purgatorio-by-dore-sept-3-2008Mi ha addolorato la scomparsa di Jacques Le Goff, uno dei pochi intellettuali francesi ad aver conservato il nitore dell’intelligenza d’oltralpe, così spesso annegata nella seconda metà del Novecento da orecchianti della cultura tedesca e funamboli della lingua intenti a decostruire Cartesio e ad inventare la categoria del post qualcosa, indizio che il germe del pensiero unico cominciava a far marcire la mela del futuro. Molti probabilmente conoscono i suoi intensi, immaginosi, ma rigorosi libri di storia del Medioevo che hanno cambiato radicalmente l’immagine che si aveva dei “secoli bui”:  Mercanti e banchieri nel Medioevo, Il meraviglioso e il quotidiano nell’occidente medievale, L’immaginario medievale per citarne solo tre titoli di uno dei maestri della Nouvelle Histoire.

E tuttavia la cosa che mi ha colpito di più è La nascita del Purgatorio, uscita nei primissimi anni 80, in cui lo storico medievalista racconta la raffinata operazione teologica con cui la chiesa cattolica inventò di sana pianta una nuova dimensione tra inferno e paradiso. Dimensione di patimento e di speranza che apriva una terza via alla nascente borghesia cittadina cui andava data una qualche via di scampo dal manicheismo della dannazione o della beatitudine: il mercante o il grande artigiano era spesso ricco, ma non nobile, colto ma non chierico, non necessariamente prevaricatore e immorale, ma seguace della “particolare” etica degli affari. Col Purgatorio le occasioni di salvezza di dilatano e qualunque peccato può essere sanato con una permanenza nel nuovo spazio ultraterreno, qualunque peccatore allontanato da un destino di perenne castigo. Invenzione geniale che dà oltrettutto alla Chiesa l’occasione di gestire in qualche modo l’aldilà attraverso preghiere, elemosine, messe di suffragio per abbreviare la permanenza del caro estinto tra le fiamme non eterne. E ben presto solo i santi andavano in paradiso e gli eretici all’inferno, mentre un’intera società si auto assolveva o pagava per le indulgenze di cui la Chiesa stessa era la curatrice: la novità teologica divenne quelle centrale in un aldilà non più completamente altro, ma anzi dosato e coordinato da terra. La velocità con cui l’idea di Purgatorio si affermò è testimoniato da Dante che ne fa uno dei gironi della sua Commedia, pochi decenni dopo la fortunata invenzione.

Ciò che mi ha colpito, non subito, ma negli anni,  è che per un caso o forse grazie allo spirito del tempo il saggio di Le Goff  uscì proprio quando si stava preparando il Purgatorio sociale da parte dei teologi di un capitalismo sempre più ringalluzzito dal declino del grande rivale sovietico. Sempre di più i chierici dell’intellighenzia  riducevano le speranze in una società migliore e le loro necessarie utopie a concetto limite, cominciando a recitare preghiere sul capezzale delle cosiddette ideologie, così come i reciproci inferni venivano privati delle fiamme più ustionanti e si affermava una dimensione di sofferenza generale necessaria a presunti e rari paradisi individuali. La solidarietà sociale viene derubricata da terra promessa a pregiudizio antieconomico e la sofferenza dentro i meccanismi del lavoro viene elevata a tribolazione obbligatoria e indispensabile. L’inferno non esiste più , diviene una condizione purgatoriale di base che va accettata in nome di un possibile futuro cammino a riveder le stelle, purché si alzino preci al pantheon capitalista del denaro e del profitto. Il purgatorio diventa nella narrazione della sinistra un riformismo ambiguo, privato della sua tensione verso il futuro, ma volto a limare e ad aggiustare nel territorio della nuova teologia liberista, mentre diventa revanscismo di classe in quella della destra non più conservatrice, poiché occorre distruggere l’abbozzo della società solidale che si era andata formando e dunque letteralmente reazionaria.

Mentre prima paradiso e inferno nelle ideologie in conflitto venivano interiorizzate dai soggetti produttivi, nel purgatorio di recente invenzione il soggetto diviene globale e coinvolge tutta la personalità nell’essere vincente o perdente, vale a dire illuso o disilluso. Un soggetto interamente definito dalle sue relazioni contrattuali e da speranze o colpe puramente individuali nel quale la condizione purgatoriale diviene quella normale.

E l’analogia funziona poiché la narrazione di questa condizione è completamente mitologica, un atto di fede con il suo credo nella crescita infinita- assieme a tutti i suoi correlati – che non è altro che una estensione del presente  Purtroppo però in questo caso il purgatorio esiste davvero.