo. Ed è anche grazie a questo che oggi gli Usa possono permettersi di dare patenti di democrazia ai nazisti di Kiev, eredi di quelli che combatterono a fianco degli eserciti hitleriani,  negare o appoggiare l’indipendenza dei popoli a seconda delle proprie convenienze e distribuire o negare patenti di democrazia.

 

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