Qualcosa bisogna pur fare, non c’è dubbio, perché almeno in ambito europeo la sinistra italiana abbia un qualche spazio che non sia quello della resa al pensiero unico incarnato dalle spettrali socialdemocrazie il cui messia supremo pare essere Martin Schulz, amico personale della Merkel e suo candidato alla reggenza della Commissione Ue. Quello che Svendola vorrebbe narrare come impavido progressista capace di sciogliere l’alleanza fra destre conservatrici e socialdemocrazie: i fumi dell’Ilva sono davvero mefitici. In questo senso è difficile trovare qualcosa di meglio di Alexis Tsipras, leader di Syriza ed esponente del Paese martire della finanza, delle banche e degli egoismi nazionali che si nascondono appena sotto la superficie della Ue.
Le difficoltà non mancano: il personaggio è totalmente sconosciuto fuori dalla Grecia, ha un nome che pare quello di un farmaco antinfiammatorio, l’idea di una lista che lo appoggi come prossimo presidente della Commissione giunge a pochi mesi dalle europee e presenta enormi problemi organizzativi. Ma ancor prima di questo temo che ci sia qualcosa che non funziona nell’idea della lista che come al solito giunge calata dall’alto con tutto l’apparato di belle e illustri firme, mai insidiate dal tunnel carpale. Se uno legge l’appello – manifesto che lancia la nascita della lista Tsipras for president (qui) e legge il pensiero di Tsipras sull’Europa dei massacri (qui), non potrà non notare la radicale differenza che esiste tra i due.
Il leader greco fa delle chiare premesse ideologiche all’interno delle quali anche la mancanza di linee di azione definite e le molte esitazioni, soprattutto in campo monetario, possono essere considerate superabili visto che i cambiamenti di assetto europeo auspicati vengono visti come conseguenza di un ribaltamento totale del pensiero unico liberista e di un ritorno alla centralità del lavoro. L’appello per la lista invece manca di queste premesse che vengono tradotte come errori, deviazioni, confusione della politica nazionale dentro un quadro in cui gli assetti ideologici non sono seriamente contestati e in ogni caso non sono centrali: ci si limita a impugnare l’austerità come abbaglio tecnico – economico, senza rendersi minimamente conto che è strutturale a questa Europa. Alla fine dunque il tutto si traduce nel non inedito elenco delle solite intenzioni buone e impossibili, privo al contempo di realismo e anche del sogno di Tsipras, come se tutto il discorso si esaurisse nella costruzione della Ue come totem a prescindere dalla qualità della costruzione stessa, come se fosse meglio meglio vivere in un grande ensemble autoritario e non in più piccole democrazie nazionali. Ma ad ogni modo il capolavoro di questa visione è il piano Marshall che viene invocato con totale sprezzo della realtà e come unguento delle illusioni destinato ad allontanare ancora di più il momento di affrontare i nodi strutturali.
Insomma al contrario che in Tsipras c’è molto che sa di europeismo di maniera, un molto che poi si traduce nella sorprendente e grottesca assicurazione che la lista non farà parte del Partito della sinistra europea come se allearsi con la Linke, con il Parti de Gauche di Melenchon sia qualcosa di inopportuno e sgradevole. O forse lo è per qualche candidato in pectore di cui ancora non abbiamo la rilevazione, che considera questa occasione come l’ultimo treno per Strasburgo con biglietto di ritorno per Roma.
E infatti questo è un altro aspetto in ombra: quali saranno i candidati della lista, da chi e come saranno scelti? Forse per chiara fama o per consistenti indizi che non daranno troppo fastidio ai poteri di Bruxelles? Insomma mi chiedo chi sarà a scegliere i candidati e chi mi troverei eventualmente a votare: una persona che crede nelle idee di Tsipras, qualcuno che magari sia anche più radicale di lui quanto agli strumenti per riportare l’Europa sull’unica strada democratica e sociale che abbia un senso o invece qualche avanzo di salotto buono? Con tutta la simpatia non mi sembrano le premesse per un grande successo o anche solo per testimoniare della permanenza in vita di speranze e idee del tutto emarginate dal continente e fossi nei panni di Ferrero o semplicemente nei miei pretenderei che su questo ci fosse un chiarimento. Non è certo un caso che lo stesso Tsipras abbia messo tre condizioni per dare il suo nome a una eventuale lista di appoggio: che essa si costituisca dal basso, che non escluda nessuno tra i cittadini e le forze organizzate che vogliano appoggiare l’idea e soprattutto che abbia l’unico scopo di “ cambiare gli equilibri in Europa a favore delle forze del lavoro contro le forze del capitale e dei mercati. Di difendere l’Europa dei popoli, di mettere freno all’austerità che distrugge la coesione sociale. Di rivendicare di nuovo la democrazia”.
Elementi evidentemente non del tutto chiariti nell’appello o comunque tenuti sempre in quelll’area grigia che rinvia la discussione sui nodi centrali che la sinistra italiana nelle sue varie forme e incarnazioni tenta di non affrontare. Forse però sarebbe il caso che la lista Tsipras fosse tale da poter essere sottoscritta senza incertezze e senza condizioni da Tsipras stesso, cosa non scontata visto che il leader greco ha sentito il bisogno di un chiarimento ad onta delle solite interpretazioni di comodo e anche un po’ spudorate dei sicofanti di turno. Rimane il fatto che il vero elemento unificante tra il leader di Syriza e la lista italiana è la contestazione dell’austerità, sacrosanta, ma in sé anche poco caratterizzante come lievito politico potendo essere sottoscritta indifferentemente dal partito comunista bulgaro, dalla signora Le Pen e dall’economista capo dell’Fmi. Ciò che conta sono le ragioni e il significato della politica di austerità ed è da questa radice interpretativa che nasce la disputa sulla riformabilità o meno delle istituzioni europee e dunque sulle vie d’uscita da questa situazione impossibile.
Certo qualcosa bisogna pur fare, ma non a tutti i costi, non mettendo tra parentesi idee e prospettive per non irritare nessuno, non cercando di stemperare la radicalità e insomma non facendo l’esatto contrario di quanto ha fatto Syriza in Grecia. Credo che almeno questa dovrebbe essere una lezione che la sinistra dovrebbe aver imparato e che è essenziale perché la lista Tsipras non sia solo un evanescente marchingegno per le europee, ma un nuovo inizio per la sinistra in Italia.
Manco a farlo apposta, another one bites the dust! Oggi lo Spiegel Online rivela che Alternative fuer Deutschland ha archiviato la lotta per la fuoriuscita della Germania dall’euro e che si impegnerà in futuro per un’Europa migliore. Ad uno ad uno i 10 piccoli indiani della politica europea (quelli che apparentemente contestavano l’Unione Europea e l’euro) stanno tutti rientrando nei ranghi. In Alternative, forse l’AfD era solo un altro di quei partiti che cambiano le proprie idee a seconda di quanto successo hanno riscosso alle elezioni. Nel loro caso zero, visto che non avevano nemmeno superato lo sbarramento elettorale del 5% e quindi non si erano presi neanche un deputato.
Si veda l’articolo “Der Kampf gegen den Euro war gestern” (la lotta contro l’euro è una cosa di ieri) sul sito http://www.spiegel.de che identifica la loro nuova strategia nel proporsi come una CSU migliore della CSU (il partito conservatore bavarese che nelle elezioni si presenta sempre assieme alla CDU di Angela Merkel).
Su Tsipras vorrei aggiungere che “the jury is still out”, ossia non possiamo essere certi che quanto Mr. Simplicissimus rimprovera a MicroMega e ai propugnatori dell’appello non sarà rimproverato domani anche ad Alexis Tsipras. Un conto era infatti avere una serie di piccoli partiti raggruppati nell’entità Syriza senza alcuna speranza di poter mai sfondare e un conto del tutto diverso quello di avere, quasi senza proprio merito, raggiunto una percentuale capace di contendere il primato elettorale alla Nuova Democrazia di Samaras. A partire da quel momento tutto è cambiato. Ci sono stati avvicinamenti da parte dell’ambasciata statunitense, contatti con quei leader politici europei che prima non si filavano il buon Alexis neppure per sbaglio e, fatto in un certo senso più impressionante, forti attenuazioni nella politica delle rivendicazioni che, fino all’anno scorso, contemplava la richiesta alla Germania del risarcimento dei danni di guerra subiti dalla Grecia (richiesta che Tsipras però non rivolse mai all’Italia, che è in fondo corresponsabile con la Germania di una brutale occupazione della Grecia e della riduzione in schiavitù del suo popolo).
A seguito di questi approcci deve essere anche scattato quello che potremmo definire un accordo segreto fra Tsipras e Stati Uniti/UE dove Tsipras deve aver rinunciato ai suoi obiettivi massimalisti in cambio di qualcos’altro, che spero non sia solo il permesso di andare al potere per poi mantenere in piedi i diktat della Troika ma con la libertà di distribuire tagli e ferite in modo diverso, più “di sinistra” per intenderci.
Fatto sta che quotidiani come Ethnos (La Nazione), che avevano sempre osteggiato la sola idea che Syriza potesse andare al governo, ora parlano con totale tranquillità di questa ipotesi. Inoltre i sondaggi mostrano Syriza in continua crescita come se l’establishment si fosse ormai rassicurato sul loro conto e, dulcis in fundo, il viaggio che Tsipras si appresta a fare in Europa tra pochi giorni prevede visite, nell’ordine, a Berlino, Parigi, Roma e Madrid. Anche quest’ordine sequenziale non è casuale e deve avere un che di molto rassicurante per il regime europeo, ma forse un po’ meno per noi. E tuttavia, come dicevo all’inizio, è ancora troppo presto per emettere un verdetto. Let’s wait and see.
La proposta di un nuovo piano Marshall è anche, essenzialmente, il ricorso del bambino alla mamma nel momento del bisogno. Peccato che il think tank di MicroMega non si sia ancora accorto che questa volta è la mamma (o matrigna che dir si voglia) a voler affogare il bambino!
A volte bastano anche le piccolissime cose a capire tutto. L’appello di Flores d’Arcais, Andrea Camilleri e soci (non credo li si possa più definire “compagni”) si trova su un subsito di Repubblica, ossia gli appellanti si rivolgono a noi dalle pagine di uno dei due massimi giornali di regime (sì, di quello stesso regime che ci sta condannando alla morte lenta per asfissia economica) e poi pretendono di essere presi sul serio!
Oggi in cui troviamo Umberto Eco nel comitato esecutivo di Aspen Italia e Flores d’Arcais e Barbara Spinelli sotto le ali protettive di De Benedetti c’è ancora qualcuno che si fa illusione sull’esistenza, a sinistra, di nerbo, coraggio, capacità di scelte radicali e visione lucida di quello che c’è da pensare e da fare, e non solo di quello che c’è da dire o dei like e follow da assegnare.
A chiacchierare e mettere firme su programmi fatti da altri siamo tutti buoni ma la cosa clamorosa è caso mai che dal think tank di Micromega non sia mai nata una sola analisi capace di arrivare alle conclusioni a cui Tsipras è arrivato non perché è un genio ma perché sono cose, in fondo, ovvie. Ovvie sì, ma anche sgradite al potere per cui il padrone di Repubblica non avrebbe probabilmente mai consentito ai micromeghiani di dirle o scriverne. Ed ecco perché anche adesso le frasi sferzanti di Alexis Tsipras, non appena riprese dai micromeghiani, si trasformano automaticamente in italichese prudente in salsa debenedettina così da renderle più accettabili.
Ma la domanda che continuamente mi faccio è questa. Possibile che ancora qualcuno si faccia delle illusioni? Che così tanti non abbiano ancora capito che la sinistra, negli anni, è stata svuotata dall’interno come quando con il cucchiaio si toglie lo yogurt dal suo vasetto?
Non è successo solo qui da noi. Russi e cinesi hanno dovuto ingoiare il rospo, molto più grosso di quello che stiamo ingoiando noi, dell’annichilimento del sogno socialista e della conversione brutale dei propri valori nei valori del capitalismo più feroce. In Cina, peraltro, il comunismo è ancora ufficialmente religione di stato come se nulla fosse successo.
Se si confessasse almeno “ci hanno detto di mangiare questa minestra oppure di saltare dalla finestra”, se esistesse, come ai tempi del fascismo, un giuramento di fedeltà al regime che gli accademici devono prestare obbligatoriamente, potremmo almeno pensare “ok, sono uomini e tengono famiglia, anche noi al loro posto avremmo probabilmente fatto la stessa cosa” ma questa pretesa di essere spiriti liberi e indomiti contraddetta ogni momento dall’assenza di un pensiero vigoroso e di azioni consequenziali con questo pensiero non ha alcun fondamento.
Per questi motivi non firmerò l’appello.