Site icon il Simplicissimus

Le stigmate di Nunzia

ITALY-POLITICS-GOVERNMENT-SENATEAnna Lombroso per il Simplicissimus

Non c’è annuncio del governo che non venga smentito dai fatti. Basta pensare che quando Enrico Letta   scelse Nunzia Di Girolamo come ministro dell’agricoltura, la motivazione fu che era giovane, preparata, battagliera, mai sguaiata”.  Sguaiata vuol dire sconveniente, certo, ma immaginiamo che possa significare per estensione  disfarsi dei guai, così se ha sconfessato il governo con esternazioni inopportune, rozzezze verbali, sgangherate manifestazioni di  incauto delirio di onnipotenza da ras del quartiere, che hanno fatto rimpiangere altre eccellenti vaiasse del centro destra, l’esuberante Nunzia ha scelto di togliersi dai guai in previsione di qualche altra rischiosa rivelazione, dando le dimissioni. E, a un tempo, ritornare dove si è dimostrato di saperla apprezzare, arrestare o sgonfiare le ruote della “macchina del fango” avviata contro di lei, mettere le basi per una di quelle giravolte di carriera magari più adatte a una mamma e a una sposa, che ne so, deputata europea, in attesa di una edificante riabilitazione in nuovi governi più aperti a figure   giovanilmente dinamiche, traghettata dal padrone del nuovo partito unico.

Nel rivendicare la sua dignità offesa da uno squallido complotto, nel lamentare l’abbandono colpevole del presidente Letta, per non dire di tutta la compagine governativa, rappresentata nel corso dell’autodafè impostolo, solo da un’apparizione brevissima di Alfano, avrà certo ricordato altri tempi, ben altro sostegno, avrà rimpianto ben altre benedizioni e sponsorizzazioni. Che si sa che la sua carriera luminosa ha avuto inizio con quella magica e prodigiosa casualità aiutata dalla adolescenziale temerarietà che segna l’ascesa irresistibile e il destino di figure carismatiche: lei, la Minetti, la Carfagna, la Brambilla, la Gelmini, con una netta predilezione per arriviste scosciate più che per qualche Bel Ami in pantaloni.

Come non ricordare che nel lontano 2007, durante  una manifestazione pubblica a Napoli, una intraprendente ragazzina  regalò una bambola dell’Unicef a Silvio Berlusconi, accompagnata da una ammirativa  letterina con la quale manifestava venerazione e disponibilità a collaborare, corredata dal numero del cellulare. Un richiamo irresistibile per vecchio predatore, in vena di selezione del “personale politico”, che infatti non perse tempo, la chiamò e in tre mesi la candidò in lista per la Camera. Beneficata dal Porcellumo, che non mancherà di beneficarla ancora nel suo restyling, approda a Montecitorio e subito viene accolta  da un bigliettino lusinghiero del presidente ganimede, che lei provvede immediatamente per ragioni di ingenua trasparenza a rendere noto. Di lei si sa anche che è stata autrice di un gesto edificante, che purtroppo non andò a buon fine: a scopo rieducativo in pieno scandalo del bunga bunga cercò di portare in pellegrinaggio Berlusconi nei luoghi di Padre Pio, del quale si dice devota fino all’adorazione, in modo da mettere insieme una di fronte alla’latra le sue divinità preferite.

Insomma se non si era pentita del suo  inopportuno e disonorevole sovvertimento delle regole democratiche e dell’abuso di funzione, che non sarà illegale per carità, mo non esiteremmo a definire illegittimo, si deve essere pentita della slealtà, del tradimento compiuto ai danni del suo vero benefattore che l’aveva sollevata dall’umiliazione di quelle sue prime elezioni comunali nelle quali perese 170 miseri voti, fino a farne la nuova zarina campana, così prepotente e tracotante da non far rimpiangere il caln Mastella. E forse, ben consigliata in famiglia, da padre putativo, marito, zio barista, ha deciso di contribuire con una modesta ma esemplare spallata alla barcollante sopravvivenza di un governo che non piace a padrone e padroncino, in modo da essere anche attrezzata per tutte le prossime scadenze elettorali, sempre più vicine.

 Si dice che le donne abbiano un’indole gregaria, ma di questi tempi abbiamo assistito a una  corsa maschile all’emulazione. Si dice che le donne quando si avvicinano al potere replichino i peggiori costumi degli uomini, mutuando vizi, cinismo, impudenza, con l’aggravante di trincerarli dietro improvvise debolezze che le rendano più gradite, lacrime estemporanee, rivelazione di vulnerabilità intermittente, efficaci palpitar di ciglia.

Il fatto è che sopra le differenze di genere e di generazione, l’affiliazione, l’appartenenza a questo ceto politico non si sa se contagi ineluttabilmente rendendo brutalmente uguali, in un mondo di brutali disuguaglianze che proprio loro contribuiscono a perpetuare. Oppure se sia vero invece che la selezione avviene su un bacino di utenza già predisposto alla corruzione, all’indifferenze e alla derisione  di idee, ideali, principi, già dotato del codice genetico dell’infedeltà, del commercio di sé e, ahimè, degli altri, dell’abuso. In questo caso , se non si ravvisano reati nell’operato della ex ministra, bisognerebbe comunque condannarla per abuso della parola dignità.

Exit mobile version