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C’è una grosse koalition sul lato B dell’Italia

grosse_koallition_2081755E’ fatta: dopo due mesi di trattative fra la Cdu di Angela Merkel e i socialdemocratici, una grosse koalition tornerà per la terza volta in 40 anni a a governare la Germania. Ma non è una bella notizia per chi in Italia pensava e soprattutto sperava che con il centro sinistra nella stanza dei bottoni, la morsa dell’austerity europea si sarebbe allentata, perché invece è chiarissimo  che la Spd ha giocato la propria disponibilità ad un’alleanza esclusivamente sui temi interni e soprattutto sulla definizione di un minimo salariale orario a 8,50 euro, accantonando il tema degli eurobond leggeri di cui pure si era favoleggiato, ma sempre in cambio di quelle “riforme” che sono l’esatto contrario di ciò che i socialdemocratici vorrebbero.

In realtà non ci voleva molto a capire che proprio la Spd dopo la lunga stagione dei blocchi salariali e l’esplosione dei mini job, la versione della precarietà in Deutschland hergestellt, si sarebbero concentrati sui temi interni piuttosto che dedicarsi ad allentare vincoli continentali che poi in una maniera o nell’altra avrebbero significato maggiori esborsi e dunque meno risorse per i problemi interni. Era talmente chiaro che più di un anno fa il vostro cronista aveva sottolineato l’incongruenza di queste illusioni ( qui ) quando ad alimentare la fioca luce in fondo al tunnel c’era anche la possibilità di un cambiamento di rotta della Germania. Oltretutto un anno fa non c’era ancora il partito anti euro e le elezioni regionali facevano supporre rapporti di forza diversi.

Del resto anche da Bruxelles si evince questa realtà visto che Martin Schulz, presidente del parlamento europeo ed ex presidente del gruppo socialista, è da tempo il candidato della Merkel alla testa della commissione Ue, prova più che concreta di una unità di intenti. Svanisce così la favola, confezionata in carta da regalo, che l’Europa possa emendarsi dalle sue rigidità, dai suoi egoismi, dalla follia dell’austerità dentro un quadro governativo e politico che vede i Paesi della periferia, sostanzialmente eterodiretti da Berlino e da Wall Street. Solo un radicale cambiamento che spiazzi le classi dirigenti e i loro referenti politici potrà cambiare qualcosa in questa equazione al disastro.

E la cosa emerge con straordinaria chiarezza  da una periferia ancora più lontana e precisamente da quella Ucraina che ha preferito stringere legami più stretti con la Russia, lasciando in sospeso quelli con la Ue. Mentre i giornali occidentali si affannano a far credere che vi sia una grande opposizione a questo e parlano di una manifestazioncina di qualche migliaio di persone a Kiev – una città che è il doppio di Roma per giunta con centinaia di migliaia di sbandati che giungono dalle campagne, facilmente arruolabili – come se si trattasse di una radunata oceanica, da Vilnius dove erano accorsi gli alti papaveri Ue per siglare gli accordi, il disappunto e la concitazione, fanno emergere ciò che normalmente è sottaciuto. Il commissario europeo alla politica di vicinato, Stefan Fule  fa sapere al mondo intero ciò che il Paese si perde: infatti  l’accordo con la Ue sarebbe “un’occasione unica di invertire il calo degli investimenti esteri diretti in Ucraina e dare slancio ai negoziati con il Fondo monetario internazionale“. Questo perché “a mettere la grossa cifra per aiutare Kiev sarebbe l’Fmi, con dietro il sostegno dell’Ue”.

Non c’è bisogno di commentare il fatto che questa Ue si sia ridotta a fungere da prosseneta per la finanza o di analizzare perché sotto la minaccia del sostegno Ue, le pressioni di Putin abbiamo buon gioco, al netto di tutte le altre ragioni di carattere storico e geopolitico. Questa Europa ridottasi a fantoccio di Wall Street e diretta da Berlino con la sua economia che non traina, ma fagocita, non è  certo più un polo di attrazione per nessuno. E sarebbe ora di uscire dalle favole, prima che siano le destre lepeniane ad accaparrarsi il futuro e furibondo neorealismo popolare.

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