ATAC-R~1Anna Lombroso per il Simplicissimus

E non venitemi a dire che il sindaco Marino non mantiene le promesse: aveva detto che dopo Via dei Fori Imperiali le pedonalizzazione sarebbe stata estesa anche alle periferie, forse pe promuovere una spericolata sperimentazione, un confronto tra antico e moderno, vetusto e futurista, ammesso che si possa definire cos’ un disordinato, spesso squallido agglomerato di costruzioni connotato per lo più da un unico fattore comune, la speculazione, quando non l’abusivismo.

Ma gli va dato merito comunque di aver fatto seguire alle parole i fatti, così che presto i cittadini delle periferie di Roma, malgrado contesti meno artistici, potranno godere insieme agli abitanti di vai del Colosseo, e altre strade attigue alla zona archeologica il piacere di lunghe escursioni a piedi, il gusto del passeggio, anche la corsa a ostacoli tra buche e lavori in corso.

Certo l’ispirazione progettuale non è del tutto ortodosso, le modalità non del tutto razionali, ma in fondo nemmeno l’incipit della trasformazione della grande arteria di scorrimento in sito protetto, prima porzione della più grande area archeologica al centro di una metropoli del mondo lo è stata. Nel dare avvio al pilastro simbolico della sua avventura di sindaco Marino, in vena memorialistica, attribuì il merito di aver suscitato in lui la volontà di dare forma al sogno antico da Baccelli in poi, Cederna, Insolera e tanti altri, fu una ragazza americana che aveva “rimorchiato” e che gli chiese che cosa avessero in testa gli italiani per seppellire 64 mila metri quadri di rovine sugli 80 mila originari. Una strada realizzata per offrire un teatro adeguato alla megalomania e ai trionfi spettacolari del duce, diventata uno stradone che, criticava il sindaco, appaga l’attaccamento morboso dei romani per l’auto, nei cui confronti un forte intolleranza: “cosa dovrei pensare del fatto che a Roma ogni 1000 abitanti ci sono 980 auto, che a Roma si muovono ogni giorno si muovono 600mila persone, di cui il 60 per cento fa meno di 5 chilometri?”.

Magari dovrebbe pensare che i suoi amministrati siano car-addict perché non funziona il servizio di trasporto pubblico, quello di superficie e quello sotterraneo, in attesa di una estensione probabilmente inutile oltre che dannosa come tutte le Grandi Opere, terreno di saccheggio e speculazione, parimenti concimato da governi e amministrazioni locali.

Ma il marziano a Roma, come ha voluto definirsi, si dice sia affetto da una sorta di solipsismo che le rende impermeabili a suggerimenti, consigli, sollecitazione. E andrebbe anche bene se così si sottraesse alle potenti lobby di qua e di là dal Tevere, invece anche nel suo caso vige quella separatezza, quel distacco sprezzante dai comuni mortali che ormai è il contagio che affligge tutto il ceto dirigente.

Così se il test sulla pedonalizzazione dei Fori resta tale, per mancanza di quattrini, di un progetto, di quella che un tempo chiamavamo la volontà politica, pare funzionerà quella delle periferie, grazie alle misure previste dal decreto Salva Roma, visto che il Campidoglio ha inserito nel bilancio di previsione una diminuzione per 50 milioni di euro ai fondi per i trasporti di superficie, metropolitane e parcheggi di scambio. L’azienda dovrà dare il via da subito alla riorganizzazione del servizio, anche perché il taglio ha valore retroattivo e si riferisce all’intero anno solare. Il primo intervento “chirurgico” riguarda la soppressione di venti linee a partire da questo mese, per agire su frequenze e orari soprattutto nelle zone ultra periferiche.

Si vede che la nuova urbanistica prevede l’incremento sempre più iniquo di disuguaglianze, in modo che le città diventino un sistema con zone di privilegio sempre più ristrette, protette e fortificate e intorno un hinterland fatto di periferie sempre più marginali, sempre più isolate, sempre più incattivite, cui si aggrappano ammassi di bidonville, favelas, baraccopoli, prive di servizi elementari, come bubboni preoccupanti ai quali si rivolgeranno nuove forme di repressione, in una guerra perenne e quotidiana.

È uno dei prezzi che si pagano da quando l’austerità nei bilanci pubblici è diventata l’arma più micidiale della lotta di classe, quella condotta alla rovescia, ricchi contro poveri. Ancora una volta le lezioni della storia non servono a nulla. Keynes, ormai considerato un letterato visionario, da prender poco sul serio, che aveva partecipato alla conferenza di Versailles che aveva stabilito le misure “punitive” contro la Germania, sosteneva nel suo pamphlet che “castigare” e umiliare così un popolo significava minare le componenti essenziali della sua civiltà e rendere improbabile la costruzione di una democrazia, già compromessa sul nascere dalla perdita di dignità, identità, senso della cittadinanza. E infatti il decennio di Weimar e poi il nazismo nascono là. E insegnano che lo sbocco naturale, fisiologico di politiche di austerità è la salita alla ribalta di regimi autoritari di destra e la perdita di sovranità di Stati e popoli.

La storia si avvita su se stessa intorno al solito perno, quello dello sfruttamento, del primato del profitto, dell’incrudelirsi delle disuguaglianze. E la speranza di riprendersi il futuro attraverso il riscatto sta perdendo anche l’ultimo metrò.