Anna Lombroso per il Simplicissimus
Esiste un modo semplice, tacciato di essere primitivo, manicheo, fazioso, ma estremamente efficace, per capire se una scelta debba essere accettata. È sufficiente guardare da dove viene, chi la impone come, più che consigliabile, obbligatoria e quindi se sono credibili gli interessi che difende.
Si sa che lo charme inspiegabile del governo dei tecnici derivava largamente dell’ostentazione sfrontata con la quale rivendicava l’impopolarità delle sue riforme, come disposizioni scomode ma necessarie per la salvezza, e che per questo non ricevevano consenso. Mentre erano banalmente ed esplicitamente “impopolari” perché andavano contro l’interesse generale, contro il bene di molti a favore di pochi, quindi si muovevano contro il popolo.
Renzi ha esaltato questa cifra di governo, facendo delle intese larghissime strette da appartenenti a un unico partito padronale, il motore del suo frettoloso decisionismo, proprio perché del consenso a un altro nominato dall’alto i bisogni della gente e il loro parere interessa poco. Gli basta resistere là il tempo necessario per fare la scimmia sapiente, il fantoccio ubbidiente per confezionare quel golpe nemmeno tanto strisciante che, imponendo una svolta autoritaria di svuotamento delle rappresentanze, garantirà la sopravvivenza di un ceto di “imposti”, designati, investiti e decretati.
E basta professoroni, proclama, scavalcando definitivamente un Parlamento, screditato perfino da una sentenza della Corte Costituzionale, ma mai quanto un governo che sta promuovendo la fine del lavoro, la cancellazione dei suoi diritti, lo smantellamento delle garanzie e delle certezze, la morte per fame della suola pubblica, magari in edifici ristrutturati, la lacerazione della Carta, la beffa agli elettori tramite la fotocopia di una legge invereconda, cui aggiunge per decretazione il potere assoluto e dispotico di incidere sulle strutture portanti della nostra democrazia.
Abbiamo tutte le prove che bisogna dire no al del “ghe pensi mi” del suo diretto superiore, alla riforma del bullo di Palazzo Chigi che accusa di interesse privato il presidente del Senato, proprio quando ha in testa, a comando, uno organismo modellato sul format di un’azienda che sostituisce agli eletti i nominati, attribuisce superpoteri alle istituzioni che hanno mostrato la più scriteriata indole alla dissipazione scriteriata e alla inadeguatezza normativa oltre che di controllo, facendoci intendere che il risparmio di emolumenti e auto blu su E Bay ripaghi la dissoluzione di rappresentanza e partecipazione. Anche da un punto di vista per così dire “tecnico”, anche ammettendo che che il bicameralismo paritario debba essere superato, se l’obiettivo è quello di eliminare dal bilancio dello Stato la spesa costituita dall’indennità dei 315 senatori, sarebbe di gran lunga più ragionevole ridurre a 100 il numero dei senatori e a 500 il numero dei deputati, ma mantenere l’elezione diretta dei senatori. Dal punto di vista invece della legittimità, quale potrebbe essere quella di un’Assemblea delle autonomie, nominata e che non ha ricevuto il voto popolare, per partecipare col suo voto all’approvazione delle leggi di revisione costituzionale?
Abbiamo tutte le prove che il guappo di Firenze ha dei nemici contro i quali ha mosso una guerra teleguidata dal padrone delle Tv e da molto più in alto e più lontano, che le finalità sono le stesse: la campagna contro Palazzo Madama, spacciata per una crociata contro il Palazzo, contro la vecchia politica dei vecchi, contro i professoroni, che, si sa, lui preferisce i concorrenti dei quiz, è diretta contro la cittadinanza e la rappresentanza, se quelle mura diventeranno una fortezza a difesa di senatori non eletti bensì delegati dai Comuni e dalle Regioni, e con funzioni residuali, magari anche anziani, che sui prescelti dai grandi burattinai non si va tanto per il sottile sull’età e la funzionalità cerebrale, così come sull’onestà e l’integrità.
Abbiamo tutte le prove senza essere soloni o ingegneri costituzionali, che, come per l’Italicum, questo atto è la premessa per ben altro, già ampiamente anticipato: una sola Camera titolare del voto di fiducia al governo rafforza lo strapotere del Governo, riduce il sistema di controllo sugli atti legislativi favorendo lobby e interessi di parte, consolida l’egemonia del Presidente del Consiglio, che allora sì diventa davvero premier, mettendo le basi per l’elezione diretta.
Abbiamo tutte le prove per dare atto che il golpe “europeo”, quello che prevede che in nome della “necessità, dell’autoritarismo dirigista senza alternative, in nome dell’obbligatoria austerità sia vitale e imprescindibile la rinuncia alla democrazia, in Italia è riuscito, che una volta rimosso il clown in via giudiziaria bastava sostituirlo con il delfino cresciuto alla stessa scuola e nutrito della stessa ideologia, grazie alla volontaria eutanasia storica e al tradimento di un partito che ha cancellato come un fardello vergognoso, memoria e missione.
Eppure sarebbe bastato e basterebbe dire di no.
E’ un peccato che Franca Rame sia fuggita dal senato e, purtroppo, anche da questo mondo, prima di potersi godere un tripudio di indignazione così genuinamente gramelottiana come la Sua, signor Kinder. Io, tra faccendieri pitreisti e stiletti alla macchia in salsa Zagrebelsky di baby squillo, sento già il bisogno di un Alkaselzer fuer dimenticar, ma dev’essere una compulsione dell’età non più squillante, questa mia. La lascio alle Sue senz’altro più auliche ed eoliche compulsazioni.
Totalmente d’accordo con articolo e interventi successivi.
Se uno pensa che a comporre meticolosamente gli articoli della nostra Carta Costituzionale si prodigarono insigni cultori che studiavano Diritto e i diritti quali Umberto Terracini, con i contributi di Gustavo Ghidini, Tomaso Perassi, Piero Calamandrei, nobilatati dall’esperienza di Alessandro Galante Garrone, e la Costituente era composta da eminenti personalità quali Giuseppe Saragat, Facchinetti, la Penna Buscemi, V. E. Orlando etc. Personalità eminentissime use ad alzarsi la mattina presto e a consultare Codici e pandette, e coricarsi la sera compulsando saggi di diritto comparato, abbeverandosi alle sacre letture del verbo di un Kelsen, o alla norma rigida di un Carl Scmitt.
Adesso assistiamo ad un volgare ed arrogante faccendiere ‘pitreista’ ed ad una simil-maitresse maculata con plateau stilettato, che, senza uno straccio di mandato popolare, si permettono di stravolgere la nostra Grundsatze, la nostra Carta Fondamentale. Ma con quale diritto? Io, come milioni di altri concittadini onesti di questo Paese, reclamo il mio sacrosanto diritto di difendere la Costituzione della mia Repubblica dagli illegittimi, illegali e volgari attacchi dei tetragoni della Conservazione, con la squallida e vile compartecipazione di tutte le mafie e di tutte le consorterie che hanno devastato il convivere civile di questa nefasta Nazione!
Il bulletto della Fiesole ha sparato la seguente idiozia, con la sbobba che gli è solita: “Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà e Zagrebelsky…”. Insomma, è come aver promesso eterna fedeltà alla moglie, il giorno del matrimonio, e il giorno dopo va a baby squillo…
Non hanno nessuna presa scart tra la bocca e quell’unico neuroncino che costituisce la loro massa grigia!
L’aspetto più triste in tutto questo processo di disfacimento di credibilità, fiducia e senso della realtà, è che gli orsetti lavatori di cervello ben addestrati e avveduti, sono partiti proprio dal diroccamento del lavoro inteso sia come diritti a difesa della dignità personale e sociale che come fonte di sostentamento individuale e insieme di sostegno della società stessa nel suo tessuto fondamentale di composizione il più possibile equilibrata di interessi e bisogni parziali.
Sentivo ieri sera a PresaDiretta di Iacona su rai3 un papà sconsolato che si apprestava a salutare la sua figliola neodiplomata all’istitututo d’arte ma rassegnata a trasferirsi in Germania per fare l’aiuto cuoco a 1000 euro al mese, con in più vitto e alloggio garantiti. Questo papà, con la voce incrinata da un pianto a stento trattenuto, a un certo punto ha preso a inveire contro i governanti che si immergono in speciose questioni di riforme elettorali e istituzionali ma lasciano i propri elettori senza lavoro, persino senza ammortizzatori sociali e senza speranze per sé e per i propri figli. Ecco, adesso che la gente è alla fame e non ne può più, e non ha né tempo, né energie né soldi (e nemmeno la banda larga) per occuparsi delle grandi questioni delle regole che generano e custodiscono la democrazia, proprio ora i volponi di palazzo vibrano la stoccata finale su quei meccanismi istituzionali che potrebbero ancora garantire, se lasciati in piedi e rimessi realmente in funzione, l’avvento di altri e più efficaci promotori del bene pubblico. Tanto sanno bene che l’attenzione della maggior parte della popolazione è assorbita da ben altri problemi e loro, i manovratori, possono proseguire indisturbati a consolidare i loro privatissimi interessi, primo tra tutti quello di non dover più subire sgradite interferenze, in futuro.
Noi cittadini abbiamo tutte le prove, ma non la voce in capitolo.