62977_165316940145168_10855_nAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ogni volta che un aspirante despota si è affacciato sul nostro scenario, ha tentato di mettere mano oltre che alla democrazia e alla Carta sulla quale si fonda l’edificio di diritti, doveri e responsabilità, anche a simboli apparentemente minori sui quali lasciare la sua impronta personale. Lo stellone, per esempio, quel “logo” ingenuo, domestico, che ci ha accompagnato su documenti, certificati, attestati, come una presenza brutta, ma familiare come certi monumenti davanti ai quali siamo passati andando a scuola, poi al lavoro,senza interrogarci se sia aggraziato, elegante, artistico, come certe canzonette che ci ritroviamo a canticchiare perché ci accompagnano da sempre anche se non ci piacciono.

Ci aveva provato Craxi pensando magari di affidarne il restyling al suo arcitetto di corte, quel Panseca che edificava santuari e priamidi sia pure effimeri a celebra zio ne del capo e che istituì all’uopo una Commissione cui pervennero oltre 200 progetti giudicati inadatti all’apoteosi del regime “da bere”. E figuriamoci se non ha tentato anche Berlusconi di modernizzare l’emblema, renderlo più telegenico, sostituire i maledetti cinti di ulivo che gli avevano portato sfiga, con una più dinamica antenna Tv. Ma distratto da altre manomissioni più strategiche si limitò a inserire lo stemma in bollo ellittico, sancendo però, da premier legittimato dall’allora Presidente Ciampi, quello che sdoganò l’amor patrio con pennacchi e parate autorizzando al tempo stesso i primi interventi decisivi sulla costituzione, che il nuovo logo era quello della Presidenza del Consiglio, che tanto al Repubblica nata dall’antifascismo era un vecchio arcaico orpello, quel che restava di un’enclave dalla quale era d’uopo snidare gli ultimi comunisti.

E pensare che quando il Governo De Gasperi indisse una gara aperta a tutti i cittadini per l’ideazione di un progetto grafico a tema libero, con un unico vincolo, l’utilizzo della Stella d’Italia «ispirazione dal senso della terra e dei comuni» – i 5 finalisti avrebbero ricevuto u n premio di ben 10 mila lire – il logo vincitore non piacque: la cinta turrita fu definita una sgraziata tinozza, lo stellone sul mare ricordava le vituperate canzonette accompagnate dal mandolino. Così fu poi il primo presidente, quel De Nicola che correva per non perdere il tram andando al Quirinale, che approvò il simbolo più appropriato per una repubblica fondata sul lavoro quella stella a cinque punte simmetriche centrata su una ruota dentata simbolo del lavoro e del progresso, e circondata da un ramo di ulivo a testimoniare la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale e da una frasca di quercia a incarnare la forza e la dignità del popolo italiano.

Sarà inevitabile che prima o poi il Governo voglia liberarsi di queste moleste rimembranze: lavoro, progresso, pace, dignità. Bisognerà nominare una commissione, con finalità etiche – quelle contemporanee – ed estetiche, metterci qualche manager, di quelli che di progresso se ne intendono purché lontano da qui, qualche artista di corte e di Leopolda, qualche visionario, in fondo basta anche il Farinetti, qualche pubblicitario soprattutto. Perché il nuovo logo dovrà essere apposto, come un vero marchio doc, sui beni comuni in vendita, Alitalia, Rai, orchestre, monumenti, aziende di Stato, palazzi storici, democrazia. E mica vorrete tenere la ruota dentata, simbolo del lavoro, eh no sarà meglio sostituirla con certificati, azioni, icone delle start up, e al posto della vecchia conta turrita una bella smart city. E quella stella poi, così obsoleta quando invece è obbligatorio affidarsi a quelle della bandiera europea, alla loro astrologia che prevede l’inutilità del lavoro e delle sue garanzie, l’eccedenza superflua della dignità, la desiderabilità della rinuncia alla sovranità, l’infruttuosità dello Stato, la benefica demolizione delle democrazie, la revoca dell’irrecuperabile popolo cui preferire la mobile, manovrabile e pittoresca plebe.

Buon 2 giugno, Italia.