Anna Lombroso per il Simplicissimus
E’ stata una consultazione virtuale, effettuata soprattutto attraverso la rete, oltre che con schede raccolte nei gazebo, e ‘pronunciamenti’ telefonici” il referendum on line per l’indipendenza del Veneto dall’Italia che ha raccolto 2 milioni 360mila 235 espressioni di voto, pari al 73% del corpo elettorale regionale. I sì sono stati 2 milioni 102mila 969, pari all’89%, i no 257.276 (10,9%). I numeri della consultazione sono stati comunicati in piazza dei Signori a Treviso dai promotori del referendum, il movimento venetista ‘Plebiscito.eu’, gli stessi che il 15 hanno organizzato una manifestazione a Venezia, vicino a palazzo Ducale per sostenere il referendum indetto in Crimea, appoggiati pubblicamente da Federico Caner, capogruppo della Lega nord in consiglio regionale, secondo il quale “l’iniziativa per staccarsi dall’Ucraina, è sacrosanta, anche il Veneto deve seguire la strada indipendentista”.
È curioso come le forme più impalpabili ma almeno apparentemente più innovative, tecnologiche e moderne facciano breccia in pubblici tendenzialmente arcaici, conservatori, tradizionalisti e misoneisti. Ma a oltre 2 milioni di veneti è piaciuto iscriversi sul sito di Plebiscito.eu , aspettare un codice, per poi esprimere elettronicamente o per telefono il si o il no alla dall’Italia matrigna e da Roma ladrona.
È che la democrazia elettronica si addice appunto a quelle sfere pubbliche che in maniera dimostrativa e protestataria si vogliono distinguere da quelle costruite attraverso i canali politici tradizionali, per contribuire simbolicamente a mutare persino la natura delle organizzazioni sociali, gli assetti istituzionali, le forme della coesione e della rappresentanza. E infatti piacciono anche alle forme organizzative “mobili” per non dire liquide, ai movimenti e ai leader perché consentono misurazioni istantanee dell’efficacia di un messaggio nei processi di selezione della rappresentanza o nella definizione dell’agenda politica e soprattutto nel gradimento di un “personaggio”, tanto che la “sospensione” tacita delle primarie per le europee nel Pd fanno sospettare una conversione in questa direzione, dopo l’adesione entusiastica allo streaming.
E non deve perciò stupire che un referendum su Internet, grande metafora di tutte le potenzialità nascenti, di quel power of us, di quel potere diffuso descritto da tanti studiosi e opinionisti, così dinamico, nuovo, futurista abbia incontrato l’approvazione di quell’elettorato che aveva votato e forse voterà Lega, quello del sindacalismo territoriale, della difesa della tradizione, della sacra ampolla con l’acqua viscida del Grande Fiume, del dio Wotan, degli elmi con le corna, del razzismo e della xenofobia come valori a custodia della memoria e della identità etnica, della violenta riprovazione per i costumi dissoluti della Capitale corrotta, della disubbidienza fiscale, della separazione auspicata per esaltare un’autonomia isolazionista, in tempi di globalizzazione, rappresentati come capisaldi morali, come contesto etico prima che politico a comportamenti, usi e scelte politiche e di governo.
Giova ricordare qualche record veneto, in attesa delle inevitabili rivelazioni sulle spese pazze della Regione, sui risultati di indagini già avviate che potrebbero gettare nuova luce sulle ineccepibili consuetudini del ceto dirigente locale: la coppia della provincia veneta, degna del guinness dei primati, che ha frodato il fisco per anni, omettendo redditi per circa 26 milioni di euro e corrispondenti imposte per oltre 11 milioni, calcolati in via presuntiva sugli investimenti di somme detenute all’estero che variavano tra i 140 e i 200 milioni. O il secondo posto guadagnato nella gara di evasione dal Veneto, secondo in Italia solo alla proba Lombardia, secondo l’indagine effettuata da Krls Network of Business Ethics, grazie all’impegno profuso da industriali (32,7%) seguiti da bancari e assicurativi (32,2%), commercianti (10,8%), artigiani (9,4%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%), in cinque aree di evasione fiscale: l’economia sommersa, l’economia criminale, l’evasione delle societa’ di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.
Laddove le mogli e i figli che negli anni ’70 fecero ricco il territorio pedalando di notte sulle macchine da maglieria, incollando tomaie e cucendo guanti, coi mariti e padri padroni in fabbrica e tutti insieme anche a badare l’ultimo campicello e coltivare radicchio doc, sono stati sostituiti dagli immigrati, sottopagati, osteggiati, respinti, resi invisibili a dormire e lavorare nello stesso capannone, ma indispensabili e insostituibili. Senza dire di altri record: abbandono scolastico magari degli stessi padroncini cui il papà fino a pochi anni fa regalava il Ferrarino per i 18 anni. Per non parlare del sommerso, della fascinazione di fondi e derivati cui non si sono sottratti gli enti locali, della sottrazione delle imprese agli obblighi in materia di sicurezza e tutela ambientale, della disgregazione accelerata del modello dei distretti, favorita dalla smania di profitti immediati e facili che ha disperso know-how, creatività, innovazione, anche mediante arrischiate operazioni di delocalizzazioni di tipo colonialistico.
Il pingue e opulento Nord Est ha scoperto la crisi e ne coglie solo le opportunità perverse: un padronato che prende i soldi e scappa, sindacati doverosamente gregari, il nutrimento di forze politiche come anche della chiesa di risentimenti, diffidenza e rifiuto del “diverso”, offrendo come soluzione alla paura l’ostilità, l’isolamento, il disprezzo per i diritti, quelli degli altri e di chi sta sotto, che conduce alla rinuncia ai propri per l’illusoria conservazione di piccoli privilegi, l’abdicazione della democrazia, tramite la rottura dei patti della coesione sociale, quelli di cittadinanza, quelli che garantiscono la conservazione della sovranità di popolo.
È che chi ha tanto avuto, con sacrificio o per eredità, meritato o immeritato, sente di più la perdita, come un accanimento ai suoi danni, come una resa incondizionata, come una sconfitta. Era quella la geografia della fertilità, dell’intraprendenza premiata dal benessere e dai suoi simboli, il ritratto rassicurante dell’opulenza, disegnato dall’illusionista al potere. Ma intanto si allargava la forbice tra ricchezza raccontata e fragilità esperita, e in mezzo sono maturati frustrazioni e veleni, rancori e resa morale, intolleranza per le debolezze e indulgenza per i vizi dei potenti, il fastidio per gli inferiori e l’emulazione anche delle perversioni dei signori.
La defezione, l’isolamento, il sogno di annettersi a un contesto “pingue come il Belgio”, separandosi da un Sud straccione è l’ultima ciambella dei naufraghi, l’ultimo espediente del si salvi chi può, l’ultima illusione della disperazione, che rimuove passato e futuro da emigranti, non vuol sapere di un’Austria Felix che salva le banche, di altri sommersi che premono, di tremende rinunce alla dignità imposte dalla conservazione della sopravvivenza.
La secessione non è facile da fare se qualcuno non ti aiuta dall’esterno. I poteri politici costituiti sono sempre più forti di qualsiasi movimento secessionista. Per sapere se il Veneto o qualsiasi altra regione può realisticamente secedere bisogna avere presente la strategia geopolitica dei principali attori della scena mondiale che poi sono sostanzialmente solo tre: Stati Uniti, Russia e Cina. Gli altri sono tutti più o meno dipendenti da questi tre e non sono affatto “attori” ma “subitori”. La domanda da porsi sarebbe: se Stati Uniti, Russia o Cina appoggiassero il secessionismo veneto (come quello catalano, peraltro) che vantaggi avrebbero? E che ripercussioni negative potrebbero temere?
Gli Stati Uniti non avrebbero alcun vantaggio perché in questo momento cercano anzi di unire tutta l’Europa (e non solo l’Unione Europea) in un blocco unico da ingoiare mediante i loro perniciosissimi trattati TTIP e tutta una complicata architettura di ricatti (vedi il caso svizzero). La Russia potrebbe invece temere che violando l’area di influenza americana in Italia anche la propria area di influenza sarebbe esposta a intense rappresaglie. Il caso ucraino ci insegna che la Russia ha potuto agire come ha fatto perché da sempre la Crimea è “roba russa” e gli Stati Uniti le riconoscono questo diritto, altrimenti sarebbe già scoppiata la terza guerra mondiale. Per quanto riguarda la Cina non saprei dire, nel caso delle rivendicazioni catalane penso abbiano le mani in pasta, ma non ci sono stati casi di “prevaricazione” o sponsorizzazione esplicita anche perché la Cina, a differenza della Russia con la Crimea, in Catalonia e nel resto d’Europa non ha appigli storici e procede quindi con i piedi di piombo. In più la Cina è molto legata a doppio cappio con gli Stati Uniti di cui detiene una parte importante di debito (ma con gli Stati Uniti che se vogliono possono anche infischiarsi di ripagarlo!).
Insomma, se per l’Italia è difficile sottrarsi al mortale abbraccio statunitense, in questo momento temo lo sarebbe anche per il Veneto. Si fa presto a dire secessione perché dicendolo un politico diventa subito popolare. Ma come ci ha mostrato il caso della Lega (anzi delle Leghe) quando si tratta di far seguire agli slogan i fatti, non è successo nulla e l’assenza di risultati può anche dipendere dal fatto che gli Stati Uniti hanno avuto tutto il tempo di infiltrare dei loro uomini per “tenere a bada” gli ardori secessionisti dei veneti. E’ una loro politica costante, l’ABC di come riescono a gestire il potere in modo indiretto e soft. Il loro uomo accontenta a suon di slogan il popolo secessionista mentre impedisce che sia fatto un solo vero passo nella direzione di questo obiettivo.
@Roberto:
“(ma con gli Stati Uniti che se vogliono possono anche infischiarsi di ripagarlo!).”
Infatti non lo salderanno mai ed ai cinesi poco importa dal momento che hanno ottenuto aperture di libero (..ma proprio libero eh?!) mercato in “occidente” ( il “so/da(li)zio” è già avvenuto sotto gli occhi anche di chi ha fatto finta di non vedere )!
Non capisco questo articolo. Ho 35 anni ed é da quando sono nato che sento parlare di secessione in veneto. Prima della padania, prima che esistesse la lega nord. Infatti la liga veneta esisteva giá e voleva la serenissima. Come quelli che andaroni sul campanile. Come i gruppi separatisti che 20 fa interropevano i telegiornali per fare proclami. Potete deriderci e darci degli ignoranti se vi fa stare bene. Ma nessuno potrá nascondere la violenza di questo stato sul nordest. Hanno diviso le venezie. Alla tridentina ed alla giulia hanno regalato l’autonomia ed alla euganea no. Vogliamo riprendere in mano il nostro destino. Da fastidio? Anche il dividi et impera infastidisce noi. E poi i fiamminghi non vogliono l’indipendenza l’nva vuole la confederazione. Solo un 30 per cento dei fiamminghi si separerebbe dai valloni. Tanti saluti ma anche tanta ignoranza (la sua).
Non so, forse dipende dal fatto di essere un imprenditore minimo e, dunque, di avere in me la capacità di vedere le cose sempre dal doppio punto di vista dei miei ideali e di ciò che serve a mandare avanti la baracca. Io non vedo colpe particolari nell’imprenditoria veneta o di altre regioni d’Italia (mentre, per esempio, vedo colpe gravissime nel razzismo leghista veneto).
Nel momento in cui la politica del nostro paese, abbracciando la globalizzazione, ha posto i nostri piccoli e medi imprenditori nella drammatica condizione di essere competitivi con Cina, India, Vietnam, Bangla Desh, Sri Lanka, Nigeria e duecento altri paesi molto più poveri di noi dove magari i lavoratori percepiscono un dollaro per 14 ore di lavoro o, addirittura, sono lavoratori-schiavi l’alternativa è stata chiara: o ti adegui o chiudi.
Dato che per un imprenditore la propria azienda è come un figlio, o, fuor di metafora, è una ragione di vita non si troverà mai nessuno che, potendolo fare, non faccia di tutto pur di diventare competitivo con quei paesi. Ma non prendiamocela con gli imprenditori se ora sono o sembrano più “cattivi” di prima. Alla fine sappiamo bene che c’è una catena di comando ben precisa che porta dagli Stati Uniti ai nostri politici imbelli e dai nostri politici imbelli alle infauste decisioni politiche di questi anni che condannano i nostri imprenditori piccoli e medi a sparire perché gli ideali neoliberisti e globalizzatori rispondono solo agli interessi della grande industria, non certo a quelli della piccola e media che, tra l’altro, fa anche fatica a delocalizzare per ovvii motivi dimensionali e di capitalizzazione.
Molta di questa imprenditorialità italiana che sta mostrando ora il suo aspetto più sgradevole tra qualche anno non esisterà nemmeno più e anche il ricco Veneto farà la fame unitamente al resto d’Italia. Ma la soluzione non sta nel dire agli imprenditori veneti e non veneti di non ridurre i salari, perché appena potranno farlo lo faranno. La soluzione sta nell’innalzare barriere doganali grandi come l’Everest e ricostituire un’economia protetta.
Ho parlato di politici imbelli. Imbelli e incompetenti, aggiungerei, perché ci sono paesi d’Europa che non stanno affatto soffrendo la crisi attuale in quanto hanno saputo far valere la loro rendita di posizione geopolitica. Prendiamo la Finlandia, per esempio, dove prendere in affitto un appartamento di 60 metri costa qualcosa come 2500 euro al mese e i salari sono di conseguenza altissimi. Dando un’occhiata alla geografia e alla storia di questa nazione si capisce perché gente come Olli Rehn si senta in una botte di ferro e se ne infischi di quello che può succedere nel Sud Europa. La Finlandia è stata per decenni nell’orbita russa. Confina con la Russia per un’importante porzione di territorio, ha un’economia abbastanza intrecciata con quella russa e, attualmente, sta persino soffrendo indirettamente per le sanzioni economiche imposte alla Russia perché uno dei colpiti, un russo-finlandese con doppia cittadinanza, è anche titolare di una delle principali squadre di hockey sul ghiaccio, che in Finlandia è lo sport nazionale.
Ebbene, è ovvio che gli Stati Uniti non possono agitare il maglio contro la Finlandia perché se la Finlandia si “scocciasse” ci metterebbe due minuti a cambiare alleanze. La devono dunque “tenere buona”. Ecco quello che dovevamo fare noi e che non abbiamo saputo fare: precostituirci un potere contrattuale visto che anche noi abbiamo una posizione geopolitica particolare che è “preziosa” per gli Stati Uniti. Il Presidente Napolitano sarebbe passato alla storia come Cavour se avesse saputo fare questo delicato lavoro di mediazione appoggiandosi ora agli uni ora agli altri, anziché contribuire, assieme ad altri leader, a firmare degli assegni in bianco che ora ci sono stati restituiti con scritti degli importi stratosferici.
I geni non esistono, sono solo il sintomo della nostra poca volontà di darci da fare. Costa meno fatica ammirare qualcuno che seguirlo e diventare come o meglio di lui (o lei). Per quanto riguarda la Comunità degli Stati Indipendenti, di cui io stesso fino a pochi giorni fa ignoravo l’esistenza (dopotutto viviamo in un mondo americocentrico, tutto il resto ci viene minuziosamente nascosto), mi sembra interessante far conoscere la disponibilità di alternative che forse oggi non sono praticabili ma domani chissà.
Adesione dell’ Italia alla Comunita’ degli Stati Indipendenti: ma come non averci pensato prima? E’ chiaro che siamo in presenza di un genio.
..da non dimenticare, poi, che c’è sopravvivenza e sopravvivenza; tutto è relativamente “distinguibile” a seconda dei punti di partenza (come tutte le cose), cioè da cosa si sopravvive… rispetto ad un aspetto antecedente, sia esso di un evidente stato di benessere rispetto ad un altro… speso basato sul pressapochismo esistenziale e culturale permanente (..e il fine, anche secondo me, non dovrebbe giustificare mai i mezzi).
Ma infatti, Roberto, mille volte ho scritto che Lega, Berlusconi, ora Pd, hanno estratto, legittimato addirittura incistato nell’alveo “parlamentare” istinti repressi, aberrazioni della democrazia. E che dietro a queste iniziative ci siano sempre finanziatori e manovratori per nulla occulti. Forse non mi sono spiegata, considero il caso Veneto, particolare, perchè segnato più di altri dalla perdita di privilegi e benessere che si credeva perenne, ma rappresentativo della condizione occidentale, dell’annientamento della coesione, unica arma di sopravvivenza..
Concordo su tutto a prima vista, ma a seconda vista sconcordo su alcune cose. L’istinto di sopravvivenza è un fatto di natura e, nonostante confligga a volte con le esigenze dell’etica, come quando sul Titanic si ruba il posto a donne e bambini nella scialuppa che porta alla salvezza, esso va tutt’altro che demonizzato.
In effetti, io sono molto più preoccupato della catastrofica mancanza dell’istinto di sopravvivenza nella società italiana di oggi rispetto alla sua eventuale eccessiva presenza nella comunità veneta. Al momento la stragrande maggioranza degli italiani è incapace di rilevare i sintomi del disastro imminente e continua felicemente o infelicemente a fare la vita di sempre, a votare i partiti di sempre, a fidarsi e affidarsi ai leader e opinion leader di sempre.
La crisi avrebbe dovuto scatenare le mille risorse che l’istinto di sopravvivenza di solito risveglia negli esseri umani ma la società italiana è silente, ammutolita, resa ottusa e indifesa da decenni di falsa destra e di falsa sinistra, non più in condizioni di capire dove andare e cosa fare e, quindi, nell’annebbiamento generale, in balia dei capi-branco cui si affida innocentemente e fatalisticamente senza preoccuparsi del fatto che sono i capi-branco ad averci portati al punto in cui siamo.
Dal mio punto di vista sono meravigliatissimo che gli italiani non cerchino soluzioni in tutte le direzioni, anche quelle più “trasgressive”. Ne cito alcune, ben conscio delle obiezioni che si potrebbero sollevare (e che sono anche le mie!) ma altrettanto consapevole che la situazione di estrema emergenza giustifica ampiamente ogni sforzo di sfuggire alla trappola europea in cui siamo stati fatti cadere:
– l’uscita dall’UE e l’adesione alla Comunità degli Stati Indipendenti, che comprende oltre alla Russia Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan (chissà quanti ci stanno pensando in questi giorni!)
– l’utilizzo del precedente del Kosovo e della Crimea per trasformare l’Italia in una federazione di stati indipendenti basati su referendum che decretino, regione per regione, l’istituzione di nuove repubbliche sovrane.
Entrambe le ipotesi, nonostante le apparenze, sono il vero modo di salvare l’Italia perché rimanendo nel contesto UE attuale l’Italia è condannata a morire. Anzi, con tutte le emorragie di sovranità che ha subito in questi anni, l’Italia è – anche tecnicamente – già in coma come dimostra il caos istituzionale degli ultimi anni e il fatto che da diverso tempo tutte le decisioni fondamentali vengono prese a Bruxelles con i nostri governanti a fare gli area manager della Merkel e di Obama e, ben presto, gli esecutori testamentari del nostro paese.
Se il Veneto è davvero in grado di prendere l’iniziativa in questo senso, ossia se non si tratta solo dei soliti giochi di potere per cui individuata una nuova nicchia di elettori la si “capta” al solo scopo di neutralizzarla, la cosa sarebbe oltremodo positiva. E quanto al fatto che si tratti di leghisti o di non leghisti, non ho visto differenze tra la destra di Sarkozy e la sinistra di Hollande quando si è trattato di cacciare gli zingari dalla Francia. Né mi risulta che le leggi sul divieto di salvataggio dei migranti in mare aperto siano state rimosse dal governo Letta o dal governo Renzi. E poi, come dicevo in apertura di commento, qui non si tratta più di destra o di sinistra, ma di mera sopravvivenza. I medici non salvano quelli di sinistra e lasciano morire quelli di destra o viceversa. Quando si tratta di salvare non si guarda più ai colori sociali, ci si salva. O tutti insieme o nessuno.