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L’età della violenza

no-alla-violenzaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Pensavo di resistere per feroce idiosincrasia alla liturgia delle commemorazioni, per ferma condanna dei riti di celebrazione occasionali in favore di quotidiana rimozione. Pensavo di resistere al negazionismo di Feltri. D’altra parte è una patologia corrosiva tutta italiana. Crisi economica, mafia, xenofobia, razzismo, antisemitismo, clientelismo, corruzione vengono addomesticati e reinterpretati finchè diniego e disconoscimento diventano fenomeni difensivi, fisiologici, perfino necessari: eh certo,i rom rubano, gli ebrei sono i padroni della banche, gli immigrati ci portano via il lavoro, si sta male perché siamo stati troppo bene. E a volte le donne provocano e te le tirano via dalle mani e altre si vestono come mignotte  e l’uomo mica è di legno.

Molte di noi sono state sfortunate due volte, per aver conosciuto la violenza ed averla subita senza difesa morale, culturale, sociale, sicché alla condizione di vittima si è accompagnata la vergogna, la solitudine, l’isolamento, addirittura la colpa, la più tremenda: aver subito. Altre, io tra loro, sono state fortunate, attrezzate in famiglia al rispetto di sé, alla tutela della propria dignità, alla consapevolezza che permette quella sintesi che fa restare innocenti, integre, inviolate. Fortunate per aver incontrato uomini che si sono sottratti al pregiudizio e lo hanno sradicato da noi, uomini che sanno essere compagni, che sanno essere amanti, che sanno essere amici, uomini che hanno avuto madri che hanno insegnato loro la considerazione e la solidarietà e che l’hanno conservata per noi e ce la dedicano, che ci riservano poesia, dolcezza e carezze. E per fortuna ci sono e io li ho incontrati, uomini che si distraggono come me, piangono come me, ridono come me, con me e di sé, uomini timidi, uomini che mantengono in sé la tenera incolpevolezza di bambini, uomini che assomigliano in qualche momento agli stereotipi di genere maschile quanto in me resta traccia di quelli femminili.

Ma forse sono stata fortunata anche perché le donne ormai adulte, mature, quelle che hanno subito un affronto, che sono state ferite nella loro adolescenza e giovinezza, per uno strano paradosso, l’hanno patito quando questo paese era più giovane e certamente più appassionato e innocente. Perché erano tempi nei quali si combatteva per conquiste di genere, di civiltà e di laicità, perché ci si sentiva forti della debolezza sopportata per millenni, che diventava l’arma per conquistare, non solo a proprio nome, diritti, libertà, prerogative, compreso il piacere, compreso l’amore fuori dai vincoli convenzionali, compresa la possibilità di vivere inclinazioni e gusti senza vergogna.

Oggi il  ricatto senza riscatto è sistema di governo, l’ingiustizia è favorita e assolta, la disuguaglianza è imperio per stabilire la superiorità di chi detiene potere, anche quello misero e usurpato dentro a una famiglia, lo sfruttamento è legge economica, la differenza è una colpa. È stato sempre così, ma dopo il secolo breve, pensavamo, donne che erano state un’avanguardia culturale, e uomini, magari un po’ spaesati, che i prezzi pagati dal tempo segnato dai misfatti più orrendi, dalle carneficine più sanguinose, dai crimini più disumani ci avesse riscattato dalla vergogna della rinuncia ai nostri diritti, dalla pena di pentirci delle nostre conquiste, perché siamo costretti a pagarle due volte, come persone e come donne, o neri, o omosessuali, o rom, o marginali, o malati, o ribelli, o semplicemente poveri, sempre più poveri. E per sovrapprezzo, donne. Si, e per di più, donne, o per meno.

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