PolettiRenzi

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Stamattina il norcino prestato alla politica, magnificava la cartata di prosciutto irrancidito della cosiddetta riforma del lavoro renziana, finalmente legittimato dal successo trionfale del partito unico a difendere misure delle quali prudentemente poco si è parlato in campagna elettorale, quando le credenziali consistevano nell’elemosina degli 80 euro in previsione del taglio degli assegni familiari e nel visibilio per la soluzione della vertenza Electrolux, una tantum a scopo simbolico.

Con quello che l’intrattenitore ha definito uno “straordinario pragmatismo” il Poletti che, come faceva Di Pietro esalta l’accento vernacolare per trasmetterci la sua vicinanza al popolo bue, sempre macellaio è seppur sociale, ci ha convinti, avessimo avuto dei dubbi, che i formidabili strumenti messo in campo scaturiscono dalla necessità indilazionabile di dare segnali alle imprese, in modo che diventino legittimi, anzi legali, rapporti “informali”, contratti “disdicevoli”, ricatti innominabili, in modo, è questa ormai la teoria generale sull’occupazione e il lavoro, che si rimetta in moto l’economia.

Insomma finalmente svicolato dagli obblighi elettoralistici che imponevano la lotta al “populismo” ha potuto sciorinare liberamente l’indole “impopolare”, ripetere il mantra salvifico, la ricetta panacea, il culto della mobilità secondo i quali il lavoro flessibile produce occupazione, riconfermare che la concertazione e la negoziazione si svolgono solo tra due partner: governo e padronato, che compito dei decisori è prendere delle decisioni, consentire che le parti sociali e i cittadini interlocutori si esprimano, infine, una volta officiata la liturgia del dialogo, fare come si era pensato, in un felice superamento della democrazia formale, nella quale dopo aver annientato la sostanza si può procedere a cancellare anche il bon ton.

Eh si, lo ha detto anche l’imprenditore chiamato a fare da spalla, è ora di dire basta alla dicotomia garantiti e non garantiti, gli uni contro gli altri, è il momento della pace sociale, quella dove non c’è gara e non c’è guerra, tutti senza tutele, tutti alla pari, tutti uguali, salvo rappresentanti politici eletti o nominati e padroni. Gli elettori del Pd saranno contenti del festoso e istantaneo superamento delle inique disuguaglianze effettuato per decreto anzi per jobs act, della conversione cui siamo costretti da homo oeconomicus a uomo flessibile. Li avranno votati per assomigliare a loro, dinamici attori di una società nella quale sono cadute le barriere e gli ostacoli al libero dispiegarsi di ambizioni e iniziative, senza vincoli, senza tutele, senza regole. Una società sul modello della rete, informale, aerea e a-temporale, dove si può addirittura lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni grazie alle tecnologie, dove l’educazione permanente può subire la felice mutazione in apprendistato permanente, dove si potrà essere avventizi a cinquant’anni, e perché no? In cerca della prima occupazione a 55, tanto per la pensione c’è tempo, la vita si allunga, anche se ad accorciarla ci penserebbe volentieri la Lagarde.

Peccato che non tutti lavorino seduti davanti a un pc, organizzandosi orari e riposo a proprio piacimento, peccato che non tutti possano realizzare un prodotto mandarlo via mail a un datore di lavoro immateriale, magari pagandolo in certificati di fondi e derivati, peccato che tutti continuiamo a dover mangiare cibi molto materiali invece, soddisfare bisogni non solo corporei, vivere una vita “fisica”.

La religione della flessibilità non nasce per corrispondere alla conversione pratica della società fondata sulla produzione in questo modello virtuale, etereo, incorporeo. Risponde invece ai diktat della riorganizzazione globale del processo produttivo, attuata da parte delle imprese soprattutto multinazionali, allo scopo di ridurre i costi del lavoro e di disporre della quantità di manodopera di volta in volta necessaria, niente di più niente di meno e nel rispetto di criteri e vincoli formali ridotti al minimo. E poiché il sistema dei diritti dei lavoratori affermatosi nei paesi industrializzati rappresenta un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo di contare su eserciti di schiavi mobili, la “riorganizzazione” si concretizza andando a cercarli ovunque nel mondo dove garanzie, diritti, sicurezza, salari sono minori.

Ecco, adesso saranno contenti gli elettori del Pd, le imprese via via smetteranno de de localizzare, smetteranno di andare a cercare merce-lavoro altrove, il loro partito, il loro governo, i loro eletti hanno provveduto per legge all’edificazione del Terzo Mondo qui da noi e possono cominciare da subito a costruire le loro piramidi.